ALL’UNIVERSITA’ DI SALERNO RIGURGITO DELLA SUBCULTURA SESSANTOTTESCA

 

 

Salerno, 22 luglio 2010  

 

Ambrogio IETTO

 

PER UNA UNIVERSITA’ DI ECCELLENZA

 

L’editoriale di ieri del direttore de ‘ Il Nuovo Salernitano ‘ sul modo di come viene difeso il diritto allo studio degli studenti, il comunicato ufficiale del ‘Coordinamento ‘ dell’Università di Salerno sulle iniziative di protesta contro la manovra finanziaria del governo e contro il disegno di legge n. 1905 sul quale proprio oggi si avvia la discussione in assemblea al Senato della Repubblica e, soprattutto, la programmata sceneggiata della consegna dei diplomi di laurea ad alcuni neo – dottori in chimica in piazza Portanova della nostra città, mi spingono ad esprimere nel merito alcune considerazioni di fondo che hanno l’evidente limite di andare controcorrente, dissentendo, ovviamente, da quella subcultura sessantottina che, tra i tanti guai prodotti, porta con sé la triste referenza di avere contribuito ad abbassare in misura rilevante il livello della qualità degli studi e della ricerca all’interno del mondo accademico del Paese.

Mercoledì prossimo accompagnerò nell’aula ‘Cilento ‘ del nostro ateneo, in qualità di relatore, l’ultima studentessa che ha voluto approfondire un argomento rientrante negli ambiti disciplinari che per oltre un decennio mi sono stati affidati, nella qualità di docente incaricato, dalla Facoltà di Scienze della Formazione.

Per questa attività di insegnamento, di presidenza della commissione specifica di esami, di relatore di circa sessanta laureandi, di partecipazione a decine di riunioni del consiglio di corso di laurea e di altri organi collegiali ho ricevuto, per ogni anno accademico, un compenso  lordo di euro 3.419,00 che ha prodotto, su rapida procedura dell’Inps, l’integrazione della mia dignitosa pensione di dirigente tecnico del Ministero dell’Istruzione e dell’Università con la somma mensile netta di euro 20,36 più 11,88 euro di tredicesima.

Riferisco questo particolare soltanto per sottolineare l’entusiasmo giovanile col quale risposi alla chiamata della Facoltà che riteneva di doversi avvalere della mia produzione scientifica e dell’esperienza pedagogico – didattica  acquisita sul campo per avviare e sostenere il corso di laurea che forma ed abilita gli insegnanti di scuola primaria e di scuola dell’infanzia.

Un altro contatto diretto con la realtà universitaria l’ho avuto, partecipando ai lavori del suo consiglio di amministrazione durante il non lungo periodo che mi ha visto impegnato nella giunta De Biase nella qualità di assessore delegato ai rapporti con l’Università.

Alla luce di questi precedenti sono nelle condizioni di avanzare sugli argomenti in discussione qualche riflessione.

Del contenimento delle risorse finanziarie, secondo quanto previsto dalla manovra predisposta dal ministro Tremonti , si lamentano tutti i settori dell’Amministrazione pubblica, comprese le Forze di Polizia e le articolazioni diplomatiche del nostro Ministero degli Esteri. Si comprende come la coperta sia notevolmente corta e come ciascuna componente tenti di tirarsela dalle sue parti.

Anche le università manifestano la propria insoddisfazione e, probabilmente, la motivano anche con argomentazioni degne di attenzione e di rispetto. Le scelte nel merito sono del governo e del parlamento ed andranno valutate dal singolo cittadino nel momento in cui sarà chiamato a pronunciarsi con lo strumento del voto. Queste, piaccia o non piaccia, sono le regole della democrazia.

Discorso ben diverso va fatto per il disegno di legge Gelmini sulla riforma dell’università. La sua pregiudiziale bocciatura in toto risente di marcate logiche di parte o di posizioni proprie di specifiche componenti della variegata famiglia presente all’interno della comunità universitaria.

Di certo proprio gli studenti non dovrebbero ribellarsi a priori ad un disegno di legge che, almeno nelle intenzioni, tende a dare una migliore qualità agli studi, introducendo fondamentali principi quali il merito e la valutazione continua del sistema.

Referenziati editorialisti ed esponenti non secondari del mondo accademico italiano, pur auspicando interventi migliorativi del testo originario, hanno salutato con giudizi decisamente positivi l’iniziativa in discussione. Proprio ieri l’altro sul ‘Corriere della Sera ‘  Sergio Romano, facendo seguito a più di un contributo di Angelo Panebianco e di Ernesto Galli Della Loggia, richiamava il disastro prodotto dal ‘ tre più due ‘ rivelatosi una formula fallimentare dal punto di vista qualitativo che ha consentito alle università semplicemente di “sfornare sempre e comunque  dottori  “.

Molti atenei, a seguito di questa articolazione dei corsi di laurea, si sono sbizzarriti nella coniatura di percorsi formativi dalla denominazione versatile ed inventiva e nella fioritura di decine e decine di sedi decentrate. Tanto per fare un esempio a noi vicino nel 2006 la Seconda Università di Napoli istituì a Torraca, comune di 1.232 abitanti collocato all’interno del golfo di Policastro, un corso di laurea in scienze politiche ad indirizzo ‘ cooperazione internazionale per l’ambiente e l’energia ‘.

Il disegno di legge presenta tre questioni nodali che, se responsabilmente affrontate dal parlamento, possono determinare una svolta significativa. La prima riguarda il governo degli atenei. E’ giusto che un rettore permanga per decenni alla guida di un’università sulla base di un consenso espresso da centinaia di docenti di prima fascia che, inevitabilmente, possono anche in parte orientare o condizionare le sue scelte ? Il disegno di legge prevede, al contrario, la limitazione a due soli mandati per un massimo di otto anni, rendendo però il suo ruolo non solo più incisivo ma anche più autonomo nei riguardi delle varie corporazioni interne.

Per il consiglio di amministrazione si prevede la presenza di undici componenti compresi  il rettore, membro di diritto,  ed una rappresentanza elettiva degli studenti. Gli altri consiglieri vanno scelti, anche mediante avvisi pubblici, tra personalità italiane o straniere in possesso di comprovata competenza in campo gestionale e di un’esperienza professionale di alto livello. Almeno il quaranta per cento dei componenti non deve aver fatto parte, nell’ultimo triennio, dei ruoli dell’ateneo. Ovviamente la mancanza di rapporto con l’università deve persistere anche durante l’espletamento dell’incarico.

Si comprende bene che in questo modo si vuol far fronte alle acclarate situazioni di deresponsabilizzazione, di deficit, di interventi di ripiano, di crescita eccessiva dei costi del personale verificatesi in non pochi atenei italiani.

Altra questione delicata il meccanismo di reclutamento dei docenti. Negli ultimi anni c’è stata una fioritura di libri che, indicando nomi e singole università, hanno segnalato centinaia di casi di familismo  e di protettorato con conseguente ascesa in cattedra di docenti poco qualificati a danno di aspiranti più meritevoli. Le procedure previste dal disegno di legge prevedono l’istituzione dell’abilitazione scientifica nazionale distinta per le funzioni di professore di prima e di seconda fascia. L’abilitazione costituisce requisito necessario per l’accesso alla docenza. La commissione nazionale, costituita per ciascun settore scientifico – disciplinare, ha una durata biennale ed è composta da quattro commissari esterni, sorteggiati all’interno di una lista di professori  ordinari, e da un quinto componente interno.

Terzo punto nodale: possibilità di sottoporre a valutazione la produzione scientifica e culturale di ogni docente, introducendo il principio del merito con conseguente attribuzione di una retribuzione modulabile.

Non secondaria la trasformazione del rapporto di attività  del ricercatore in incarico a tempo determinato. E’ uno dei punti del disegno di legge più contestato da quanti fanno riferimento all’attuale natura del rapporto che è a tempo indeterminato ma che ha prodotto, in non pochi casi, scarsissima attività di studio e di ricerca.

La norma prospettata prevede che per i ricercatori destinatari del secondo contratto triennale e che hanno conseguito l’abilitazione alle funzioni di professore associato, si può procedere alla chiamata diretta da parte delle università.

Insomma l’impianto complessivo dell’ipotesi di legge in discussione mira ad un’istruzione superiore di qualità. Bocciarla in partenza è solo operazione strumentale e di parte.

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