UN’INTELLIGHENZIA SPOCCHIOSA CHE ENFATIZZA UNA PRESUNTA SUPERIORITA’ CULTURALE

 

 

 

Salerno, 8 aprile 2010

 

Ambrogio IETTO

 

LA CULTURA NON E’ DI SINISTRA NE’ DI DESTRA

 

 

Finite le grandi narrazioni del Novecento, superato lo steccato delle ideologie, metaforicamente rappresentato dalla caduta del muro di Berlino, si pensava che potessero considerarsi obsolete anche le antiche categorie di destra e di sinistra che, per lungo tempo, hanno inteso contraddistinguere conservatorismo e progressismo, tradizione e riformismo. Purtroppo permangono ancora intelligenze ancorate a simili schemi mentali troppo spesso prodotti da itinerari formativi unilateralmente orientati, eccessivamente enfatizzati tanto da rivelarsi, a volte anche inconsciamente, quali manifestazione di vera e propria presunzione.

I commenti e le considerazioni critiche che hanno fatto seguito agli ultimi  risultati elettorali confermano il persistere di una forma mentis di questo tipo. Così il successo ottenuto dal centrodestra è dovuto al cosiddetto popolino, vale a dire a quella massa di gente appartenente al ceto meno abbiente e culturalmente poco evoluta, per niente alfabetizzata, assolutamente incapace di pensare, tacitamente disponibile ad accogliere acriticamente l’invito fatto dalle televisioni berlusconiane di andare a votare per il Cavaliere.

Analisi di questo genere sono state compiute anche per il voto espresso dalla maggioranza degli elettori campani che, secondo le considerazioni manifestate da esponenti della cosiddetta intellighenzia, sono prevalentemente incolti, incivili e camorristi, vivono nelle affollate periferie dell’hinterland napoletano e dell’agro sarnese – nocerino ed agiscono sulla spinta di incontrollate emozioni e biechi sentimentalismi.

Così De Luca sarebbe stato votato esclusivamente da quanti vivono in città e nei grossi centri urbani, da coloro che sono abituati a pensare prima di agire, da tutti i docenti delle università e dei licei della Campania e dai cosiddetti liberi pensatori.

C’è anche chi tende  ad attribuire ai politici che si schierano a destra  il limite gravissimo di voler promettere di fare e di operare senza possedere le strutture cognitive per pensare, per elaborare, per riflettere.

Simili considerazioni vanno comprese proprio nell’ottica di quel peccato originale che ha portato la sinistra italiana al suo disfacimento se non alla propria decomposizione. Vincenzo De Luca, che intelligentemente si definisce espressione autentica della migliore destra europea, ha compreso molto bene il problema e, anche su suggerimento dell’ottimo Claudio Velardi che gli ha curato l’immagine, non ha fatto stampare un solo manifesto col logo del Partito Democratico, ripetendo fino alla nausea di considerarsi al di sopra e al di fuori dei partiti. In questo modo ha tolto circa 200.000 voti al suo avversario Caldoro.

Eppure non poche sono state anche in passato le voci provenienti dallo stesso mondo della sinistra che hanno cercato di ribadire quanto improduttivo risulti quel complesso di superiorità etica e culturale ostentato con caparbietà in non poche occasioni.

Luca  Ricolfi, il noto sociologo torinese da sempre dichiaratamente di sinistra, nel 2005 osò scrivere un simpatico libro dall’emblematico titolo ‘ Perché siamo antipatici ? La sinistra e il complesso dei migliori ‘. Nel testo vengono indicate quattro malattie gravi di cui soffre la sinistra italiana: l’abuso di schemi secondari, vale a dire la ricerca esasperata di scappatoie al fine di negare l’evidenza anche di indiscutibili  fallimenti subiti da quella parte politica, la paura delle parole e il ricorso corrente al linguaggio politicamente corretto ( lo spazzino va chiamato operatore ecologico, il bidello collaboratore scolastico, il cieco non vedente, ecc. ), il linguaggio codificato che non consente alla gente comune di comprendere un bel niente e, infine, il complesso di superiorità culturale ed etica (i colti, gli intelligenti e gli onesti sono di sinistra mentre gli incolti, gli ignoranti, i ladri, i corrotti, i malavitosi   si collocano a destra ).

Sembra evidente come l’utilizzo di questi schemi mentali faccia regredire e non migliorare il Paese. Lo sforzo da compiere, invece, va nella necessaria anche se difficile ricerca dei cosiddetti valori condivisi.

Allora c’è da chiedersi: siamo soddisfatti di una scuola e di un’università che non mette a confronto e non valuta la qualità della didattica e della ricerca e che retribuisce allo stesso modo chi continua a studiare e ad aggiornarsi e quanti, invece, vivono di rendita, facendo affidamento su di una formazione iniziale precaria e su provvedimenti ope legis ?

E’ tollerabile una pubblica amministrazione contraddistinta prevalentemente dal burocratismo e dall’inefficienza ?

Lo sfaccendato che naviga a vuoto in internet o circola senza meta lungo il corridoio dei passi perduti va semplicemente compreso perché un poco esaurito oppure severamente redarguito ed, eventualmente, anche licenziato ?

Sono soltanto alcuni banali interrogativi che non appartengono né alla cultura della sinistra né a quella di destra, ma che richiedono risposte coerenti con una società e con un Paese desiderosi di assicurare alla persona condizioni migliori di vita contraddistinte dalla cultura della legalità e della solidarietà e da una pratica effettiva della cittadinanza attiva.

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