Archivio per dicembre, 2009

AD ENZO TODARO

13 dicembre 2009

 

Domenica 13 Dicembre 2009

 

Ambrogio Ietto

 

UN RICONOSCIMENTO CON VALIDE MOTIVAZIONI

 

 

La cerimonia svoltasi ieri nell’aula ‘ Parrilli ‘ del nostro tribunale e voluta dal Consiglio dell’Ordine Forense, come tutte le manifestazioni che, coinvolgendo ordini ed associazioni professionali, categorie mercantili, imprenditoriali ed artigianali, sono finalizzate a celebrare i decani delle rispettive organizzazioni quali testimoni significativi di un lungo e qualificato percorso compiuto nell’ambito di appartenenza, non poteva che richiamare volti, storie, episodi e rigenerare emozioni, stili di vita, comportamenti, significative scuole di pensiero.

Silverio Sica, designato a tracciare il profilo dell’odierna avvocatura, è riuscito con un pacato, puntuale ragionamento a recuperare il meglio del messaggio lasciato dai grandi maestri degli anni sessanta e settanta, ricco di un robusto retroterra culturale e, contestualmente, aperto ai radicali processi di cambiamento della società complessa e differenziata del nostro tempo.

All’interno del contesto specifico della professione forense si è voluto inserire, su decisione unanime dell’Ordine, uno speciale  riconoscimento ad Enzo Todaro, presidente dell’Associazione Giornalisti Salernitani, per l’opera puntuale, tecnicamente ineccepibile di cronista giudiziario.

Ai tanti partecipanti alla manifestazione la testimonianza offerta ad un non iscritto all’Ordine è stata percepita come un segnale fortemente espressivo nei riguardi di un protagonista dell’informazione, specializzato da sempre nel comparto della cronaca giudiziaria, che ha fatto, soprattutto del versante semantico di oggettività e di imparzialità del resoconto dei fatti, non solo un indicatore importante della personale deontologia professionale ma anche, e soprattutto, una vera e propria scelta di vita. Un cronista di razza, qual è stato e come rimane Enzo Todaro, si fa un dovere professionale di limitarsi alla famosa triade “ chi, quando, dove “, evitando ovviamente di confondere fatti ed opinioni.

Todaro di certo, libero pensatore qual è,  tante volte ha osato andare oltre l’asettica descrizione dei fatti e delle vicende emergenti dalle carte e dal dibattito processuale. Col suo speciale fiuto giornalistico, con la  perspicacia derivante dalla ricca e diversificata esperienza del giovane cronista di nera, egli a volte ha anche osato avanzare attendibili ipotesi sugli esiti del processo.

Le possibili soluzioni, però, sono state offerte sempre con equilibrata esercitazione linguistica, con attenta ricognizione dei fatti e degli atti processuali, con una marcata capacità penetrativa nella psicologia dei protagonisti della vicenda.

Il riconoscimento dell’avvocatura salernitana nei riguardi di Enzo Todaro, quindi, sta  a significare l’apprezzamento doveroso verso un cronista, rispettoso sempre delle diverse parti in gioco e tutore ferreo dei valori di una giustizia equa, sgombra da preconcetti, primariamente rispettosa della dignità della persona.

LA SCOMPARSA DI GABRIELE DE ROSA

9 dicembre 2009

 

Ambrogio IETTO

 

UN RETTORE DECISIONISTA ED ILLUMINATO

 

La morte di Gabriele De Rosa sollecita riflessioni che, per noi salernitani, vanno ben oltre gli indiscutibili meriti del grande studioso di storia contemporanea, approdato all’ordinariato della cattedra nel 1960 in compagnia di Giovanni Spadolini e di Aldo Garosci, del coerente antifascista costretto all’esilio durante il ventennio prima a Londra e poi a New York, dell’insostituibile ricercatore della storia del movimento cattolico italiano e dell’epistolario di don Luigi Sturzo.

Il suo nome è legato indissolubilmente a Salerno in quanto primo rettore della sua Università degli Studi ( 1969/1974 ) e, in questa veste, sostenitore consapevole e protagonista di fatto dell’insediamento dell’ateneo nella valle dell’Irno.

A favore di questa scelta all’epoca non si pronunciò un altro autorevole docente, il pedagogista Roberto Mazzetti, che nel 1960 da direttore del pareggiato Istituto di Magistero aveva intrapreso una contesa impari nei riguardi del senatore Alfonso Tesauro, fermo oppositore dell’ammissione delle donne all’istituzione salernitana in quanto caparbio tutore del ‘Suor Orsola Benincasa’ di Napoli. Nella storica seduta alla Camera dei Deputati del 7 dicembre 1960 l’intera deputazione politica salernitana, da Carmine De Martino a  Pietro Amendola, da Feliciano Granati a Francesco Cacciatore, aveva dato atto allo studioso romagnolo della coraggiosa posizione assunta in difesa del nascente istituto universitario.

Gabriele De Rosa, subentrato a Mazzetti nelle vesti di direttore del Magistero Pareggiato, ne aveva sostenuto da subito la statizzazione giudicata ‘ necessaria come il pane ‘ per potersi avvalere, così,   della legge per l’edilizia universitaria, dare maggiore sicurezza agli studi e rendere più effettiva e reale la presenza dell’istituzione.

Anche a seguito del puntuale interessamento di Salvatore Valitutti la statizzazione arrivò nel 1968. Essa aprì una nuova fase tanto da consentire la trasformazione, anche nel testo statutario, della denominazione di Istituto di Magistero in Università degli Studi con l’immediata fioritura, durante il rettorato De Rosa, delle Facoltà di Lettere e Filosofia, Economia e Commercio, Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali e Giurisprudenza.

Nel diario politico di Gabriele De Rosa dal titolo “ La storia che non passa “ ( editore Rubbettino ) la prima fase del nascente Ateneo venne ad essere  identificata con la stagione della ‘ campagna acquisiti ‘ di autorevoli cervelli. A Salerno arrivarono, infatti, nomi prestigiosi del mondo accademico quali Carlo Salinari, Lucio Colletti, Renzo De Felice, Nicola Cilento, Edoardo Sanguineti, Tullio De Mauro, Edoardo Caianiello, Fulvio Tessitore, Gaetano Arfé, Biagio De Giovanni, Vincenzo Buonocore.

Erano gli anni della contestazione studentesca e De Rosa, con questa intelligente operazione, intese accreditare il livello e il ruolo della nuova università, dando priorità ad un’ambizione culturale protesa verso il superamento di un improduttivo localismo.

L’indiscutibile qualità del corpo docente ( l’ eccezione si ebbe solo con lo scandalo degli incarichi a Giurisprudenza lamentato nel marzo 1973 dallo stesso De Rosa ) e l’istituzione di nuove Facoltà spinsero il compianto rettore ad affrontare con straordinaria determinazione il problema dell’insediamento dell’Università.

Il suo disegno di regionalizzare l’ateneo imponeva il superamento della ‘ dimensione municipalistica ‘ a sostegno di  una politica capace di uscire ‘dalla cultura e dagli interessi della provincia’. Lo studio Beguinot, approvato dal Consiglio di Amministrazione, aveva già individuato la possibile localizzazione nella Valle dell’Irno. Nell’aprile 1970 venne affidato, così, al prof. Pierluigi Spadolini l’incarico di elaborare il bando di concorso per la realizzazione del progetto  del futuro ateneo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 20 giugno 1973.

Ormai la scelta a favore del Campus di Fisciano e della struttura di Baronissi, condivisa dai due maggiori partiti politici ( Democrazia Cristiana e Partito Comunista ), divenne irreversibile mentre veniva definitivamente sconfitto il pronunciamento della Commissione speciale, voluta dal sindaco Menna, a favore dell’area di Ogliara – Matierno. De Rosa assicurava che il centro storico del capoluogo avrebbe potuto e dovuto ospitare le sedi di rappresentanza, il rettorato e i vari centri  di studio fiancheggiatori dell’opera dell’Università.

Da allora Comune e Provincia di Salerno hanno rinunciato di fatto a mettere a disposizione della struttura universitaria ambienti idonei e dignitosi per legare, almeno in parte, la città alla sua università.

Da Gabriele De Rosa la questione era stata inquadrata nel migliore dei modi: assicurare al futuro ateneo respiro europeo e di grande apertura ai problemi dello sviluppo economico e civile del Sud e, contestualmente, rafforzare sia pure simbolicamente le sue radici all’Hippocratica Civitas.

Chissà che la sua morte non alimenti nei pubblici amministratori la dose sufficiente di orgoglio per dotare la città capoluogo della sede di rappresentanza ufficiale del nostro ateneo.

LETTERA AL FIGLIO DI CELLI

5 dicembre 2009

 

 

Dalla prima pagina de “ IL NUOVO SALERNITANO “ di Sabato 5 Dicembre 2009

 

 

Nei giorni scorsi il quotidiano ‘la Repubblica “ ha pubblicato una lettera di Pier Luigi Celli diretta al figlio Mattia che, trovandosi nella fase conclusiva degli studi universitari, viene sollecitato a lasciare l’Italia diventata ormai un Paese ove non è ‘possibile stare con orgoglio ‘. Celli, attualmente direttore generale della Libera Università degli Studi ‘ Guido Carli ‘ (Luiss) di Roma, ha gestito grandi aziende con business complessi e diversificati. Per alcuni anni è stato anche direttore generale della Rai.

Ambrogio Ietto, riflettendo sul fatto, ha ritenuto opportuno scrivere anche lui una lettera al giovane Mattia Celli.

 

LETTERA A MATTIA CELLI

 

Caro Mattia,

mi perdoni se oso scriverle anch’io utilizzando il medesimo canale comunicativo scelto da suo padre Pier Luigi. Il giornale che mi ospita, in verità, è un modesto anche se dignitoso quotidiano locale che non può contare sui mezzi e sull’audience di ‘Repubblica’. Ma papà è papà, si figuri se io, che non sono nessuno, osassi inviare questo mio scritto ai seguaci e fedelissimi del grande ed impareggiabile Eugenio Scalfari. Nel migliore dei casi il testo verrebbe ridotto in non più di una decina di righe.

Preferisco, comunque, avvalermi di questa opportunità  per rivolgermi a lei  dotato, secondo l’indiscutibile ed appassionato giudizio di suo padre, di forte senso di giustizia, di caparbia volontà nel perseguire i risultati programmati, di partecipata  attenzione ai richiami valoriali dell’amicizia e della solidarietà, di convinta adesione al principio che soltanto la serietà e la determinazione nell’impegno di studio consentono di essere percepiti affidabili e credibili da una società necessariamente diversa da quella italiana, contraddistinta questa, secondo papà, da divisioni, risse, marcato individualismo, spietato carrierismo subordinato alle determinazioni di chi dispone della stanza dei bottoni, dal diffuso misconoscimento dei meriti e delle qualità in possesso delle singole persone.

Sul profilo suo tracciato da papà e sulla descrizione abbastanza puntuale che egli fa del nostro Paese non oso avanzare osservazioni. Lei  è di certo quel bravo ragazzo che tutti i genitori del mondo desidererebbero avere mentre non si può non convenire, almeno nella sostanza, sulla complessiva situazione di decadimento etico e socio – culturale che vive la nostra povera Italia.

Piuttosto critico mi vede, invece, l’iniziativa assunta da papà di invitarla, attraverso le pagine di ‘Repubblica ‘, a lasciare il territorio nazionale per vedere riconosciute e valorizzate altrove le innegabili sue potenzialità cognitive e creativo – progettuali. Questa sollecitazione, ammesso e non concesso che sia quella giusta e meglio rispondente al suo caso, papà avrebbe potuto partecipargliela nell’intimità del desco domestico.

E’ evidente, quindi, il suo intento di fare notizia e, non essendo il signor nessuno, di poter contare sulla generosa disponibilità di ‘ Repubblica ‘ soddisfatta .- nei suoi referenti direzionali – di buttare ulteriore fango sul governo del Cavaliere.

Suo padre, lei Mattia lo conosce tanto meglio di chi scrive, per una vita intera è stato sempre sulle prime pagine dei quotidiani nazionali ed esteri per i tanti, troppi incarichi ricevuti sicuramente per meriti ma anche, e soprattutto, per essere stato straordinariamente bravo nel districarsi tra vecchie correnti di partito e poteri forti di ogni tipo.

La sua onestà intellettuale lo ha spinto finanche a scrivere un ‘piccolo vademecum per bastardi di professione ‘ dall’impietoso titolo “ Comandare è fottere “. E senza peli sulla penna, ricordando tutti i dribbling da lui realizzati per schivare e fregare chi, magari più bravo di lui, avrebbe potuto precederlo nell’arrampicata verso la poltrona, ha dettato anche le istruzioni per l’uso: ‘ scalare la carriera richiede determinazione, una buona prestanza di carattere e l’attitudine a utilizzare tutte le occasioni per affermare se stessi, la propria visione del mondo, il proprio dominio strumentale delle regole, la propria distanza dagli altri. Nel salire verticalmente, come è inevitabile se si vuole risparmiare tempo, non sono previsti alleati ‘.

Mi spiace, caro Mattia, ma suo padre è stato proprio un cattivo maestro. Ha razzolato male per un’intera esistenza, ricercando ed ottenendo incarichi prestigiosi a 360 gradi, ed ora – nella vecchiaia – intende assumere un po’ troppo tardi il ruolo del pedagogo. Chi scrive è un po’ più vecchio di lui e, pur vivendo nel problematico Sud, con la semplice ed umile testimonianza personale dell’impegno, del sacrificio e dell’onestà, ha avuto la fortuna di verificare come i suoi due figlioli, grazie alla costanza e alla serietà da entrambi mostrate nel corso del lungo e sofferto itinerario formativo, si sono dignitosamente affermati nei rispettivi settori professionali senza chiedere aiuto né al potentato politico né alla malavita organizzata.

Non c’è stato bisogno, dunque,di invitarli ad andare al nord o, peggio, all’estero. Lei è un ragazzo bravo ed onesto. Rimanga pure in Italia e non raccolga l’invito, sicuramente strumentale, di suo padre che, tra le tante ottime qualità culturali e professionali possedute, è anche portatore della sindrome di ricercare a tutti i costi un’ora di pubblicità. Coi migliori auguri per il suo futuro gradisca vivissime cordialità.  

                           

                                                                                                   Ambrogio  Ietto

PENSARE E SCRIVERE IN LIBERTA’

2 dicembre 2009

 

L’ultima ‘raccolta ‘ di Ambrogio IETTO:

 

 PENSARE E SCRIVERE IN LIBERTA’

Vicende e personaggi del nostro tempo

( Plectica Editrice s.a.s. – Salerno )

 

La ‘premessa’ scritta dallo stesso autore

 

E’ questa una raccolta di miei contributi giornalistici pubblicati negli ultimi quattro anni su ‘ Il Nuovo Salernitano ‘, quotidiano fondato, diretto e intelligentemente animato da Gigi Casciello.

A qual fine selezionare una parte delle centinaia di articoli elaborati con costante puntualità, metterli insieme ed offrirli all’attenzione dei non molti appassionati delle ordinarie  vicende della quotidianità e di chi, in futuro, potrebbe essere interessato a ricavare dagli stessi un’idea sul modo di far  politica agli inizi del terzo millennio in una regione, in una provincia, in una città  del Mezzogiorno d’Italia e sul clima generale che fa antropologicamente da cornice ad eventi e a personaggi di questo tempo ?

Almeno due  i motivi che giustificano una simile scelta.

Il primo: in particolare nel corso di questi anni, in mancanza di un progetto organico che tenti di delineare un’attendibile  prospettiva di sviluppo del territorio, si consolidano – tra quanti partecipano attivamente al ‘ gioco ‘ della politica – comportamenti contraddistinti da pressappochismo, transumanza, tornaconto personale.

Non fa parte di questa schiera Vincenzo De Luca, il sindaco di Salerno, che una sua idea di politica ce l’ha e come. Egli fa del tutto per differenziarsi dal coro, costruisce e consolida una visione sistemica di gestione del potere in città, affidando a suoi antichi ‘ compagni ‘ di cordata la gestione delle cosiddette società miste, fonte primaria del suo consenso elettorale, alimenta e rinsalda un rapporto diretto con la comunità grazie a settimanali omelie rese mediante lo strumento televisivo, riesce a consolidare in chi lo ascolta e in chi segue il suo modo di amministrare la città la percezione di esserne l’intransigente difensore, l’appassionato tutore, l’ideatore di un disegno urbanistico destinato a caratterizzare un’epoca e a tramandare ai posteri un’immagine della propria persona segnata da una mission messianica e, quindi, da passione civile, determinazione, autorevolezza, concretezza operativa.

Quanto accade in provincia, in regione e sul territorio nazionale fa da cornice al protagonismo di De Luca che, ovviamente, ha una sua personale idea della libertà e della democrazia per niente condivisa dall’autore di questa raccolta.

E sono proprio questi richiami valoriali che danno corpo al secondo motivo che giustifica la decisione di raccogliere in questo volume  contributi scritti e pubblicati  nel corso dell’ultimo quadriennio all’insegna della piena autonomia di pensiero e, quindi, sicuramente opinabili.

Alexis de Tocqueville racconta divertito dello stupore manifestato da Voltaire quando questi, recatosi in Inghilterra, si rende conto che la libertà di stampa è qualcosa veramente di reale. Capita poi allo stesso giovane Tocqueville di verificare, sbarcando a New York nel 1831, il grado sorprendente di ‘ eguaglianza ‘ delle opportunità e dei punti di partenza raggiunto dalla società americana.

Nella nostra realtà, a distanza rilevante di tempo, è ancora così raro ascoltare e leggere pensieri che, senza essere ancorati a posizioni di parte, manifestino autonomi, sia pur discutibili  punti di vista.

Per quanto riguarda i contributi raccolti in questo libro la loro pubblicazione è stata possibile grazie all’impostazione data dall’amico Casciello al giornale da lui diretto: la messa a disposizione di un ‘luogo’ di incontro e di confronto in cui riflessioni elaborate da intelligenze diverse per collocazione culturale e per progetto di vita possano trovare ampia e non pattuita ospitalità.

Non è questa un’opportunità di poco conto che viene offerta a quanti, osservatori delle vicende del nostro tempo, amano riflettere sulle stesse e ricercano – al di là delle motivazioni ufficialmente addotte da chi ha assunto un certo provvedimento o è stato protagonista di un dato episodio –  la ratio o il disegno complessivo che possano  realmente giustificare determinate decisioni e particolari provvedimenti.

Avere poi la possibilità di manifestare in modo palese, attraverso la scrittura, il frutto dei propri pensieri, costituisce motivo di interiore appagamento per chi, considerando l’articolo 21 della nostra Carta Costituzionale uno dei capisaldi della democrazia, sa bene che questa libertà implica un prezzo da pagare di non trascurabile entità.

Gli scritti che danno corpo alla raccolta “ Pensare e scrivere in libertà “, pur rivolgendo particolare attenzione alle vicende di casa nostra, muovono da eventi e personaggi di tutti i giorni e tentano di offrire a chi legge riflessioni di ampio respiro concernenti aspetti distintivi del nostro vissuto esistenziale e dell’attuale nostra organizzazione sociale.

 

                                                                                                  

 

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