L’ORA DI RELIGIONE ISLAMICA

Ambrogio Ietto

L’ORA DI RELIGIONE ISLAMICA

 

 

L’INCAUTO CARDINALE MARTINO

 

 

Non è la prima volta che il nostro illustre concittadino cardinale Renato Martino si lascia andare in incaute e, probabilmente, improvvisate dichiarazioni. Ora è di nuovo sulle pagine dei quotidiani nazionali per il suo assenso di massima espresso sull’ipotetico inserimento dell’insegnamento della religione islamica nelle scuole statali.

Egli giudica un ‘ diritto ‘ dei cittadini di cultura musulmana poter assicurare ai loro giovani congiunti, frequentanti le nostre pubbliche istituzioni educative, la fruizione dell’insegnamento sistematico del corano allo stesso modo di come i nostri ragazzi possono avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica. Sempre secondo il parere di Sua Eminenza questa innovazione ’ permetterebbe di evitare che i giovani di religione islamica finiscano nel radicalismo‘. Come era da prevedersi la presa di posizione del presidente del Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace, incarico che Martino lascerà tra un mese per raggiunti limiti di età, non è stata condivisa né dal cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, fermo sulla necessità della conoscenza del fatto religioso cattolico come ‘ condizione indispensabile per la comprensione della nostra cultura e per una convivenza più consapevole e responsabile ‘ né dalla fonte ufficiale vaticana che ha liquidato come ‘personale’ la posizione assunta dal cardinale.

Si comprende bene quanta sorpresa, mista ad amarezza, si condensi dentro l’espressione ‘ posizione personale ‘. Martino, in quanto principe della Chiesa, non è un comune prete di avanguardia. Egli, oltre il prestigioso incarico che ancora ricopre, ha rappresentato per molti anni lo Stato vaticano presso l’Assemblea generale dell’Onu, quindi è conoscitore attento delle molteplici, variegate espressioni che la cultura religiosa musulmana assume nelle diverse realtà socio – politiche del pianeta.

Come è noto la sua dichiarazione è scaturita da una proposta avanzata dal vice – ministro Adolfo Urso in rappresentanza della Fondazione Farefuturo di cui è segretario generale. Si sa bene che ormai le Fondazioni sostituiscono di fatto i partiti in tema di proposte da lanciare sul non troppo fertile e qualificato mercato delle idee. Esse danno vita ad incontri e ad interscambi con esponenti di altre aggregazioni, superando, così, il clima glaciale dell’attuale incomunicabilità che imperversa tra maggioranza ed opposizione. Urso, infatti, l’idea dell’ora di religione islamica l’ha partecipata proprio in occasione di un forum combinato tra la Fondazione cara al suo leader Gianfranco Fini e l’altra ItalianiEuropei voluta e sostenuta da Massimo D’Alema.

E’ fuor di dubbio che la questione posta, avallata anche dal cardinale Martino, si colloca nel contesto di una realtà come quella italiana costretta ad affrontare oggi situazioni vissute in precedenza da altri Paesi europei: sostenuta immigrazione extracomunitaria, frammentazione culturale, calo del comune senso etico, processo in atto anche nella scuola di diffusa laicizzazione.

Come è noto i rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa Cattolica sono regolati, in ossequio alla Carta Costituzionale, da uno specifico Concordato siglato nel 1929 ed aggiornato con l’Accordo del 1984 sottoscritto, per parte italiana, da Bettino Craxi, all’epoca presidente del consiglio. Fino al 1985 la nostra scuola primaria ha avuto come ‘ fondamento e coronamento ‘ della sua azione educativa e didattica ‘ l’insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica ‘.

All’articolo 9 del citato Accordo, ratificato con la legge ordinaria n. 121 del 23 marzo 1985, è scritto testualmente che ‘ la Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado ‘.

 

 

Su questa posizione si collocano, in concreto, anche i due principali testi per le politiche educative dell’Unione Europea coordinati proprio da altrettanti autorevoli esponenti della laicissima Francia: il ‘Rapporto Delors ‘ (1993) e il ‘ Il libro bianco  Cresson ‘ (1995 ). Tra queste pagine è possibile, così, leggere che è compito della scuola, nell’ambito della cultura storico – filosofico – letteraria conservare la memoria del passato, promuovere la capacità di riconoscere le proprie radici, sviluppare il senso dell’appartenenza collettiva e la comprensione dell’altro, favorire il discernimento, accrescere il senso critico dell’individuo, proteggerlo contro le manipolazioni.

Simili espressioni, ovviamente, possono essere interpretate in modo diverso. Chi scrive è convinto che la memoria del nostro passato, le nostre radici antropologicamente consolidate riconducano ad eventi storicamente definiti ( Roma centro del cristianesimo universale, 2000 anni di vicende tra luci ed ombre nel rapporto tra Papato, Stati prerisorgimentali e Stato unitario ), a tradizioni, riti, celebrazioni che costituiscono l’eredità più vera e rispettabile dei nostri padri, ad impareggiabili, straordinarie elaborazioni artistiche prevalentemente ispirate ai tratti più emblematici e distintivi della vicenda umana di Cristo. Il richiamato ‘ senso dell’appartenenza collettiva ‘ nella nostra vita comunitaria, per fortuna,  si esprime ancora intorno al campanile, alla parrocchia, all’oratorio.

Proposte di questo tipo, allora, servono soltanto a fare chiasso, a tentare di guadagnare cittadinanza, facendo l’occhiolino di triglia a componenti dell’attuale quadro politico che, da qualche tempo, esaltano strumentalmente le posizioni del presidente della Camera Fini individuato come il soggetto idoneo a far uscire da Palazzo Chigi il Cavaliere.

Gli allievi di cultura musulmana possono avvalersi tranquillamente dell’ordinamento scolastico vigente che consente, in alternativa all’insegnamento della religione cattolica, di fruire durante la stessa ora di interventi attentamente programmati nell’ambito della conclamata autonomia didattica ed organizzativa delle singole istituzioni scolastiche ed orientati ad approfondire, con un’impostazione pedagogica autenticamente laica, aspetti distintivi della cultura e dell’organizzazione sociale del nostro Paese.

Dal canto loro le famiglie di appartenenza  alimentano, come è giusto che sia, nei luoghi di culto e nella pratica religiosa domestica la fede coranica. Una corretta, equilibrata, per niente enfatizzata presentazione della nostra organizzazione sociale consentirebbe di favorire un processo di autentica, piena, responsabile integrazione, evitando il rischio, previsto dalle indicazioni offerte dall’Unesco, di possibili manipolazioni così come purtroppo  avviene in non pochi casi di vero e proprio fondamentalismo.

Assicurare l’ora di religione islamica nelle istituzioni scolastiche pubbliche, con l’utilizzazione di docenti necessariamente di fede musulmana ma non selezionati da un’unica autorità religiosa universalmente riconosciuta e senza un corretto, equilibrato coordinamento col curricolo ufficiale della scuola, significherebbe offrire ai cattivi intenzionati ulteriori occasioni di incomprensione e di intolleranza.

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