Archivio per ottobre, 2010

ATTENTI A NON PORCI COME ‘ CATTIVI ‘ MAESTRI

28 ottobre 2010

 

Salerno, 28 Ottobre 2010

 

Ambrogio IETTO

 

IL ‘ PEDAGOGISTA ‘ TAVELLA

 

Nei riguardi del segretario provinciale della Cgil Franco Tavella non ho rapporti di frequentazione assidua o di amicizia. Ho avuto, però, la gradita opportunità di conoscerlo grazie alla cortese anche se formale presentazione di comuni conoscenti e anche di ascoltarlo in dichiarazioni date alle emittenti televisive locali. La percezione che ho di lui è di una persona garbata, dotata di un buon retroterra culturale, attenta alle dinamiche sociali, abituata a portare avanti le personali considerazioni sulla base di riflessioni e non di slogan stereotipati.

La premessa è doverosa per evidenziare subito, da opinionista e da vecchio educatore ed uomo di scuola, il mio pieno disaccordo sul contenuto della ‘ lettera aperta ‘ che egli ha diretto al preside del liceo classico ‘ T. Tasso ‘ di Salerno e ripresa dai quotidiani locali di ieri.

L’intervento di Tavella richiama una presunta punizione irrogata dal dirigente dell’istituto ad un gruppo di alunni che si sono assentati da scuola lo scorso 15 ottobre per aderire ad uno sciopero di protesta organizzato dalla Federazione Cub/Scuola per il personale docente. Nel criticare la decisione il sindacalista, richiamando più volte Don Milani, invita il rappresentante legale del liceo a mettersi in atteggiamento di ascolto nei riguardi degli studenti al fine di comprendere le motivazioni poste a fondamento della protesta.

Nel merito della questione risulta che in una precedente azione di sciopero, indetta per lo scorso 8 ottobre dall’Unione Sindacale Italiana (Usi – Ait Scuola ), alla quale aderì per una sola ora anche la FLC Cgil, parteciparono anche degli studenti del liceo ‘ Tasso’ che non furono redarguiti in quanto attratti dal proclama dell’Usi rivolto non solo ai docenti  e ai precari della scuola ma anche a ‘genitori, studenti, associazioni e forze politiche antigovernative ‘ (così si legge sul sito della predetta organizzazione ).

In concreto il dirigente Carfagna ritenne legittima la partecipazione studentesca in quanto sostenuta dalla formale sollecitazione sindacale. Lo scorso 15 ottobre, invece, la manifestazione di protesta, voluta dal sindacato Cub/Scuola, ufficialmente era riservata al solo personale docente. Così l’assenza dei ragazzi da scuola è stata considerata dal capo d’istituto non giustificata e, trattandosi di un’intera classe, ha disposto per loro una giornata di recupero nella mattinata del sabato che, di norma, nel calendario di questo liceo, è prevista come giornata libera.

La decisione del dirigente, che non va collocata tra le punizioni, ha esclusiva valenza educativa e tende ‘ al rafforzamento del senso di responsabilità e al ripristino di rapporti corretti all’interno della comunità scolastica ‘ così come testualmente previsto dallo ‘Statuto delle studentesse e degli studenti ‘, voluto dall’ex ministro Fioroni e contenuto nel DPR n. 235 del 21 novembre 2007.

Fin qui la valutazione del caso. Della lettera di Tavella in tutta franchezza non piacciono né la prosa né l’impropria citazione che fa di don Lorenzo Milani. Egli, infatti, invita Carfagna ad indire ‘ una grande assemblea’ e, in tono piuttosto confidenziale, aggiunge: ‘ sediamoci insieme tra i banchi della sua scuola e facciamoci spiegare dai suoi studenti i motivi della protesta ‘.

Può darsi che il sindacalista sia padre di uno studente che frequenta quella scuola e che, quindi, rivendica in questo caso il diritto – dovere di genitore ad essere compartecipe delle vicende che riguardano la vita dell’ istituzione. Anche se Tavella si trovasse in questa posizione di esercente la patria potestà dovrebbe sapere dell’esistenza di specifiche procedure da seguire, volute dalla norma, per dar vita ad opportunità di questo tipo. A tal proposito un mio nipote,  frequentante il liceo ‘ Tasso’, riferisce di avere partecipato in questi giorni ad un’assemblea degli studenti nel corso della quale il dirigente Carfagna ha colloquiato coi ragazzi, chiarendo i termini della questione. Se invece il ‘ sediamoci insieme ‘, invocato da Tavella, fa riferimento alla sua qualifica di sindacalista allora c’è da considerare che sono trascorsi inutilmente 40 anni dalla stagione sessantottina.

Personalmente ho avuto l’onore di presiedere il primo consiglio scolastico provinciale all’indomani dell’introduzione degli organi collegiali. Fui richiamato successivamente a ricoprire lo stesso incarico per un altro triennio. A designarmi all’unanimità a questa responsabilità furono sempre tutte le organizzazioni sindacali. Più volte in quel contesto riaffermammo il principio che il diritto alla partecipazione attiva andava limitato  ai membri dei vari organismi. Quindi mettiamo definitivamente da parte l’assemblearismo di un tempo che tanto danno ha fatto alla scuola e all’intero Paese.

Tavella nella sua lettera fa cenno a ‘programmi vecchi, noiosi, non corrispondenti alla realtà del ventunesimo secolo ‘. Egli ignora, purtroppo, che gli ordinamenti vigenti non utilizzano da tempo il termine ‘ programmi ‘. Il DPR n. 275/1999, che regola l’autonomia didattica, organizzativa, di ricerca, di sperimentazione e di sviluppo, principio elevato a dignità costituzionale con la modifica del Titolo V della Carta, fa riferimento al ‘Piano dell’Offerta Formativa ‘ redatto ed approvato dal collegio dei docenti di ogni scuola. Il ‘ Piano’ esplicita la progettazione curriculare ed extracurriculare elaborata dall’istituto, tenendo conto delle ‘ Indicazioni per il curricolo ‘ per la scuola dell’infanzia e il primo ciclo d’istruzione e degli ‘ Assi culturali ‘ per la secondaria di secondo ciclo. Entrambi i documenti, tanto per essere chiari, sono firmati dal ministro Giuseppe Fioroni.

Se le attività didattiche svolte da qualche scuola producono tra gli studenti ‘noia ‘ bisogna, purtroppo, prendersela con docenti dallo scarso retroterra culturale e con evidente impreparazione dal punto di vista didattico – metodologico. Ma qui il discorso diventa lungo e riguarda un contratto di categoria che prevede il diritto all’aggiornamento ma che non cita mai il termine ‘ dovere’. Di conseguenza se un collegio dei docenti si pronuncia a maggioranza sull’indisponibilità alla formazione continua il dirigente, purtroppo, è tenuto a prenderne atto. Infine su don Milani.

Egli scrisse ‘ L’obbedienza non è più una virtù ‘ in risposta ai cappellani militari toscani che avevano sottoscritto l’11 febbraio del 1965 un comunicato in cui si considerava l’obiezione di coscienza, richiamata da giovani che si erano rifiutati di rispettare l’obbligo al servizio militare di leva, ‘espressione di viltà’. I ragazzi di Barbiana, quindi, non c’entrano per niente. Anzi, fin da quando a metà degli anni cinquanta don Milani viveva le sue prime esperienze pastorali e didattiche presso la pieve di San Donato di Calenzano, insisteva sulla necessità di uno studio serio e a pieno tempo. Ricorderà Tavella che proprio nelle prime pagine di ‘ Lettera a una professoressa ‘, nel criticare i sindacati della scuola, il priore definisce ‘ indecente ‘ l’orario settimanale ed annuale degli insegnanti  (pagg. 87-88 ) perché troppo contenuto.

Allora, perché aizzare gli studenti a disobbedire e a marinare la scuola? Tra i pochi richiami valoriali, inseriti nelle ‘Indicazioni’ didattiche nazionali vigenti, al primo posto è collocata l’educazione al rispetto della legalità.

Se la norma prescrive la mancata ammissione alla classe successiva per gli allievi che non risultano presenti alle lezioni per almeno tre quarti dell’orario annuale, è opportuno mettere alla berlina un dirigente che, ‘ responsabile dei risultati ‘ della scuola cui è preposto ( art. 25 del D. L.vo n. 165/2001 ), fa comprendere ai suoi studenti, con un intervento pedagogicamente corretto ed intelligente, che non vanno fatte assenze arbitrarie ?

Per piacere, sforziamoci tutti ad essere più responsabili, almeno nei riguardi delle giovani generazioni.

 

LA DISPUTA TRA DE LUCA E CIRIELLI AVVIATA NEL PEGGIORE DEI MODI

26 ottobre 2010

 

Salerno, 26 Ottobre 2010

Ambrogio IETTO

GUERRIGLIA URBANA

 

Il titolo non inganni i pochi cortesi lettori. Non oso far riferimento a quanto sta accadendo nell’area vesuviana di Terzigno e di Boscoreale ove, come da antico, consolidato copione, vien data puntuale conferma di una classe politica locale irresponsabile, guidata esclusivamente dalla logica del mantenimento del consenso ad ogni costo e comodamente in attesa che sia lo Stato centrale ad affrontare e a risolvere problemi riemersi soprattutto a causa della propria inettitudine, della mancanza di coraggio e, non di rado, della stretta contiguità col mondo del malaffare ad assumere decisioni, temporaneamente dolorose per le comunità amministrate, ma indispensabili per garantire un minimo livello di vivibilità alle giovani generazioni.

La guerriglia cui intendo far riferimento è quella parolaia e volgare che ormai già da qualche mese alimenta la cronaca della città e del suo territorio. Ci sono due leader in campo, Cirielli e De Luca, caratterialmente abbastanza affini: il primo, formatosi all’interno di un contesto familiare probabilmente rigido e determinato e di una comunità educativa esterna ispirata da un ramo delle scienze dell’educazione, qual è la pedagogia militare, riconosciuta anche in sede scientifica. L’ingresso in politica del presidente della provincia ha rappresentato l’occasione desiderata per dare implementazione alle strategie acquisite in sede di formazione teorica tanto da trasformarsi in autentico bulldozer umano capace di demolire quanti, all’interno del partito d’origine, avevano cercato di collocarsi in sua alternativa. Ora queste persone, anche se valide e dotate di un sufficiente grado di autonomia critica, sono costrette a pendere dalle sue labbra e ad assumere comportamenti politici assolutamente non discostanti dalla linea del capo che, va detto a chiare lettere, ha tutte le qualità per imporsi non solo quale leader istituzionale ma, soprattutto, come soggetto carismatico, dotato di intelligenza superiore e di indiscutibile ascendente.

Di De Luca si conoscono altrettanti tratti di personalità che conducono ad un profilo di eguale autorevolezza e determinazione: approdato preadolescente a Salerno da Ruvo del Monte, come migliaia di altri lucani, ha affrontato l’iniziale processo di integrazione cittadina nel quartiere Calenda e, quindi, al liceo classico ‘ Tasso ‘ ove, tra i tanti coetanei aderenti all’impegno politico contestatario del 1968, ha consolidato rapporti di riflessione e di azione politica con la più giovane Lucia Annunziata e con l’enfant terrible Michele Santoro.

L’attività speculativa in campo filosofico l’ha orientato poi ad un’adesione convinta all’ortodossia marx – leninista: prima la scuola sindacale di Ariccia con impegno diretto nella delicata ma affascinante realtà del proletariato agrario, quindi l’ascesa ai vertici del PCI e del PDS con itinerari formativi privilegiati alle Frattocchie e a Botteghe Oscure.

Il resto è storia personale che pesa da trenta anni sulla più importante storia della città capoluogo. Palazzo di Città, infatti, ospita l’inquilino De Luca dal 1990, cioè da quando, a 41 anni di età, il gruppo oligarchico che guidava il partito gli diede l’ok per andare ad occupare, di lì a qualche anno, la poltrona più alta del Salone dei Marmi.

Con lui ha preso corpo la cosiddetta stagione dei sindaci e, strada facendo, il processo di identificazione di De Luca con la città, col sindacato e col ‘ faccio tutto da me ‘ si è definitivamente consolidato.

A latere sia del sindaco di Salerno sia del presidente della provincia è cresciuta qualche risorsa giovanile che ha inteso interiorizzare la dimensione caratteriale peggiore dell’identità del rispettivo leader. Vanno comprese, così, ma per niente giustificate, espressioni al vetriolo che si leggono sui manifesti murali o si ascoltano in dichiarazioni rilasciate alle emittenti televisive e ai giornali.

La campagna elettorale che, di fatto, si è già aperta in città per le amministrative della prossima primavera vede utilizzare impropriamente pseudonimi e termini che finiscono con l’aggravare ulteriormente il clima da guerriglia verbale e piuttosto incivile respirabile in città.

Entrambi i leader si portano il limite di avere deciso da soli come e con quali candidati affrontare la disputa elettorale. Gli Andria, i Iannuzzi, i Valiante Antonio, i Pica, i Cuomo, i Vaccaro sono costretti a tacere per elementari motivi di sopravvivenza. Sull’altro fronte il copione seguito è lo stesso: al ‘principe ‘ Cirielli si riconosce la sacralità del verbo e dell’azione mentre la stessa Mara Carfagna, che pur sta dando una forte identità culturale e politica al dicastero che presiede, è costretta semplicemente a contare i tanti tradimenti subìti a causa dell’irresistibile fascino di cui è portatore il collega di partito Cirielli.

 

                                                                            

 

 

 

 

 

 

NEMO PROPHETA IN PATRIA…FINO AD UN CERTO PUNTO

19 ottobre 2010

 

Salerno, 19 ottobre 2010

Ambrogio IETTO

MARA CARFAGNA E LA TELEVISIONE

 

 

Non sono un fedele utente della televisione. Quando risulta possibile mi dispongo con un certo interesse a seguire alcuni programmi di approfondimento.

Domenica sera, giocando a fare zapping col telecomando, mi sono ritrovato su La7 con l’immagine suadente di Antonello Piroso, giornalista che stimo e che ricordo con simpatia per la vertenza attivata  e vinta nel 1998 con Mondadori  a seguito di trasferimento non gradito dalla redazione romana di ‘Panorama’. Conduttore di ‘ Niente di personale ‘, trasmissione che porta avanti dal 2002, egli proprio in quel momento introduceva nello studio televisivo il ministro delle Pari Opportunità Mara Carfagna.

Una comprensibile curiosità ha finito col tenermi legato allo schermo e a quel canale fino al termine del non breve intervento della nostra concittadina. La trasmissione è centrata su  domande che il conduttore prepara in precedenza e che vengono poste non secondo una successione ordinata su base logica ma a seguito di un clic che l’ospite attiva, premendo a caso su uno dei pulsanti numerati da uno a nove e contenenti diversi quesiti.

L’intervista, condotta in questo modo, consente in primo luogo di cogliere il livello complessivo di coerenza ricavabile dalle diversificate ma interconnesse questioni poste ed affrontate con sintesi più o meno efficace e convincente da parte dell’interlocutore.

Gli interrogativi partecipati a Mara Carfagna sono stati tra i più delicati e scabrosi ed hanno riguardato sia vicende private sia le dinamiche piuttosto complesse all’interno del PDL: dalle immagini riprodotte sui calendari alle presunte intercettazioni di cui da tempo si  parla, dai rapporti di amicizia con l’onorevole Bocchino alla sua posizione sul caso Cosentino, dalla vicenda giudiziaria con la Sabina Guzzanti alla probabile sostituzione degli attuali coordinatori del partito, dalle questioni attinenti l’omosessualità a quelle relative all’uso strumentale del corpo della donna nelle promozioni pubblicitarie, dai condizionamenti camorristici della politica in Campania alla recente consultazione elettorale per le regionali  con la personale acquisizione di oltre 57.000 preferenze nella sola provincia di Napoli.

Insomma si è trattato di un bombardamento a tutto campo condotto da Piroso, in alcuni passaggi, non solo con navigata professionalità ma anche con una certa astuzia integrata con un velo di malizia.

Non ho difficoltà ad esprimere un giudizio decisamente positivo sulla prestazione della nostra concittadina che non ha mai tentato di dribblare il problema posto anche se delicato o addirittura imbarazzante. Determinata e puntuale nei riscontri, pronta ad ampliare entro limiti temporali accettabili le argomentazioni riguardanti il suo ruolo istituzionale e le iniziative del dicastero da lei  guidato, sicura e ferma nello stigmatizzare il diffuso, discriminante e diversificato modo di giudicare i comportamenti della donna e dell’uomo eventualmente disponibili a rinunciare alla personale dignità pur di trovare spazio nel mondo dello spettacolo e dei media o in politica, per niente imbarazzata nel richiamare alla memoria le pregresse esperienze di show- girl, onesta nel riconoscere le attuali difficoltà del partito di appartenenza ma esplicita nel confermare la sua convinta adesione alla linea del premier Berlusconi, intransigente ed inflessibile verso la camorra, orgogliosa del fatto che decine di migliaia di elettori  napoletani hanno scritto sulla scheda per le regionali il suo nome.

L’interlocuzione portata avanti dalla Carfagna col navigato Piroso ha consentito di cogliere in lei un più che dignitoso retroterra culturale, una consolidata abitudine allo studio e all’approfondimento dei temi di pertinenza del suo ministero e della vita interna del partito, una straordinaria capacità di sintesi, una piena sicurezza linguistica. Condizionali e congiuntivi sono stati coniugati sempre con padronanza e pertinenza.

Al di là delle idee e delle collocazioni personali di ognuno di noi produce davvero piacere rilevare queste qualità in una nostra conterranea che, pur provenendo dal mondo dell’effimero, dimostra di essere decisamente superiore a diversi suoi colleghi  di  governo e a molti coinquilini delle stesse aule parlamentari.

Mara Carfagna probabilmente non possiede spiccate capacità nel selezionare a livello locale collaboratori fidati e qualificati né è dotata delle straordinarie attitudini del suo compagno di partito Cirielli a portare avanti e a consolidare in modo eccellente una continua campagna acquisti di gente direttamente impegnata in politica ma, come Vincenzo De Luca, ella riesce a convincere chi l’ascolta e la vede in televisione sulla bontà delle argomentazioni affrontate ed elaborate, sulla piena consapevolezza di sé e del ruolo istituzionale ricoperto e sull’efficacia comunicativa del  patrimonio linguistico utilizzato.

RETRIBUZIONI DA NABABBO PER ESSERE SUBALTERNI ALLA POLITICA

16 ottobre 2010

 

Salerno, 16 Ottobre 2010

Ambrogio IETTO

STIPENDI DEI MEDICI E POLITICA

 

La pubblicazione via internet e sulla stampa quotidiana degli stipendi annuali lordi percepiti dai medici della Campania, incardinati in strutture sanitarie pubbliche, va producendo non solo meraviglia ma anche un certo turbamento nella coscienza collettiva.

Soprattutto in una fase di crisi economica qual è l’attuale, con un numero rilevante di disoccupati e di cassintegrati, con tanti giovani laureati alla disperata ricerca di un’attività sia pure parzialmente retribuita, con centinaia di migliaia di anziani ancorati a pensioni mensili corrispondenti a meno di un decimo della paga netta di un medico, leggere cifre di un’entità così rilevante alimenta in non pochi casi anche reazioni verbali non controllate che finiscono col mettere ancora una volta in pessima luce l’intero sistema sanitario già di per sé sofferente  a causa di molteplici fattori ripetutamente denunciati.

Meritano senza dubbio attenzione le dichiarazioni di direttori sanitari e di sindacalisti finalizzate a dare plausibili giustificazioni al fenomeno di buste – paga erompenti se non proprio esplosive: carenza di organici, consulenze itineranti, stacanovismo imposto forzosamente, impegni straordinari di lavoro a volte corrispondenti alle intere 24 ore, blocco delle assunzioni, ecc. .

Nel prendere per buone le motivazioni addotte è possibile dedurre che una delle principali cause del ricorrente disservizio delle strutture sanitarie pubbliche e dei non rari episodi di malasanità sia da individuare in un eccessivo affaticamento psicologico e fisico della classe medica, nell’oggettiva impossibilità di osservare con la dovuta sistematicità il quadro clinico dell’ammalato, nella conseguente difficoltà ad individuare la giusta strategia terapeutica da seguire o, nei casi di interventi chirurgici, la corretta misurazione della dose anestetica da somministrare all’ospite della sala operatoria.

Insomma, dalle giustificazioni avanzate sembra venir fuori un profilo di professionista immancabilmente stressato, sfibrato da turni inumani, snervato da un incontenibile carico di responsabilità. Altrove molto probabilmente situazioni di questo genere non si verificano. Almeno tenendo conto delle retribuzioni liquidate nel 2009 ai propri quadri medici.

Ad esempio, fermandosi  al sito dell’Azienda ospedaliero -universitaria del Policlinico S. Orsola – Malpighi di Bologna, è possibile rilevare retribuzioni lorde annuali assolutamente incomparabili con quelle elargite dalle nostre parti. Così il totale annuo lordo della paga del dirigente medico con incarico di direttore di dipartimento e di struttura complessa meglio retribuito è fermo ad euro 146.100,89 ( prof. Afro Salsi ); il dirigente medico con incarico di direttore di struttura complessa dr. Libero Barozzi riceve la più alta retribuzione attestata ad euro 142.445,02; tra i medici dirigenti con incarico di struttura semplice, dipartimentale o interna all’unità operativa, meglio pagato c’è il dr. Luca Ansaloni con euro 117.976,18. Particolarmente interessante risulta rilevare che tra i dirigenti medici con incarico professionale di alta specializzazione brilla il prof. Giorgio Guidi con euro 112.462,60. La media retributiva dei suoi colleghi impegnati in comparti altamente specializzati si attesta intorno ad euro 90.000.

Se alimenta meraviglia la suddetta comparazione stipendiale, limitata al settore sanitario pubblico, può produrre invece scandalo il confronto tra questa categoria ed altri profili professionali. Nell’invidiata casta dei magistrati, ad esempio, si rileva che un giudice di corte di appello, approdato a questo grado dopo ben 13 anni dall’ingresso in carriera, riceve una retribuzione annua lorda, comprensiva dell’indennità integrativa speciale e dell’indennità giudiziaria, di euro 142.000. Un dirigente scolastico, impegnato su di un’istituzione educativa autonoma con oltre 1000 allievi, circa 100 unità lavorative e 35 anni di servizio, non va oltre una retribuzione lorda annua di euro 64.000. L’insegnante di scuola primaria ( 24 ore settimanali più impegni extradocenza ) e la docente di scuola dell’infanzia ( 30 ore settimanali più adempimenti vari ) dopo 35 anni di servizio si fermano ad una paga lorda annua di euro  30.000.

Sperequazioni così rilevanti sollecitano un interrogativo un po’ discolo: ‘ Come mai, soltanto in Campania e in altre regioni del Sud, si riscontrano livelli retributivi mediamente alti e, in alcuni casi, addirittura osceni per i medici impegnati in strutture sanitarie pubbliche ? ‘. Pur volendo salvare situazioni particolari che, come è stato evidenziato, presentano comprensibili giustificazioni, al suddetto quesito può essere data una risposta che a, sua volta, pone un’altra domanda: ‘ Come mai la classe politica nostrana rivolge particolarissima attenzione al mondo della sanità non per renderlo qualitativamente migliore ma per designarne i dirigenti e, quindi, i primari e gli altri quadri più importanti della generale organizzazione?’. L’interesse primario della politica verso la sanità, che stenta ad esprimersi in un serio progetto di risistemazione e di riassetto della rete ospedaliera, soprattutto per migliorarne la qualità e contenerne gli immensi sprechi, tra i quali erompono proprio quelli collegati alle retribuzioni del personale medico e sanitario, si giustifica essenzialmente con la necessità di gestire e governare nel migliore dei modi il consenso elettorale.

Avrà pure motivi fondati il fatto che la categoria professionale numericamente e direttamente più impegnata nella gestione degli enti locali della nostra provincia e dell’intera regione sia quella dei medici. In non pochi casi sono finanche due o tre i medici presenti nella giunta municipale. Nella rete della tenuta del consenso un ruolo essenziale è ricoperto, in particolare, dai medici massimalisti di famiglia che, in alcuni casi, diventano anche datori di lavoro di giovani colleghi precari ai quali sono affidati, in una sorta di deplorevole subappalto, stock di mutuati.

Lunga risulterebbe una riflessione sul perché il medico riesca ad avere una significativa influenza sul proprio assistito tanto da poterne ottenere il consenso diretto o indiretto in occasione di scelte elettorali. Tra loro due si attiva una particolare dinamica di specifica valenza psicologica: più il sistema sanitario pubblico è precario, fragile ed insicuro più si rafforza il rapporto fiduciario tra paziente e medico di famiglia che, alla fine, è la figura professionale che ti trovi o vorresti trovarti sempre disponibile in caso di bisogno.

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