Archivio per novembre, 2009

IL PROBLEMA DEL GIORNO

28 novembre 2009

 

 

Ambrogio Ietto

 

DALLA NOTIZIA CIVETTA DELL’OBESITA’ INFANTILE

 

ALLA VERA MEDICINA PREVENTIVA

 

In gergo giornalistico un titolo dato ad una notizia assume la qualifica di ‘civetta’ quando riesce ad attirare immediatamente l’attenzione del lettore. Succede, così, che anche un direttore di quotidiano sufficientemente navigato qual è Gigi Casciello vada parzialmente in tilt  leggendo un flash d’agenzia dal titolo ‘ I bambini salernitani sono i più obesi d’Italia’ e chieda lumi a chi, come me, non è pediatra né nutrizionista e nemmeno medico di famiglia ma semplicemente un vecchio uomo di scuola che agli allievi in età evolutiva e alle problematiche pedagogiche ha dedicato e continua a dedicare buona parte della sua esistenza.

Dunque va subito attribuito un trenta e lode al presidente della cooperativa Mediservice il quale per annunciare l’evento di una tavola rotonda sul tema “ Il medico della buona salute “, in programma sabato prossimo nella stessa sede della cooperativa, anticipa che in quell’occasione si discuterà anche di una ricerca effettuata dal dipartimento di prevenzione collettiva dell’Asl di Salerno dalla quale emergerebbe l’ulteriore primato negativo, acquisito dalla nostra comunità, di avere i bambini tra gli otto e i nove anni più obesi d’Italia.

Dei particolari della ricerca si conosce un solo dato sicuramente allarmante: uno su due dei piccoli di questa età manifesterebbe spiccata tendenza all’obesità.

Meraviglia che di una rilevazione così importante condotta dall’Asl salernitana non vengano offerti dati ed avvertimenti mirati da parte dell’amico Domenico Della Porta, direttore dello specifico dipartimento “ Prevenzione” ed attento studioso di problematiche mediche collegate alla salute collettiva.

Comunque il problema esiste e già all’indomani della Conferenza Ministeriale Europea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità  di Istanbul di alcuni anni fa fu lanciato l’allarme sui futuri 15 milioni di bambini obesi che avrà l’Europa entro l’anno prossimo. Sono anni che finanche alcune multinazionali del settore agroalimentare come la Coca Cola e McDonald dichiarano di darsi da fare a tutela di una più corretta alimentazione per i nostri bambini. Come venga assicurato questo contributo è difficile saperlo in considerazione del fatto che ancora oggi condurre uno scolaretto al McDonald significa offrirgli una delle più desiderate ed appetitose pietanze certamente non composte dagli ingredienti della tanto decantata nostra dieta mediterranea.

In Italia si sta dando da fare con particolare impegno la Coldiretti  che ancora ieri, nel corso della ‘Giornata dell’Unione Consumatori ‘, annunciava l’attivazione di un progetto denominato “ Scuola e cibo “. In questa stessa sede il ministro dell’istruzione Gelmini anticipava, udite udite, la clamorosa novità di contatti avviati col presidente del Coni Gianni Petrucci per l’introduzione della ‘ lezione di ginnastica ‘ (sic! ) nel primo ciclo di istruzione ( scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo grado ) al fine di combattere la crescente obesità infantile. Meno male che anche i nostri pochi lettori sanno  che l’educazione fisica, ora battezzata “ Corpo, movimento, sport“ è da sempre disciplina organicamente inserita nel curricolo delle nostre scuole. Il problema vero si identifica con chi svolge questa attività didattica e sul come viene svolta.

La medesima considerazione va fatta per l’educazione ad una sana alimentazione, intervento formativo che andrebbe diretto permanentemente a tante mammine che, per fretta o per carenza di buona volontà, preferiscono risolvere il tutto col cibo spazzatura, costituito da merendine, bibite zuccherate, patatine, caramelle e pietanze contenenti coloranti ed aromatizzanti. Finanche la lontana Lettonia da anni ha disposto il divieto di vendita nelle scuole del cosiddetto ‘junk food’, letteralmente cibo stuzzicante ma non molto sano.

Infine una considerazione sull’impegno della sanità pubblica e delle tante associazioni mediche a favore della buona salute e della medicina preventiva. Salerno, la sua provincia e l’intero Mezzogiorno sono privi di una sanità che faccia della medicina scolastica e preventiva lo strumento primario per assicurare all’adulto di domani una vita più sana e alla comunità oneri molto più contenuti nella spesa sanitaria.

Nelle nostre scuole dell’infanzia e primaria manca il “ bilancio di salute “, vale a dire il controllo periodico sulle condizioni cliniche del piccolo allievo, vale a dire la valutazione globale del suo stato di salute inteso come benessere psico-fisico e sociale e non solo come assenza di malattia.

La redazione del “ bilancio di salute “ presuppone ciclica valutazione dello sviluppo psico-somatico con relativa compilazione della cartella sanitaria individuale e annotazione dei rilievi epidemiologici realizzati.

Ben venga allora il titolo civetta se si tratta di compiere una riflessione seria ed a più voci su un’effettiva azione di medicina preventiva a livello di età scolare.

UN POCO DI FANTAPOLITICA

22 novembre 2009

 

Ambrogio Ietto

 

DE LUCA – PASQUINO:

DERBY STRAORDINARIO

 

 

L’altro giorno, nello spazio settimanale che l’editore di Telecolore mi ha cortesemente sollecitato a coprire, riflettendo ad alta voce col bravo conduttore Peppe Leone sulla complessa questione delle candidature alla presidenza del governo regionale, mi è venuta spontanea una proposta provocatoria: ma perché il centrodestra, che è in oggettive difficoltà per il caso Cosentino, non raggiunge una rapida intesa con De Luca e lo candida a governatore della Campania con la propria aggregazione politica ?

Nell’odierna riflessione mi dispongo a ritornare sulla provocazione avanzata, pur ricordando la significativa aria del grande Metastasio che ammonisce: “ voce dal sen fuggita poi richiamar non vale “. Che possa trattarsi proprio di una boutade ora, anche a mente piuttosto fredda, potrei ancora convenire. Ma aggiungerei che le vie del Signore sono infinite e che in politica non bisogna mai dire mai.

Tento, così, di partecipare ai pochi pazienti lettori il mio discutibile ragionamento. Ormai è notizia acquisita che De Mita guarda al futuro governo regionale con particolare attenzione. Il localismo è un suo antico limite – virtù. Si è trattato di limite in quanto non gli ha consentito di consolidare quella naturale sua predisposizione cognitiva a volare alto e ad accontentarsi del pur nobile ruolo di fine elaboratore di più o meno attendibili ipotesi politiche.

Questo suo interesse alle vicende locali si è rivelato, però, anche comportamento virtuoso in quanto gli ha consentito e gli consente tuttora di incidere, e non poco, sugli assetti politico – amministrativi di casa nostra. Alla sua corte, infatti, approdano rossi, bianchi e grigi protagonisti del tempo che fu i quali, spiazzati, mortificati o elusi dal discutibile bipartitismo tuttora in voga, vanno a confessarsi a Nusco, assicurano il grande maestro sul fatto di essere circondati da una più o meno folta schiera di seguaci, ottengono l’assoluzione e lo sollecitano a legittimare la loro adesione con un intervento pubblico dell’ex presidente del Consiglio nell’area territoriale di provenienza.

A quanto pare dagli incontri romani tra i vari big dell’UDC e del PD traspare che la Campania potrebbe essere una delle regioni in cui il partito di Bersani concederebbe la candidatura al governatorato ad una persona segnalata da Casini. Questa concessione converrebbe ad entrambi i contraenti: il PD porrebbe fine, così, alla vecchia diatriba tra bassoliniani e deluchiani, tra favorevoli e contrari alle primarie mentre l’UDC accontenterebbe De Mita, indiscutibile elemento trascinatore, in regione,  del consenso per questa parte politica.

Il visir di Nusco sa di poter giocare una carta vincente puntando su Raimondo Pasquino, rettore dell’Università degli Studi di Salerno: è suo vecchio amico, sa che gli porta fortuna così come avvenne col compianto predecessore Buonocore, è stato sempre affascinato dal mondo dell’accademia anche se non si è adoperato molto per ottenere anche per sé  una cattedra universitaria, lo stima perché il rettore ha mostrato di possedere straordinario fiuto politico nel costruire e consolidare relazioni politico – amministrative decisive per lo sviluppo e il potenziamento delle strutture del Campus e una forte, autorevole  leadership nella gestione dei vari organismi didattici ed amministrativi che sovrintendono al governo dell’Università.

Per il centrodestra la molto probabile intesa tra UDC e PD a livello nazionale significherebbe una sconfitta quasi certa che diventerebbe ancora più sonora a seguito della vicenda Cosentino resa ancora più penalizzante dall’ingeneroso e per niente esaltante fuoco amico sparato da Bocchino e compagni.

Una qualsiasi candidatura, Cosentino sì o Cosentino no, determinerebbe – per quanto accaduto – il mancato sostegno al candidato alla presidenza al solo scopo di dimostrare che la scelta operata non risultava condivisa da una delle componenti del PDL.

A questo punto la soluzione De Luca, per quanto illogica, priva di senso, disancorata dalla realtà, frutto esclusivo della fertile creatività di chi scrive, rappresenterebbe l’unica ipotesi praticabile: il sindaco da tempo si dichiara appartenente alla migliore espressione della destra europea, è caratterialmente molto simile al Cavaliere e può contare su una corte di fedelissimi di certo più coesa di quella che gravita intorno al presidente del consiglio, per lui  ha una marcata simpatia il ministro degli interni Maroni, è fortemente motivato ad andare a Santa Lucia, ha una grossa pietra nelle scarpe da togliersi nei confronti di Bersani, di D’Alema  e di Franceschini, i quali lo hanno illuso non poco durante la recente sceneggiata delle primarie, confermerebbe l’antica sua avversità alla disastrosa politica bassoliniana e alle abituali intrusioni di De Mita sulle vicende amministrative della città, ha dato prova sufficiente di sapere amministrare, metterebbe a rischio la candidatura Pasquino e ridarebbe smalto alla competizione elettorale, dando vita ad un interessante, straordinario derby tra due non salernitani doc che hanno fatto, però, della salernitanità, nei rispettivi campi di azione,  un ricorrente leit – motiv. Capisco, è solo fantapolitica. Chissà che qualcuno non tragga spunto da questa boutade e avvii a tal fine una non compromettente fase esplorativa.

UNA RECENTE PUBBLICAZIONE

18 novembre 2009

 

 

Ambrogio Ietto

 

LE   ISTORIUCOLE   NOCERINE

 

di

 

Aldo Di Vito

 

 

Ci sono mezzi e metodi diversi per ottenere il ritratto di una persona, la sintesi espressivamente efficace del suo modo di essere, del livello di autonomia raggiunto, dei comportamenti assunti in tempi e in contesti diversi, del suo stile di vita.

Per me, che nocerino non sono e che non ho avuto la fortuna di godere del dono di una lunga e sistematica frequentazione con l’avvocato Aldo Di Vito, è stata più che sufficiente la lettura di queste sue istoriucole per avere la conferma di trovarmi dinanzi ad una personalità dal solido retroterra culturale, intransigente con se stessa, indisponibile ai compromessi, indissolubilmente legata a forti, irrinunciabili richiami valoriali, ma anche dotata di un ricco potenziale di creatività, di un sottile senso di umorismo, di un sofferto sentimento di nostalgia nei riguardi di un passato contraddistinto da modi di vivere e di comportarsi ormai definitivamente superati dall’invasivo pragmatismo dei nostri giorni.

E’ lo stesso termine di istoriucole a confermare il rigore e la serietà degli studi umanistici compiuti dall’autore presso il rinomato liceo classico ‘ G. B. Vico ‘ di Nocera Inferiore. La ‘ i ‘ anteposta al primitivo ‘ storia ‘ , definita dagli esperti di linguistica come forma prostetica utilizzata per dare armonia musicale alla parola, si va a connettere col suffisso ‘ ucole ‘, un elemento morfologico che, posponendosi all’originale radice, ne modifica il senso, mescolando la sfumatura diminutiva con quella dispregiativa.

Di Vito, dunque, intende conferire un’idea di piccolezza a questi suoi scritti, apparsi in un lungo arco di tempo, in prevalenza sul glorioso Risorgimento Nocerino, e  contraddistinti anche dai tratti di un appassionato sdegno, di una sofferta riprovazione, di una documentata critica, di un severo biasimo verso decisioni, pronunciamenti, comportamenti non veritieri, ambigui, offensivi della dignità della persona, disancorati del tutto da valori primari quali la giustizia, l’onestà, l’ordine, la libertà, l’interesse generale, la coerenza e da un’etica politica lontana dal tatticismo e dal trasformismo oggi così di moda.

Che le istoriucole si riferiscano a fatti, episodi, volti, esperienze, accadimenti della sua Nocera, oltre che dal titolo della raccolta, lo si ricava dai tanti, continui  richiami descrittivi di notevole intensità partecipativa che Di Vito compie, così da offrire al lettore una cornice antropologicamente corretta della città dell’Agro.

L’autore, anche se porta dentro di sé sangue irpino, sente verso Nocera un amore illimitato che si manifesta in tristezza ‘plumbea, desolante, opprimente e deprimente ‘ nel constatarne lo stato di abbandono, il processo di graduale deterioramento percepibile anche nella diffusa atmosfera di silenzio, di rassegnazione, di pigrizia, di carenza di entusiasmo che si respira tra la gente.

Certo, ad esprimere considerazioni così gravi non è un cittadino qualunque, è un uomo che ha dato metà della sua esistenza all’impegno civico fino a svolgere per un quadriennio le funzioni di sindaco. Le sue valutazioni, pertanto, possono essere di parte e risentire delle non sempre lineari e tranquille vicende che caratterizzano le campagne elettorali, gli scontri in consiglio comunale, le polemiche scaturite da decisioni assunte e non condivise.

Nella dichiarata tristezza di Di Vito, però, si rileva un tasso di partecipazione e di sofferenza così elevato da fargli richiamare alla memoria analoghi stati d’animo vissuti da un Garcia Lorca o da un Federico Fellini.

La preziosità di questi scritti, infatti, sta anche nell’offrire al lettore, prioritariamente interessato ai piccoli e grandi problemi della città, stimoli e spunti per personali approfondimenti che consentano di saperne di più su rappresentanti significativi della letteratura nazionale e mondiale, su personaggi ed episodi del patrimonio storico, su esponenti importanti della pittura e della musica. I riferimenti sono lapidari ed incisivi, immuni da ogni deteriore pedagogismo.

Doverosamente descrittivi, invece, sono i profili di alcune figure emblematiche della città quali il poeta Pasquale Galante, cantore di una solitudine ‘ aulica e serena ‘, del medico Rocco Fasciani, portatore della ‘ virtù rara dell’onestà’, del docente Carlo Ferrante, fedele interprete dell’umanesimo e dell’idealismo gentiliano, dell’ottuagenario notaio Trotta, ineguagliabile gentiluomo d’altri tempi, dell’avvocato Fulvio Torquato, dotato del ‘valore positivo e tonificante della fede ’ a differenza dell’amico Di Vito, ben disposto ad atteggiarsi a sostenitore dello scetticismo e del primato della ragione.

La memoria dell’autore richiama altri personaggi , altrettanto cari e popolari, riconducibili ad una stagione della vita piuttosto spensierata e gaudente. E’ il tempo delle serate trascorse ‘ in strane ed arcaiche danze, corpo a corpo con le ragazze ‘ o dei pomeriggi occupati da focose partite di calcio. Di Vito, da inguaribile sognatore, lascia trasparire una sia pur contenuta nostalgia per un tempo in cui ‘ si soffriva e si scherzava con molta buona grazia ‘ e non si era tentati dai fermenti contestativi così violenti dei successivi decenni.

Non mancano nelle periodiche riflessioni di Di Vito i momenti della bonaria irrisione, dell’approccio paradossale a determinate situazioni, della garbata e scherzosa insofferenza nei confronti di quanti, congiunti o amici, vorrebbero costringerlo a rinunciare a pietanze, particolarmente gradite ma giudicate poco compatibili con lo stato di salute, o al fumo della Malboro così ben sponsorizzato nei film dal mitico Humphrey Bogart.

La prosa, sempre essenziale ed efficace e, spesso, anche mordace, caustica, pungente, assume particolare gradevolezza nel momento in cui l’autore recupera parole ed espressioni linguistiche proprie del dialetto nocerino o conia inediti neologismi.

Le Istoriucole Nocerine , pertanto, nel confermare il modo di essere intransigente, rigoroso, coerente e una  modalità comunicativa ‘ papale papale ‘ dell’autore, si collocano nel contesto culturale e nel dibattito politico – istituzionale della città, superano ampiamente i limiti della marginalità e della parzialità dichiarati dallo stesso Di Vito e si trasformano in un’insostituibile fonte di riferimento per quanti, soprattutto tra le giovani generazioni, si dispongono a ricercare fatti, eventi, personaggi di un periodo, comunque interessante, del centro dell’Agro.

 

                                                                                                                                                 Ambrogio  Ietto

6 novembre 2009

 

Ambrogio Ietto

 

Salerno, 5 Novembre 2009

UN CROCIFISSO CHE CONTINUA

 

 A FARE  SCANDALO

 

 

Ancora una volta viene chiamata in causa la scuola che ha già non poche difficoltà da affrontare nel suo impegno quotidiano. Di nuovo al centro del problema c’è la religione cristiano – cattolica e i suoi simboli. Nel giro di pochi mesi sono state riproposte le questioni relative alla valutazione di questo insegnamento, alla sua incidenza sui crediti formativi e all’ipotetica introduzione dell’ora di religione islamica in nome sempre del principio di uguaglianza e dell’opportunità di  prevenire ogni possibile negativo condizionamento per allievi di altra fede.

Ora è di turno la sentenza giunta da Strasburgo ove la Corte europea dei diritti dell’uomo ha accolto il ricorso di una famiglia italo – finlandese, residente  ad Abano Terme, che aveva ritenuto opportuno opporsi alla decisione della VI sezione del Consiglio di Stato pronunciatosi a favore del mantenimento del crocifisso nelle aule delle nostre scuole in quanto simbolo radicato nella nostra tradizione tanto da potergli attribuire un significato neutro e laico.

La motivazione della sentenza della Corte di Strasburgo riconosce, invece, al crocifisso una predominante identità religiosa. Di conseguenza la sua esposizione limiterebbe il diritto dei genitori di ‘ educare i loro figli in conformità con le proprie convinzioni e il diritto dei bambini di credere o di non credere ‘.

Come era da prevedersi questo pronunciamento, che per il momento non è esecutivo, ha generato l’entusiastico apprezzamento di tutte quelle espressioni culturali e giornalistiche del nostro paese che spingono per accentuare sempre di più il processo di laicizzazione. Tra i più entusiasti quel giudice di Camerino, Luigi Tosti, che si era rifiutato di tenere udienze a causa della presenza del simbolo religioso nelle aule del tribunale ove presta servizio. Il personaggio, già assurto alla notorietà nazionale per la grave decisione assunta, sospeso dal Consiglio Superiore della Magistratura, condannato nei primi due gradi di giudizio e poi definitivamente assolto dalla Cassazione, ha salutato festosamente questa sentenza, aggiungendo testualmente che ‘ l’Italia ha fatto la sua ennesima brutta figura ‘.

Non è mancato, ovviamente, l’intervento del segretario nazionale della Cgil Scuola, Mimmo Pantaleo, che ha evidenziato come ‘ la scuola italiana stia diventando sempre più confessionale ‘ e che ‘ una simile deriva va decisamente fermata ‘.

Dichiarazioni di questo tipo non possono che indebolire nel panorama europeo la posizione della stragrande maggioranza degli italiani che sostiene come questa sentenza ignori la nostra storia e i forti richiami valoriali collegati indissolubilmente al cristianesimo, volano determinante non solo per la nostra cultura ma per quella dell’intera Europa.

Il luteranesimo, il calvinismo, l’anglicanesimo e le altre chiese evangeliche, sparse dalla Scandinavia al centro del continente, testimoniano l’incidenza significativa che due millenni di cultura cristiana hanno prodotto sull’identità della stessa realtà europea.

I grandi Adenauer, Shuman, De Gaspari, nell’avviare il non semplice cammino che ha condotto poi all’ Unità Europea, convennero che l’idea forte alla base di questo processo dovesse essere rappresentata dalle migliaia di cattedrali presenti in tutti i centri abitati del continente.

Purtroppo un malinteso concetto di laicità spinge sempre di più verso un diffuso relativismo ed un nichilismo di comodo. Papa Giovanni Paolo II ha lasciato la sua vita terrena con l’amarezza profonda di non avere visto accolto il suo appello affinché la Costituzione europea richiamasse nel suo testo le radici giudaico – cristiane del continente.

La sentenza della Corte di Strasburgo non può non essere collegata a quel diniego i cui principali sostenitori furono la vicina Francia e il Belgio fiammingo – olandese. Il crocifisso, simbolo dell’amore di una persona che dà la sua vita per gli altri e che educa alla disponibilità e al sacrificio verso il prossimo, continua, dunque, a produrre scandalo in una società spietatamente orientata verso l’individualismo più marcato ed un vacuo edonismo fine a se stesso.

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