QUALE DOCENTE PER LA SCUOLA DELL’AUTONOMIA. STATO GIURIDICO: UNO SGUARDO ALL’EUROPA

“ Quale docente per la scuola dell’autonomia.

Stato giuridico: uno sguardo all’Europa “

 

 

     

                                                                                                    Relazione di Ambrogio IETTO

                                                                                                    Maratea ( PZ ) 21.03.2009

 

  1. La scuola italiana è europea ?

 

La domanda è sicuramente pertinente e muove da una preliminare considerazione: con gli altri partner europei noi italiani siamo impegnati a perseguire – affrontando anche difficoltà non di poco conto – obiettivi indicati da tempo ed anche con una certa solennità: nel febbraio 1992, infatti, nell’ambito del trattato di Maastricht, fu affermato, tra gli altri principi, quello della libera circolazione dei professionisti residenti nei paesi aderenti all’Unione Europea; successivamente, in occasione del Consiglio Europeo di Cannes del 1995, fu presentato il cosiddetto ‘ libro bianco ‘ “Insegnare e apprendere. Verso una società cognitiva in cui si suggerivano a tutti i Paesi  aderenti alcune linee di azione in materia di formazione; infine, nel marzo del 2000, il Consiglio Europeo, riunito a Lisbona, adottò l’ormai famoso obiettivo strategico per l’Europa di ‘ diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale ‘.

L’attuale grave crisi recessiva, se rende ancora più lontani gli obiettivi  a suo tempo indicati in materia di formazione, di occupazione e di sostanziale migliore qualità della vita, conferma ancor di più il principio che l’ignoranza è una malattia che, nell’escludere dai diritti di cittadinanza attiva, rende la persona vittima dell’altrui scaltrezza speculativa, la sottopone a ben orchestrate vessazioni e, di fatto, ne limita il potenziale di creatività e lo spirito di iniziativa di cui essa, comunque, è portatrice.

Il sistema di istruzione italiano, pertanto, non può prescindere da quanto si verifica in materia di formazione negli altri Paesi aderenti all’Unione Europea ed è chiamato, ovviamente, a rispondere in termini di risultati che, purtroppo, confermano ancora una volta lo stato di subalternità qualitativa della nostra scuola non solo  nei confronti delle altre istituzioni scolastiche europee ma anche in rapporto a Paesi lontani da noi, quali l’Australia, il Canada, la Corea, il Giappone, la Nuova Zelanda.

Gli esiti di PISA – OCSE 2006, nel confermare le insufficienti prestazioni dei nostri 21.773 studenti quindicenni, distribuiti in 799 scuole, sulla capacità di individuare e di dare spiegazione scientifica ai fenomeni ( 36° posto su 57 Paesi ), su quella di individuare e comprendere il ruolo che la matematica gioca nel mondo reale ( 38° posto ) e sulla capacità di comprendere, utilizzare e riflettere su testi scritti ( 33° posto ), hanno soprattutto evidenziato lo stato di assoluta precarietà delle istituzioni scolastiche del Mezzogiorno i cui disastrosi risultati hanno finito con l’incidere negativamente sulla media nazionale tenuto conto che le scuole del Nord si erano collocate al di sopra del parametro Ocse che è quota 500.

PISA – OCSE effettuerà nel corso di questo anno un’altra rilevazione. Si avrà modo di vedere i primi effetti prodotti dai massicci interventi compiuti dall’Europa, sotto forma di Fondi Strutturali, a favore delle scuole della Campania, della Calabria, della Puglia e della Sicilia (242.496.853 euro  nel 2007/2008 e 251.578.513 per il corrente anno ).

 

 

 

 

 

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1a . Rapporti tra l’Italia e alcuni Paesi dell’Unione Europea

 

 Che  la  poco  eccellente  qualità  del  nostro  prodotto  scolastico   sia  determinata anche da non eccessive  risorse economiche disponibili è fuor di dubbio. Si sa che, secondo una definizione classica, il Prodotto Interno Lordo (PIL) corrisponde al valore della produzione di beni e servizi finali effettuata  durante   un  certo periodo di  tempo  all’interno  di  un  determinato Paese.

Ebbene, secondo gli ultimi dati riportati nel settembre 2008 dall’Ocse, nell’annuale rapporto, la spesa per l’istruzione pubblica in Italia si attesta al 4,4 in rapporto al PIL nazionale mentre la media  Ocse è di un punto superiore ( 5,4 ).

Rapportato poi al numero degli allievi, in Italia ogni studente costa 7.540 dollari;  la spesa media Ocse, invece, è di 7.527 dollari, cioè di 13 dollari in meno pro – capite. Per la scuola primaria, in particolare, l’Italia spende in media molto di più degli altri Paesi: 6.853 dollari contro una media Ocse di 6.252. Queste cifre fanno affermare al responsabile delle ricerche sull’istruzione dell’Ocse, Andreas Schleicher: “ La spesa non è il difetto principale dell’Italia. Il vero problema è, invece, come vengono spesi i fondi elargiti dallo Stato “. Questa somma non significherebbe  molto se non si considerasse che diversi Paesi europei, che ci precedono nella citata graduatoria sul rendimento degli allievi, spendono di meno dell’Italia. Addirittura la stessa Finlandia, che ha gli allievi meglio qualificati d’Europa, secondo quanto riportato dal ‘ Libro Bianco‘ sull’istruzione, pubblicato nel settembre 2007 dai ministri Fioroni e Padoa Schioppa,  spende per ognuno di loro quasi 1.000 euro in meno all’anno in rapporto all’Italia.

E’ fuor di dubbio, allora, che c’è qualcosa che non va sui fattori che contribuiscono ad elevare in misura così consistente la spesa pro – capite per allievo, su come queste risorse vengono impegnate, sulla dinamica insegnamento – apprendimento e, soprattutto, sul profilo professionale e su come opera il mediatore culturale per eccellenza che è, appunto, l’insegnante.

Onestà intellettuale vuole che si sottolinei anche come risulti mal pagato il docente italiano che, dopo quindici anni di lavoro, prende 29.287 dollari contro una media Ocse di 37.832 e una media dell’Unione Europea di 38.217 dollari.

 

1b. Sul numero degli insegnanti

 

Il confronto internazionale sul numero di insegnanti su 100 studenti, fin da quando sono stati anticipati i provvedimenti sui tagli degli organici da parte dei ministri Tremonti e Gelmini, è stato e rimane tuttora al centro del dibattito. Di fatto, nel prendere in considerazione anche i circa 84.000 mila insegnanti di sostegno e i 25.000 docenti di religione, si ha un rapporto – per la scuola primaria– di 10,7 insegnanti per ogni 100 scolari contro i 5,9 della media Ocse. Ovviamente il rapporto cambierebbe, senza l’aggiunta del sostegno e della religione, a 9,3 docenti  impegnati sul normale curricolo  per ogni 100 alunni in alternativa ai già indicati 5,9 insegnanti della media Ocse.

Una riflessione sulla professione docente, incastonata in una realtà composita qual è quella europea, ove ha incontrato ostacoli insormontabili  anche il sofferto desiderio di Papa Giovanni Paolo II di ricondurla alle comuni origini giudaico – cristiane, implica –  necessariamente – un giro di orizzonte che, pur limitato agli aspetti giuridici e di carriera, consenta di farsi un’idea di come si diventa  insegnanti in alcuni Paesi del vecchio continente e di quali siano gli sviluppi di carriera.

 

 

 

 

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1c. Formazione dei docenti, reclutamento, retribuzioni: alcuni Paesi a confronto

 

Sembra, così, emblematico cominciare dalla Finlandia il cui sistema scolastico  ha il privilegio di ottenere i migliori risultati tra i quindicenni sottoposti alla rilevazione dell’Ocse:

 

  • qui sia gli insegnanti di scuola dell’infanzia sia quelli della fascia obbligatoria, in possesso di un diploma universitario quinquennale in pedagogia, insegnano – dalla prima alle sesta classe della scuola dell’obbligo – tutte le materie. Invece i laureati in possesso di un diploma quinquennale universitario in una materia specifica e che hanno seguito un programma apposito per futuri insegnanti operano nell’ultimo triennio dell’istruzione obbligatoria e/o a livello superiore generale;
  • mancano le opportunità di avanzare nella carriera tranne che non si decida di concorrere al ruolo di capo d’istituto. Gli incrementi della base retributiva avvengono sulla base dell’anzianità e sotto forma di scatti periodici. Eventuali ore di insegnamento extra, oltre l’orario di cattedra, consentono l’aumento della retribuzione di circa il 3-4%. Stipendio iniziale per l’insegnante unico euro 21.540, finale euro 30.768.

Nella vicina Francia lo svolgimento di carriera è più complicato. Per accedere ai concorsi è fondamentale possedere la licence ottenuta dopo un triennio di corso universitario. Nei segmenti della scuola dell’infanzia e della scuola primaria operano i professeurs des écoles titolari del certificato di abilitazione. Nel comparto dell’istruzione secondaria sono impegnati i professeurs certifiés, dotati di specifica abilitazione per l’insegnamento di discipline letterarie e scientifiche nei licei e nei collages o di discipline tecnologiche o di educazione fisica e sportiva oppure per l’insegnamento nei licei professionali. Una speciale categoria è data dai professeurs agrégés, in possesso della maitrise ( 4 anni di corso universitario ) e vincitori del concorso di agrégation che consente loro di insegnare al liceo nella classe preparatoria alle grandes écoles e, talvolta, anche nelle università.

L’avanzamento di carriera si concretizza nell’inserimento in due categorie, la classe normale e la hors classe ( fuori classe ): la classe normale con 11 livelli retributivi maturati secondo l’anzianità e secondo la nota di merito redatta dal dirigente. Nel settore della scuola primaria a redigere la nota didattica è l’ Inspecteur de l’Education National competente per circoscrizione. L’ispettore osserva l’insegnante in classe durante lo svolgimento di un’attività didattica e, quindi, dà vita ad un colloquio individuale. Per i docenti della stessa disciplina è previsto un colloquio collettivo alla presenza anche del capo d’istituto per discutere delle metodologie di insegnamento e dei nuovi curricula. La hors classe è contingentata nel senso che non vi può accedere più del 15% degli effettivi della categoria. Essa è aperta ai docenti di classe normale che hanno raggiunto almeno il 7° livello degli 11 previsti.

La retribuzione iniziale, da tirocinante, degli insegnanti di scuola dell’infanzia, primaria e secondaria  è di 1.273 euro; dopo due anni si attesta già a 1.518 euro per arrivare dopo 30 anni a 2.403 euro. Come per tutti i dipendenti statali anche per i docenti che lavorano in determinate zone, soprattutto urbane, è prevista un’indennità di residenza e, se ci si sposta con trasporti pubblici, viene rimborsato anche  il  costo dell’abbonamento.

Un’altra specificità del sistema francese è data dal fatto che i directeurs des écoles non rappresentano una categoria di funzionari. Sono nominati per svolgere funzioni direttive, assicurando l’organizzazione e il funzionamento della scuola.

 

 

 

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L’impegno annuale di lavoro si attesta intorno alle 972 ore di cui 910 da impegnare in attività didattica con 36 settimane di scuola effettiva. Una possibile comparazione con l’orario di servizio degli insegnanti della nostra scuola primaria ( 33 settimane di attività didattica x 24 h. + 40 + 40  = 872 ) vede i colleghi francesi impegnati per circa 100 ore in più all’anno.

La Germania offre un quadro  articolato di ben 6  tipologie di insegnanti. Si diventa docenti di scuola primaria dopo un corso di studi di istruzione superiore della durata di 7 semestri frequentato presso un’università o in un istituto di istruzione superiore equivalente. Successivamente è obbligatoria la frequenza di un corso di formazione pratico – pedagogica della durata di 2 anni. Sia al termine della formazione universitaria sia a conclusione del corso è previsto uno specifico esame di Stato.

Attitudine alla funzione docente, attribuzione della qualifica e rendimento costituiscono i fattori che incidono sull’avanzamento della carriera.

Mentre la descrizione delle attività di servizio è redatta formalmente a cadenza quinquennale, per la valutazione del rendimento  si tiene conto:

  • dell’ impostazione delle lezioni e dei risultati ottenuti ( programmazione, procedure didattiche e metodologiche, attenzione agli obiettivi della lezione, controllo del rendimento, criteri di valutazione, sostegno personalizzato agli studenti, ecc. );
  • delle attività educative ( comunicazione dei valori, attività dirette a scopi educativi, apertura verso i problemi degli allievi, disponibilità ad aiutare, comportamento esemplare ):
  • della collaborazione con altri soggetti del mondo della scuola ( superiori, colleghi, genitori, chiesa, aziende, enti, ecc.);
  • della cura di compiti direttivi, di consulenza e di compiti eccezionali ( p. e . funzioni di direzione e vigilanza, rappresentanza della scuola all’esterno, compiti amministrativi ).

Il capo di istituto utilizza i seguenti giudizi nell’esprimere la valutazione generale sul rendimento dell’insegnante: molto buono, buono, soddisfacente, sufficiente, scarso, insufficiente.

La griglia retributiva comprende 14 livelli. Si accede subito ai livelli 3,4 o 5 grazie al periodo di formazione e di tirocinio svolto. Tutti i docenti dipendono dai Lander.

Lo stipendio iniziale lordo è di circa 2.600 euro mentre quello finale raggiunge 3.500/3.600 euro.

Il rapido, molto essenziale giro d’orizzonte si completa con la Spagna che, per l’educazione prescolare e la scuola primaria, prevede il Cuerpo de maestros, insegnanti che hanno conseguito il titolo universitario di primo ciclo di durata triennale. Per l’istruzione secondaria il corso universitario ( secondo ciclo ) dura 4-5 o 6 anni con ulteriori due corsi accademici di specializzazione didattica. Uno speciale concorso, articolato in due fasi ( valutazione delle conoscenze del candidato e valutazione dei meriti professionali ) .Coloro che superano le prove vengono accreditati in varie scuole per un periodo annuale di formazione sul campo sostenuto da un tutor. Il rapporto di lavoro, redatto dal tirocinante, viene giudicato da un ispettore che è tenuto a valutare anche il giudizio espresso dal tutor.

La promozione professionale, vale a dire il passaggio dalla categoria dei Maestros a quella dei Profesores, avviene per capacità, merito, anzianità e scelta degli interessati.

La retribuzione prevede per i Maestros uno stipendio minimo di 22.786 euro all’anno; dopo 40 anni di servizio si raggiungono 32.285 euro. Ai Profesores inizialmente spettano meno di 4.000 euro in più all’anno che diventano 7.000 alla fine della carriera.

 

1d. Tendenze e sfide

 

Anche una rapida, parziale rassegna dello stato giuridico dei docenti di alcuni Paesi europei, lo studio sistematico dei diversi sistemi formativi, l’attenzione costante alle rilevazioni che l’Ocse compie in tutti i comparti della società organizzata, le ricerche in atto su scala planetaria nei diversi ambiti disciplinari, consentono di cogliere alcune linee di tendenza riguardanti il pianeta scuola che si traducono in vere e proprie sfide per governanti ed uomini di cultura:

 

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  • l’investimento in istruzione e in formazione costituisce la scelta che meglio può contribuire al progresso economico e ad una migliore qualità della vita;
  • i dati raccolti dimostrano che risorse finanziarie abbondanti  non garantiscono, di per sé, risultati soddisfacenti;
  • ai sistemi di istruzione vengono richieste maggiore flessibilità ed un’efficacia più incisiva;
  • essi debbono risultare più facilmente accessibili ad un numero sempre più vasto di soggetti;
  • la formazione iniziale e continua delle diverse componenti coinvolte rappresenta una delle prioritarie condizioni per assicurare favorevole disponibilità verso i processi innovativi;
  • la motivazione dei diversi attori e gli stessi modelli organizzativi e gestionali impongono meccanismi premianti. Affrontare e risolvere nel modo migliore il problema del merito significa assicurare al sistema efficacia ed efficienza;
  • spirito cooperativo, collaborazione autentica, responsabilità condivisa, sana e corretta emulazione possono trovare piena cittadinanza anche all’interno dell’istituzione scolastica.

 

  1. Il ruolo degli insegnanti: condizione primaria per migliorare la qualità dei sistemi

educativi

 

L’accesso sempre più crescente all’istruzione da parte di giovani appartenenti a tutti gli strati sociali, le generali migliori condizioni di vita, la positiva tendenza a rendere più lunghi i percorsi formativi, l’attenzione particolare che il mondo dell’economia e della produzione rivolge al sistema della formazione, il diffondersi di centri di educazione permanente aperti alle diverse generazioni di adulti, collocano anche in Italia la categoria degli insegnanti tra i gruppi professionali più numerosi. I dati rilevabili dal ‘ Libro bianco ‘ del Miur del settembre 2007 quantificano i docenti  in servizio nel 2005 in 862.101  unità di cui 90.193  impegnati nella scuola dell’infanzia, 271.151 nella scuola primaria, 24.799 insegnanti di religione e 2.619 unità di personale educativo occupato nei convitti nazionali e in altre speciali istituzioni.

 

2a. Le caratteristiche sociali del corpo docente italiano

 

Le indagini campionarie condotte dall’istituto Iard nel 1990 e nel 1999 confermano che, mentre la platea degli studenti si è ampliata notevolmente, la composizione per origine sociale dei docenti va sempre più spostandosi verso il basso. Infatti come gli allievi appartenenti alla classe operaia si attestano, per fortuna, al 43% così più di un insegnante su quattro proviene da ceti in declino ( artigiani, commercianti, coltivatori diretti). La classe impiegatizia, dal canto suo, continua a dare al sistema scuola un docente su tre. La percezione che la provenienza sociale degli insegnanti risulti sempre più espressione di un contesto economico – culturale più che modesto si consolida anche alla luce di altri dati. Ad esempio, chi svolge la professione docente non risulta molto appetibile sul mercato matrimoniale. Un tempo mariti in posizione sociale elevata si orientavano, in prevalenza, verso una partner di professione insegnante. Oggi sia il docente maschio, una sorta di specie in estinzione soprattutto nella scuola dell’infanzia e nel primo ciclo di istruzione, sia la collega donna finiscono con lo scegliere partner di non elevato prestigio sociale.

 

 

 

 

 

 

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2b. L’inarrestabile processo di femminilizzazione della scuola

 

La consistente presenza femminile nella scuola non è di certo un fenomeno di questi tempi. E’ particolarmente caro alla memoria della mia generazione quel brano del Cuore di De Amicis in cui si legge che “ Anche le maestre sono tutte vestite da estate, di colori allegri, fuorché la ‘monachina’ che è sempre nera, e la maestrina dalla penna rossa ha sempre la penna rossa, e un nodo di nastri rosa al collo, tutti sgualciti dalle zampette dei suoi scolari che la fanno sempre ridere e correre “.

Il fenomeno, ovviamente, è andato sempre più crescendo, coinvolgendo in questo ultimo mezzo secolo anche la scuola secondaria.

Ovviamente non è solo la scuola del nostro paese ad essere sostenuta da donne: è vero che nella scuola dell’infanzia il 99,6 % dei docenti è di sesso femminile ma percentuali simili più o meno vengono raggiunte anche in Grecia ( 99,4), in Germania (98,3), in Giappone (98,0% ), in Finlandia ( 96,9), in Svezia ( 95,8% ) e così via. Nella nostra scuola primaria la presenza maschile è limitata al 4,6% mentre, ad esempio, nello stesso Giappone si attesta al 35% e in Spagna al 31%. Anche i segmenti del primo ciclo della secondaria e della secondaria superiore hanno rinunciato da tempo al primato maschile di una volta: nell’ex scuola media le donne ormai costituiscono il 75,&% mentre nei licei e nei tecnici si attestano al 59,4%. Che la scuola sia donna e tinta in prevalenza di colore rosa è confermato anche dai dati riguardanti la dirigenza. Fino al 2006/2007 la presenza femminile si attestava al 40%. Nell’ultimo concorso ordinario su 2.184 vincitori  le donne ammontano a 1.442, pari al 66% e con un’età media di 49 anni e mezzo.

La presenza di docenti maschi si rileva soprattutto in quegli ambiti disciplinari del secondo ciclo di istruzione dove è possibile mantenere contestualmente un’attività di tipo professionale esterna ( cattedre di diritto, di economia, di educazione tecnica e di tecnologie varie ). Sulla molto scarsa presenza maschile e sulle ricadute di natura educativo – didattica che questa carenza può eventualmente produrre non ci sono ricerche mirate cui far riferimento. Non sfugge, però, alla nostra sensibilità la constatazione di quanto bisogno ci sia, nell’attuale e sempre più rilevante processo di frammentazione della famiglia, di docenti maschi a partire dalla scuola dell’infanzia fino ad arrivare al secondo ciclo di istruzione. Si sa bene che le decisioni del giudice ordinario sull’affidamento di minori, figli di separati o di divorziati, propendono verso la figura materna. La scuola, pertanto, potrebbe essere l’ambiente ideale ove figure maschili   culturalmente autorevoli, sicure, emotivamente stabili costruiscano reti di relazioni di particolare valenza pedagogica.

Su quanto, poi, la straordinaria e quasi esclusiva presenza femminile sia riuscita a compiere di positivo nel delicato settore dell’educazione alle pari opportunità, comprensibili appaiono perplessità e riserve tenuto conto di come risulti tuttora svantaggiata la condizione della donna nella nostra società.

 

2c. La meridionalizzazione della docenza e la mobilità geografica

 

Non è solo il mondo della scuola a risentire del fenomeno, ai nostri giorni riacutizzatosi enormemente a causa dell’elevata percentuale di giovani diplomati e laureati meridionali in cerca di occupazione e della contestuale crisi recessiva, della migrazione dal Sud al Nord del Paese di tante potenziali risorse. E’ tutto il comparto del pubblico impiego, infatti,  a registrare questa triste, continua  peregrinatio dolens che ha alimentato, anche recentemente e specificamente per il settore scuola, considerazioni anche poco felici da parte  di qualche esponente politico.

E’ evidente che quando anche per i laureati del Nord si chiudono sbocchi occupazionali più allettanti, la scuola può risultare una sorta di rimedio che consente, comunque, di gestire con

 

 

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minori sacrifici la crisi e di superare almeno in parte lo stato di frustrazione che la mancanza di lavoro inevitabilmente produce. D’altro canto ad una  popolazione scolastica  che nel Mezzogiorno cala sempre di più ( ormai si è al di sotto del 40% ) corrisponde una disponibilità di insegnanti attestata al 50%. Di conseguenza le graduatorie cosiddette ad esaurimento delle province settentrionali sono zeppe di aspiranti meridionali e generano  problemi anche piuttosto seri quando si tratta di nominare supplenti temporanei.

 La tanto attesa  chiamata  in ruolo  rigenererà  poi  l’altro fenomeno, in atto almeno da  più di quaranta anni, della mobilità geografica nella direzione Nord – Sud che raggiunge annualmente in media anche la misura del 15% con comprensibili, serie conseguenze dal punto di vista della discontinuità didattica ed educativa.

 

2d. L’invecchiamento degli insegnanti

 

Un altro nostro non positivo primato è dato dal tenere il corpo docente più anziano tra tutti i paesi dell’Ocse. Nella scuola primaria, nel 2001, le giovani colleghe con un’età inferiore ai 30 anni costituivano il 2,8%; cinque anni dopo rappresentano soltanto lo 0,8%. L’ovvia giustificazione sta nel fatto che l’ultimo concorso magistrale si è svolto nel 2000. La concentrazione massima dei docenti si registra nella fascia d’età tra i 50 e i 59 anni: 42% nella primaria, 59,5% nella secondaria di primo grado e 49,3% nelle superiori. Segue la fascia tra i 40 e i 49 anni: 35,7% nella primaria, 24,2% nel triennio finali del primo ciclo e 36,1% nei licei, tecnici e professionali.

Questi dati aumenteranno ulteriormente in considerazione dell’elevato tasso di presenza femminile e del molto probabile allungamento, nel prossimo futuro, dell’età pensionabile delle donne a 5 anni. Le cause del pauroso invecchiamento sono molteplici: limitate opportunità concorsuali, chiamate in ruolo sotto forma di sanatorie legislative, provvedimenti molto opinabili del legislatore ( nel 1992 circa 400.000 docenti fruirono delle cosiddette ‘ pensioni baby ‘ con 15 anni, 6 mesi ed 1 giorno di servizio, contratti di 4 anni grazie al riscatto degli anni di università! ).

Le conseguenze, dal punto di vista didattico ed educativo, di un così elevato tasso di invecchiamento del corpo docente sono facilmente deducibili: difficoltà, in particolare nelle scuole dell’infanzia e primarie, di gestire scolaresche sempre più vivaci e penalizzate da un vissuto familiare inappagante, sostanziale indisponibilità – incapacità a comprendere e soddisfare attese ed esigenze degli adolescenti e dei giovani del nostro tempo impegnati, tra notevoli difficoltà, a dare senso alla propria esistenza e a costruire il proprio futuro.

 

2e. La caduta del prestigio sociale dell’insegnante

 

Non poche indagini, comprese quelle già richiamate dello Iard, fanno riferimento ad un graduale logoramento dell’immagine pubblica della professione docente. Anche questo non è un fenomeno esclusivamente italiano. La scolarizzazione di massa e il conseguente ingrossamento dell’esercito degli insegnanti hanno contribuito non poco, unitamente alla modestia del salario percepito, a rafforzare una percezione sociale sempre meno positiva dei docenti che, dal loro punto di vista, considerano – tra le cause scatenanti della caduta del loro prestigio – la centralità dei valori del denaro e dei consumi, tipici della società del nostro tempo, e il radicale ridimensionamento del valore trainante della cultura.

 

 

 

 

 

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C’è, tra gli insegnanti, il diffuso convincimento che tra i luoghi di produzione della cultura, con l’Università in testa, e la scuola la distanza cresca sempre di più. E’ molto diffuso un atteggiamento di marcata critica nei confronti di una famiglia frammentata e rinunciataria all’impegno educativo, ma animata da pretese sempre più illogiche e pressanti. Non si condividono le considerazioni che politici, sociologici, esperti veri o presunti esprimono nel corso dei tanti talk show, finendo spesso con l’affermare  ‘ anche questo è compito della scuola ‘ o col chiedersi ‘ ma cosa fa la scuola ? ‘.

 

  1. LE PROSPETTIVE DELLA FUNZIONE DOCENTE E IL PROBLEMA DEL

MERITO

 

La panoramica compiuta sulla posizione giuridica degli insegnanti in alcuni Paesi significativi d’Europa, l’analisi delle più evidenti difficoltà che condizionano molto spesso negativamente il pieno e migliore esercizio della professione docente, essenziali riferimenti alla specifica situazione in cui viene ad esplicarsi oggi l’attività dell’insegnante in Italia, rendono urgente il tentativo di delineare una qualche prospettiva che consenta di superare una fase sicuramente non favorevole sia per la scuola sia per la stessa funzione docente.

 

3a. La funzione docente nel CCNL

 

Punto di partenza di una riflessione a tal fine orientata è il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro che, nel riprendere quanto previsto dall’art. 395 del Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione ( Decreto Legislativo n. 297/94 ), così si pronuncia sulla funzione docente e sul profilo professionale dell’insegnante:

  • la funzione docente realizza il processo di insegnamento – apprendimento che tende a ‘promuovere lo sviluppo umano, culturale, civile e professionale degli alunni ‘ nel rispetto dei vigenti ordinamenti;
  • essa si fonda sull’autonomia culturale e professionale dei docenti e si esplica nelle attività individuali e collegiali e nella partecipazione alle attività di aggiornamento e formazione in servizio.

Il profilo professionale dei docenti, dal canto suo, è costituito…

  • da competenze disciplinari, psicopedagogiche, metodologico – didattiche, organizzativo – relazionali e di ricerca, documentazione e valutazione tra loro correlate e d interagenti.

            

            Le solenni dichiarazioni di cui sopra incontrano difficoltà oggettive nel tradursi in comportamenti concreti a causa di alcuni limiti presenti all’interno dello stesso CCNL:

            ° assenza di  sollecitazioni  funzionali  al  migliore  svolgimento  dell’attività educativa

              e didattica;

            ° mancato riferimento all’obbligo – dovere alla formazione;

            ° assenza di strumenti di valutazione della funzione docente e del profilo professionale

               dell’insegnante;

            ° mancata considerazione del merito con contestuale carenza di un sistema premiante.

 

 

 

 

 

 

 

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            3b. Eccellenza ed efficacia come modello di riferimento

            

            Si suole dividere la categoria dei docenti  in insegnanti eccellenti, insegnanti esperti,

            insegnanti ordinari e insegnanti ‘ non idonei alla professione ‘.

   Gli eccellenti sono coloro che danno il meglio di sé, si impegnano nella corretta interpretazione delle Indicazioni Nazionali e nella puntuale applicazione del Piano dell’Offerta Formativa, si dispongono con senso di responsabilità all’autovalutazione della scuola, sono capaci di suscitare e sostenere le motivazioni all’apprendere, non perdono occasione per aggiornarsi.

            Thomas Gordon attribuisce ai docenti eccellenti anche la qualifica di insegnanti efficaci.

            Sono quelli che danno vita ad un buon rapporto con l’allievo contraddistinto da…

  • franchezza o trasparenza in modo tale che ciascuno possa essere del tutto sincero e leale con l’altro;
  • considerazione quando ognuno sa di contare molto per l’altro;
  • interdipendenza in quanto opposta alla ‘ dipendenza ’ dell’uno dall’altro;
  • distinzione per permettere a ciascuno di crescere e di svilupparsi nella propria unicità, creatività ed individualità;
  • rispetto delle reciproche necessità in modo che le necessità dell’uno non siano rispettate a spese dell’altro. ( T. Gordon, Insegnanti efficaci, Giunti Lisciani Editori, Firenze, 1991, pag. 40 ).

La nostra scuola ha una percentuale dignitosa ma non prevalente di insegnanti eccellenti ed efficaci. I cosiddetti  esperti, che raggiungono una più che dignitosa entità, fanno seriamente il loro lavoro. In condizioni organizzative più stimolanti e con occasioni di maggiori riconoscimenti potrebbero di certo fare di più ed ambire all’eccellenza. Nei sistemi scolastici di massa come il nostro prevalgono gli insegnanti cosiddetti ordinari che si sono trovati a scegliere l’insegnamento per ripiego o per pratica convenienza. Non eccellono, non brillano ma assicurano l’ordinarietà del servizio. Infine c’è una minoranza di fatto ‘ non idonea alla professione’.

 

3c. Le difficoltà per dar vita ad un sistema premiante

 

Un tempo nel nostro sistema scolastico l’avanzamento di carriera poteva diventare più celere, superando il cosiddetto concorso per merito distinto: prova scritta, colloquio orale e possibilità di arrivare alla classe stipendiale successiva con tre anni d’anticipo. La decretazione delegata del 1974 tolse di mezzo questa opportunità. Dopo molti anni, si era nel 2000, il ministro Berlinguer affrontò con determinazione il problema e, dopo lunghe ed estenuanti trattative, raggiunse l’intesa con le quattro organizzazioni sindacali più importanti confermata nell’art. 29 del CCNL del 26.05.1999: veniva stabilita la possibilità “ per ciascun docente, con 10 anni di servizio di insegnamento dalla nomina in ruolo, di acquisire un trattamento economico accessorio consistente in una maggiorazione pari a lire 6.000.000 annue. Il diritto a tale maggiorazione matura a seguito del superamento di una procedura concorsuale selettiva per prove e titoli attivata ordinariamente nell’ambito della provincia in cui è situata la scuola di titolarità “. Ma, come si ricorda, la ‘piazza’ si ribellò, i sindacati firmatari dell’accordo cavalcarono la tigre del dissenso, il partito di appartenenza di Berlinguer fu sconfitto nelle elezioni regionali e il buon ministro fu defenestrato.

Nel 2003 il ministro Moratti diede all’Aran le consegne per sottoscrivere con le parti sociali un’intesa che, all’articolo 9, prevedesse la necessità di ‘ sviluppare strumenti che valutino il raggiungimento dei livelli di apprendimento da parte degli allievi in varie classi d’età. Tale livello di apprendimento deve anche costituire uno degli indicatori principali per valutare nel

 

 

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merito la qualità dell’insegnamento erogato dalle singole scuole, così come pure la costruzione di un percorso di carriera docente non dovrà prescindere dall’incidenza di questi stessi elementi qualitativi ‘. Al momento della sottoscrizione la bozza scomparve e tutto continuò come prima.

Nel marzo del 2008, alla vigilia delle ultime elezioni politiche, alcuni intellettuali, autodefinitosi Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità, scrissero una lettera ai partiti e ai candidati in cui si chiedeva ‘ una scuola più qualificata ed efficace , ma insieme più esigente sul piano dei risultati e del comportamento ‘, restituendo ai docenti, ‘spesso demotivati e resi scettici da troppe frustrazioni, il prestigio e l’autorevolezza del loro ruolo ‘.

      Tra i firmatari si leggevano i nomi di Giorgio Allulli,  Remo Bodei,  Piero Crateri, Ernesto Galli

      Della Loggia, Giorgio Israel, Mario Pirani, Giovanni Sartori, Aldo Schiavone, Sebastiano

      Vassalli.

A rispondere in male modo a questo appello fu il segretario della Cisl Scuola che giudicò i firmatari ‘ docenti universitari ed editorialisti che, per di più, non hanno titolo per parlare di scuola’.

 

3d. Il Rapporto di febbraio 2009 della Fondazione Agnelli

 

Questo Rapporto, nell’evidenziare anche alcuni aspetti positivi della scuola italiana, si sofferma principalmente sul problema degli insegnanti. Sostiene di dover superare il sistema delle 8.000 graduatorie in cui sono inseriti gli aspiranti a supplenze e ad incarichi. Fa riferimento alla ‘giostra’ degli insegnanti che fruiscono del beneficio contrattuale di potersi spostare ogni anno da una sede all’altra, determinando di fatto che il 27% di essi è nuovo rispetto all’anno scolastico precedente. Soltanto per l’anno scolastico in corso sono state accolte 90.000 domande di trasferimento delle circa 150.000 presentate.

Queste le proposte avanzate dalla stessa Fondazione per una nuova scuola:

  • differenziazione delle retribuzioni;
  • autovalutazione delle scuole;
  • visite ispettive ministeriali;
  • prove standardizzate di misurazione degli apprendimenti;
  • giudizio di soggetti terzi ( Università, mercato del lavoro );
  • assunzioni dirette di personale docente da parte delle scuole.

 

3e. Tra la proposta di legge del deputato Gelmini e quella dell’onorevole Aprea

 

Nel corso della precedente legislatura ( la XV ^), esattamente il 5.02.2008, il deputato Mariastella Gelmini presenta una proposta di legge per  ‘ la promozione e l’attuazione del merito nella società, nell’economia e nella pubblica amministrazione e istituzione della Direzione di valutazione e monitoraggio del merito presso l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ‘.

Interessante l’articolo 1 in cui si definisce il concetto di merito:

“ Ai fini della presente legge si intende per merito il conseguimento di risultati individuali o collettivi superiori a quelli mediamente conseguiti nei rispettivi ambiti di attività, tenuto conto dei compiti assegnati e delle capacità possedute “.

 

 

 

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Il 12 maggio 2008, ad elezioni appena ratificate, l’onorevole Valentina Aprea, già sottosegretario all’istruzione e presidente della Commissione Istruzione e Cultura della Camera dei Deputati, presenta una proposta di legge, su cui da tempo è avviata la discussione, sulle “Norme per l’autogoverno delle istituzioni scolastiche e la libertà di scelta educativa delle famiglie nonché per la riforma dello stato giuridico dei docenti “.

 

Questi gli aspetti più significativi:

  • le istituzioni scolastiche, nella loro autonomia, provvedono a costituire i loro organi di governo e ne disciplinano il funzionamento secondo le norme generali dettate da questa stessa legge;
  • ogni scuola può costituirsi in fondazione con la possibilità di partner che ne sostengano l’attività. I partner possono essere enti pubblici e privati, altre fondazioni, associazioni di genitori o di cittadini, associazioni non profit;

 

  • gli organi delle istituzioni scolastiche sono il dirigente scolastico, il consiglio di amministrazione, il collegio dei docenti, gli organi di valutazione collegiale degli alunni, il nucleo di valutazione;
  • tra le attribuzioni del consiglio di amministrazione anche la nomina dei docenti esperti e dei membri esterni del nucleo di valutazione. Ne fanno parte, in numero non superiore ad 11, rappresentanti dei genitori, degli insegnanti e degli studenti negli istituti di secondo grado. Tra i componenti , ovviamente, il dirigente scolastico, il rappresentante dell’ente locale ed esperti esterni;
  • il nucleo di valutazione è chiamato a valutare l’efficienza, l’efficacia e la qualità complessive del servizio scolastico. E’ composto da docenti esperti e da non più di due membri esterni;
  • sono riconosciute e valorizzate le libere associazioni professionali dei docenti nelle quali essi possono sviluppare la propria dimensione professionale:
  • l’istituzione della laurea magistrale di secondo livello per la formazione iniziale dei docenti;
  • l’istituzione di un albo regionale per coloro che conseguono la laurea magistrale;
  • i laureati che conseguono l’abilitazione svolgono un anno di applicazione mediante un apposito contratto di inserimento formativo al lavoro;
  • le scuole bandiscono concorsi a scadenza triennale per l’assunzione dei docenti;
  • l’attività del docente è soggetta a una valutazione periodica effettuata da un’apposita commissione di valutazione. Si considerano l’efficacia dell’azione didattica e formativa, l’impegno professionale nell’attuazione del POF, il contributo complessivo dato alla scuola, i titoli professionali;
  • riconoscimento dell’associazionismo professionale all’interno dell’istituzione scolastica;
  • istituzione di organismi tecnici rappresentativi della funzione docente;
  • soppressione della rappresentanza sindacale unitaria dell’istituzione scolastica.

 

                                                                         Ambrogio IETTO

 

       

 

 

 

           

           

 

 

 

 

 

 

 

 

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