QUANDO IL SALERNITANO NEL 1863 RACCONTAVA…

Ambrogio Ietto

 

Nel ricco archivio dell’avvocato Nino Bassi

 

QUANDO IL SALERNITANO NEL 1863

RACCONTAVA…

 

 

Al di là delle ricorrenti dichiarazioni che soprattutto referenti istituzionali amano proferire sulla loro salernitanità, c’è chi, con straordinaria discrezione,  profonda umiltà, forte senso di appartenenza, grande generosità ha orientato e continua ad orientare la sua esistenza verso un amore illimitato ed autentico nei riguardi di Salerno e del territorio che da sempre fa riferimento alla città capoluogo.

Il vincolo affettivo, nel caso specifico, è manifestato dalla pluridecennale attività di ricerca tra antiquari, rigattieri, bancarellisti, mercatini delle pulci di quanto storicamente ed antropologicamente possa riguardare la Salerno del passato: dai libri alle pergamene, dalle stampe figurate alle  fotografie d’epoca, dagli editti alla corrispondenza privata di nostri uomini illustri. Della disinteressata disponibilità  dell’avvocato Nino Bassi, questo il nome del collezionista, hanno fruito, a volte anche con comportamenti piuttosto discutibili, ricercatori ufficiali, liberi studiosi, enti pubblici tra cui l’Archivio di Stato, la Biblioteca provinciale e lo stesso Comune di Salerno, destinatario di un busto in gesso, opera dello scultore Chiaromonte, di Giovanni Cuomo, già ministro dell’educazione nazionale nel governo di Badoglio che si insediò nella Salerno libera del 1944.

Nella casa museo – archivio di Nino Bassi è stato possibile recuperare anche un esemplare del progenitore dell’attuale quotidiano “ Il Nuovo Salernitano “  giunto ormai al tredicesimo anno di vita.

Trattasi de “ Il Salernitano – Giornale dei Comuni e della Provincia “, pubblicato sabato 25 aprile 1963 col n. 15. Gerente responsabile di quel periodico Carlo Sparano, stampato presso lo stabilimento tipografico di Raffaello. Migliaccio al n. 45 della Salita dei Canali, al costo di centesimi 15 a copia e con una tariffa per l’abbonamento annuale di 6 lire ed 80 centesimi, risulta di particolare interesse l’esame e l’analisi del contenuto.

L’articolo di fondo, non firmato ma probabilmente da attribuire al ‘ gerente responsabile ‘, affronta, infatti,  il delicato tema del comportamento del clero salernitano durante e immediatamente dopo il processo di unità nazionale. La sua impostazione, sufficientemente serena, pone interrogativi di particolare interesse che possono essere riproposti ancora oggi sul delicato rapporto tra fede e politica, tra azione pastorale del clero e conseguente impegno politico.

La constatazione da cui muove l’editoriale tiene conto della generale, diffusa avversione di gran parte del clero nei riguardi delle pubbliche istituzioni. Va ricordato che soltanto il 18 febbraio del 1861 si svolge la prima riunione del nuovo Parlamento italiano che ratifica l’avvenuta unificazione del paese e che un mese dopo il papa Pio IX riafferma l’impossibilità di una riconciliazione fra Stato italiano e Chiesa.

Di fatto la cosiddetta questione romana costituisce la maggiore preoccupazione del nuovo governo unitario acuita dalle posizioni piuttosto rigide del Pontefice che nel 1864 (quindi l’anno successivo alla pubblicazione del n. 15 de “ Il Salernitano “) scrive l’enciclica “ Quanta cura“ a cui si allega “Il Sillabo “, un elenco di 80 errori riconosciuti dalla Chiesa.

Trattasi di una vigorosa presa di posizione che rende inutile l’opera dei cattolici liberali mentre rafforza quella degli integralisti clericali.

Il redattore de “ Il Salernitano “ del 1863 non può non tenere conto di questo delicato contesto storico – culturale e sottolinea subito l’apporto prezioso offerto dalla maggioranza del clero salernitano e, in particolare, dai sacerdoti più giovani dell’Archidiocesi che, nel riconoscere il governo nazionale, sono intervenuti al plebiscito, hanno consacrato con riti religiosi le feste della neo – nazione, dando una concreta testimonianza del rispetto che si deve all’autorità costituita e alle leggi varate dal neonato Parlamento.

Un merito particolare viene espresso nei riguardi dell’ ultimo “Arcivescovo defunto i cui esempi di disinteresse, di abnegazione e di tolleranza è desiderabile che siano sempre imitati, affinché più vantaggiose ritornino le condizioni del nostro clero “.

Il testo non cita il nome del Presule riconducibile a quello di mons. Marino Paglia, arcivescovo primate di Salerno dal 6 aprile 1835 al 5 settembre 1857, il quale “ in mezzo ai furori della reazione, quando era supremo intento dei Borboni che sempre più fitte fossero addiventate le tenebre dell’ignoranza, senza curarsi di cadere in disgrazia dei superbi vincitori, pose mano a provvedere ad una migliore educazione morale ed intellettuale del clero nel suo seminario “.

E’ riconosciuta, così, la preziosa, determinante azione pedagogica svolta dal presule Paglia nella formazione dei nuovi presbiteri la cui apertura mentale consente di trovarli “ devoti alla patria ed alla civiltà “ ed intellettualmente pronti ad  adoperarsi per “ ingenerare amore alle libere istituzioni, mostrandole conformi coi principi della religione “.

L’editoriale, però, sottolinea che pur sono presenti, sia pure in minoranza, preti che “ osteggiano ed inimicano le libere istituzioni e pongono ogni loro opera per frapporre indugi alla compiuta redenzione della patria “.

L’analisi critica, confortata da puntuali richiami culturali e storiografici, va avanti con dignità ed offre al lettore eventualmente interessato preziosi spunti per una valutazione meno affrettata dell’attuale rapporto tra politica, società civile e Chiesa locale.

                                                                        

                                                                                         Ambrogio  Ietto

 

 

ALTRI CONTRIBUTI OSPITATI NE “ IL SALERNITANO “ del 1863

 

Sottoscrizione a favore dei Polacchi

 

Il 16 aprile 1863 l’operaio salernitano Matteo Rossi invia al generale Giuseppe Garibaldi, convalescente nell’isola di Caprera, un vaglia postale di lire 532,05 a supporto dell’eroica lotta che i fratelli Polacchi “ sostengono contro l’autocrate russo “. L’importo costituisce il frutto della raccolta operata tra i “ concittadini Salernitani “.

Particolarmente toccante la parte finale della lettera che accompagna il vaglia postale: “ Le liete notizie che giornalmente ci giungono sulla vostra prossima e completa guarigione ci riempiono di gioia e di speranza. Dio vi conservi alla salute della patria, alla redenzione e fratellanza dei popoli “.

 

La Guardia Nazionale di Cava e le precisazioni del sindaco Genoino

 

Il sindaco di Cava de’ Tirreni dell’epoca, Giuseppe Genoino, chiede ospitalità al gerente responsabile de ‘ Il Salernitano ‘ in merito a quanto pubblicato sul precedente n. 14 del periodico: i due giovani arrestati non erano travestiti da Guardie Nazionali né andavano identificati per briganti. Si tratta, invece, soltanto di “ ladruncoli che avevano lo scopo di rubare “.

Questione più importante riguarda la presunta, mancata accoglienza, da parte del presidio della Guardia Nazionale di Cava, del battaglione della Guardia Nazionale di Salerno in visita di addestramento nella località metelliana. Se l’incontro è mancato lo si deve all’accordo avvenuto tra i due comandanti dei due contingenti che “ avevano già più volte dato prova dei loro nobili sentimenti  reciproci di fratellanza“. Di conseguenza appare inopportuna la dichiarazione di meraviglia del cronista.

Il lettore noterà come i rapporti tra salernitani e cavesi siano stati gestiti sempre con prudente equilibrio ed apparente diplomazia!

 

 

 

Appello alla carità cittadina a sostegno dei detenuti

 

Nelle carceri di Salerno, negli anni immediatamente successivi all’unità d’Italia , soggiornano ben 1400 detenuti. Le condizioni igieniche sono semplicemente disastrose. Al loro risanamento deve provvedere, ovviamente, il governo centrale. Ora, però, è possibile adoperarsi per offrire ai reclusi la possibilità di svolgere un’attività all’interno del penitenziario in considerazione del fatto che il “lavoro è l’unico mezzo per togliere l’uomo dall’oziosità in cui ogni vizio si rinforza e cresce “. Già molti detenuti sono impegnati nel laboratorio di calzoleria.

Necessita, quindi, incentivare l’impegno lavorativo di ciascuno degli ospiti, alimentando “ il bisogno prepotente  di abbandonare la via tempestosa ed amara del vizio per avviarsi sui santificati sentieri della virtù “.

“ Il Salernitano“ del 1863 si rivolge, così, alla “ Commissione delle Signore “, che tante benemerenze ha già acquisito a favore dell’asilo infantile, al fine di promuovere la raccolta di cotone, tela, filo ed “ altre cose per essere lavorate nel carcere “.

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