PRENDE CORPO LA LEGGE DELEGA SULL’UNIVERSITA’

 

Salerno, 23 dicembre 2010

Ambrogio IETTO

UNA LEGGE NON PERFETTA MA NECESSARIA

 

Come era da prevedersi l’assemblea di Palazzo Madama resterà impegnata ancora oggi a discutere e a bocciare, da parte della maggioranza, le centinaia di emendamenti presentati dall’opposizione al disegno di legge delega sull’università.

Il presidente Schifani ha preannunciato la seduta notturna e l’intenzione di procedere ad oltranza fino alla sua approvazione prevista per il tardo pomeriggio di questa sera giovedì. E’ pur vero che sono state colte delle contraddizioni tra l’articolo 6 del disegno di legge ( stato giuridico dei professori e dei ricercatori di ruolo ) e l’articolo 29 ( norme transitorie e finali ).

La maggioranza, nel condividere su questo punto le obiezioni della minoranza, si è impegnata ad ovviare all’incongruenza col successivo provvedimento legislativo delle mille proroghe. Partito democratico e Italia dei Valori si sono irrigiditi e hanno rafforzato ulteriormente il loro ruolo oppositivo. Chiaro l’intento politico: rinviare il testo per la seconda lettura alla Camera e, quindi, evitarne l’approvazione entro il prossimo 31 dicembre.

Il voto convergente a favore della maggioranza da parte dei senatori di Futuro e Libertà e dell’UDC, nel dare certezza all’approvazione della legge, ha spinto democratici e gregari di Di Pietro ad utilizzare tutte le scappatoie  offerte dal regolamento per rallentare i lavori e sperare in un passo falso che rendesse necessario il rinvio del testo all’altra assemblea.

Non c’è dubbio che il sostegno dato anche da Casini e, nella sostanza, dall’intero terzo polo ad una legge significativa, qual è questa in discussione, rende molto improbabile il paventato ricorso alle urne nella prossima primavera e rafforza la leadership berlusconiana.

I pronunciamenti sostanzialmente a favore del disegno di legge da parte di accademici tradizionalmente schierati a sinistra come Giovanni Sartori e Michele Salvati, da editorialisti e docenti universitari di fama quali Ernesto Galli Della Loggia, Angelo Panebianco, Francesco Giavazzi, Giorgio Israel, hanno contribuito a rendere sostanzialmente sterile, dal punto di vista argomentativo, l’ opposizione sostenuta dal partito democratico e da Italia dei valori.

La scarsa qualità degli studi dei nostri atenei, accertata in tutte le sedi internazionali, i meccanismi concorsuali quasi sempre attivati ad usum Delphini con particolare attenzione a figli, mogli, amanti e congiunti di colleghi, la crescente spinta a risolvere ancora con interventi ope legis situazioni di precariato o aspirazioni a passaggi a fascia docente più alta, il consolidato padronato di molti rettori designati a vita per l’inevitabile dinamica che si attiva tra candidato e prestatori del consenso, l’assenza di meccanismi valutativi finalizzati ad essenziali criteri di merito, la diffusa, precaria situazione dei bilanci della maggioranza degli atenei, assorbiti prevalentemente dagli oneri per il personale ( la Federico II, la II Università partenopea e l’Orientale si attestano intorno al 96% ), sono alcuni dei fattori che hanno contribuito non poco ad un abbassamento notevole delle performance dei laureati, incrementando inoltre anche il tasso di dispersione che è il più alto al mondo, superando il 50% degli studenti immatricolati. Queste patologie sono emerse in misura maggiore nel Mezzogiorno, così come autorevolmente annotava domenica scorsa Paolo Macry sul ‘ Corriere  del Mezzogiorno ‘, evidenziando come ‘ non pochi atenei meridionali si sono serviti di politiche di spesa miopi, di un aumento corporativo del personale, di un demagogico livellamento dell’offerta didattica e scientifica’.

Tanto per fare un esempio il nipote di un boss di San Luca, iscritto alla Facoltà di Architettura di Reggio Calabria e abituale trasgressore di sintassi e di ortografia, ha sostenuto 22 esami, di cui nove in 45 giorni, con eccellenti risultati grazie a rapporti privilegiati con docenti e con segretari di quella università.

La legge delega che sarà approvata questa sera non cura in via definitiva queste ed altre patologie del sistema accademico italiano. Comincia, però, ad aggredire questi problemi.

L’introduzione dell’abilitazione nazionale alla docenza per la prima e la seconda fascia, la dichiarata incompatibilità ad aspirare a posti di docenza laddove operano congiunti fino al quarto grado incluso, la limitazione ad una sola legislatura della durata di sei anni dell’incarico di rettore, la modifica radicale dell’assetto del consiglio di amministrazione con la presenza di esperti esterni all’ateneo, l’introduzione del codice etico, il superamento dei finanziamenti concessi dallo Stato in relazione ai consueti parametri numerici, l’attenzione privilegiata  verso gli atenei giudicati virtuosi nella gestione delle risorse finanziarie, una normativa di fatto antisprechi, sono alcune delle innovazioni incoraggianti presenti nella legge delega. Di sicuro scompaiono i 37 corsi di laurea con un solo studente, i 323 corsi con non più di 15 iscritti, la maggior parte delle 330 sedi distaccate ( anche il ridente paesino di Torraca, nel golfo di Policastro, ospitava un indirizzo specifico del corso di laurea in scienze politiche per conto di una delle università statali napoletane! ).

Non potranno più esserci ricercatori che vivono di rendita da decenni senza avere compiuto una ricerca significativa né sarà possibile fare la trattativa col docente commissario di esame che accetta di partecipare ad una commissione di concorso a patto che uno dei concorrenti, amico di un suo collega, consegua l’idoneità.

Il presidente Napolitano ha assicurato di ricevere una delegazione di studenti che almeno a Roma sono stati ieri molto corretti. Il Capo dello Stato avrà di certo parole rassicuranti. Giovanni Sartori,  in un suo editoriale di qualche giorno fa, ha scritto che la mancata approvazione di questa pur non perfetta legge avrebbe fatto solo danno  agli stessi giovani.

Il primo ministro inglese David Cameron ha dedicato un ampio ed articolato discorso agli studenti britannici sulla precaria qualità degli studi delle loro università ed ha cercato di giustificare l’inderogabile necessità di triplicare la quota annuale di iscrizione, portandola ad una somma pari a 10.600 euro.

All’Università di Salerno gli studenti i cui nuclei familiari superano un reddito annuale di 32.000 euro e, quindi, sono tenuti a versare la tassa annuale più alta se la cavano con 1.211,00 euro.

La differenza c’è ed è notevole. Il che significa anche che, come ricorda un vecchio proverbio, non è possibile fare le nozze coi fichi secchi.

 

                                                                                            

 

 

 

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