Archivio per gennaio, 2011

POLITICA SCOLASTICA A SALERNO CAPITALE PROVVISORIA DELL’ITALIA LIBERA

31 gennaio 2011

 

Salerno, 31 gennaio 2011

 

Ambrogio IETTO

 

SALERNO CAPITALE PROVVISORIA D’ITALIA

E LA DIFFICILE RIPRESA DELL’ATTIVITA’ SCOLASTICA

 

Negli anni immediatamente successivi al 1861 la realtà economica e sociale della penisola riflette già l’esistenza di una sorta di spartiacque fra Nord e Sud, progressivamente allargatosi e, pertanto, assai più difficile da superare. 

I dati relativi all’analfabetismo sono più che eloquenti: nel 1861 il 78% degli italiani è analfabeta con una percentuale decisamente più elevata nel Meridione. Il primo censimento organico della popolazione italiana, realizzatosi nel 1871, cioè ben dieci anni dopo la raggiunta Unità, rileva purtroppo, ancora in Campania, una percentuale di analfabeti del 79% mentre in Puglia si è fermi all’84% e in Basilicata e in Calabria addirittura all’87%.

Nell’anno scolastico 1862/63 frequentano le scuole elementari poco più di un milione di ragazzi di cui oltre 800.000 nelle campagne dove l’italiano è percepito come una lingua straniera. I maestri sono poco più di 30.000 tra uomini e donne quasi sempre in condizioni misere e stentate di vita.

La vicenda umana e professionale di questi educatori del popolo comincia, così, soprattutto in contesti socio – economici e culturali particolarmente problematici come il nostro Cilento e lo stesso Vallo di Diano.

Il cammino sarà lungo, lento, irto di difficoltà, tanto da rilevare 120 anni dopo,cioè  nel 1981, una percentuale di analfabetismo in Campania ancora del 5,7% contro il 9% della Basilicata e il 9,6 % della Calabria.

E’ evidente che la competenza del leggere e dello scrivere si rivela sempre più veicolo strumentale necessario, se non proprio indispensabile,  per diffondere e consolidare il senso di appartenenza e di condivisione dell’identità nazionale.

Una svolta significativa si determinerà proprio  a Salerno, all’indomani dello sbarco della Quinta Armata del generale Clark. Il trasferimento da Brindisi a Salerno del primo governo Badoglio e la nomina l’11 febbraio del 1944 a ministro dell’Educazione Nazionale di  Giovanni Cuomo  costituiscono  contestualmente due

eventi di rilevante importanza, storica il primo, culturale il secondo.

Giovanni Cuomo, infatti,  è uomo di scuola, professore di materie letterarie, laureato anche in legge e preside sperimentatore di una delle poche Scuole Medie di Studi Applicati al Commercio istituite in Italia nel primo decennio del ventesimo secolo. E’ il Cuomo che il 31 dicembre 1899, sulla collina di S. Giuseppe della nostra città, tiene il discorso celebrativo della ‘ Festa degli Alberi ‘ per “ instillare nell’animo dei giovani un culto che è nobile contrassegno di cooperazione ai grandi interessi sociali e a riconoscere nelle virtù ascose dell’albero elementi di sanità e di ricchezza, tanti doni supremi “.  

E’ il Giovanni Cuomo che, in un giovedì del mese di marzo del 1908, non appena si sparge in città la notizia della morte di Edmondo De Amicis, commemora coi suoi allievi e docenti l’opera dello scrittore scomparso che “ aveva specialmente lavorato per due alti ideali, facendo vibrare, intensa e soave, la nota del sentimento nei teneri cuori, e dicendo una fraterna parola di amore agli uomini che curvano la fronte madida sul solco e nell’officina e lottano pel riconoscimento di nuovi diritti, per la conquista di migliori destini”. E’ lo stesso Cuomo che, da docente, insegna al suo allievo Salvatore Valitutti a “leggere Orazio “.

Ebbene, uno dei primi atti compiuti da Giovanni Cuomo, ministro dell’Educazione Nazionale nel primo governo Badoglio, insediatosi in Salerno, capitale provvisoria del territorio liberato e libero del Paese, è il Regio Decreto n. 149 del 9 marzo 1944 istitutivo dell’Istituto Superiore di Magistero, che consentirà, già in partenza, a 400 maestri della Campania, della Basilicata e della Calabria di compiere un percorso universitario completo in ‘ pedagogia’ o in ‘vigilanza scolastica ‘.

Non farà proprio onore al suo successore Adolfo Amodeo, rettore dell’Università di Napoli, subentrato in rappresentanza del Partito d’Azione nel secondo governo Badoglio, procedere alla soppressione dello stesso istituto con R.D. del 21 maggio 1944.

Doveroso e pertinente in questa sede risulta il ricordo di Roberto Mazzetti, maestro di scienze pedagogiche e direttore dell’Istituto Universitario di Magistero  intitolato, fin dal 1960 a Giovanni Cuomo , per la sua generosa battaglia condotta a favore dell’ammissione  delle   donne, e  al  centro  di  una  speciale   seduta  dei  lavori  alla

Camera dei Deputati il 7 di dicembre dello stesso anno con la corale, appassionata difesa da parte dei parlamentari  comunisti Pietro Amendola e Feliciano Granati, del socialista Francesco Cacciatore e del democristiano Carmine De Martino che, nell’aula  di  Montecitorio,  così  si  esprime:  “  Al  professore  Mazzetti   riconosco  il

grande merito di essere un uomo di fede, un uomo che ha la forza, la capacità e la volontà di superare tutti gli ostacoli, pur di vedere realizzata una causa giusta, una causa che difende da quando è giunto a Salerno “.

La breve stagione di Salerno, capitale provvisoria del Paese, grazie soprattutto alla tenacia e all’amore per la scuola di Giovanni Cuomo, è ricca di provvedimenti a favore della ripresa dell’attività formativa delle generazioni più giovani, uscite indenni fisicamente ma di certo turbate psicologicamente dalle decine di bombardamenti registrati soprattutto tra Battipaglia e Salerno tra il 21 giugno  e fine settembre 1943, gli ultimi non meno onerosi per numero di vittime a seguito di indiscriminate incursioni da parte di aerei tedeschi subito dopo l’armistizio siglato da Badoglio a Cassibile di Siracusa.

Ed è quanto mai commovente, per chi si interessa di questi problemi, riconoscere sul documento ministeriale in versione italiana, avente per oggetto ‘ Norme ed istruzioni per la riapertura ed il funzionamento delle scuole ‘ la firma nitida di Carleton Wolsey Washburne, esponente autorevole della pedagogia progressista e democratica americana, inquadrato col grado di tenente colonnello all’interno della Quinta Armata, e dirigente della Sottocommissione per l’ Educazione del Governo Militare Alleato.

E’ proprio nella nostra città che Wasbhurne avvia la redazione, “ d’intesa col governo di Badoglio, di nuovi Programmi d’insegnamento e nuovi libri di testo “ ( F. Bettini, ‘ I programmi di studio per le scuole elementari dal 1860 al 1945 ‘, pag. 199, La Scuola Editrice, Brescia, 1961 ). I programmi saranno formalizzati successivamente col D. M. n. 459 del 9 febbraio 1945.

Infine la scuola salernitana non può non richiamare in questa sede il Decreto Legge Luogotenenziale n. 151 del 25 giugno 1944, giorno in cui il governo Bonomi II° è ancora a Salerno. In questo decreto, all’articolo 1, si stabilisce che “ dopo la liberazione del territorio nazionale, le forme istituzionali saranno scelte dal popolo italiano che al fine eleggerà, a suffragio universale diretto e segreto, una Assemblea Costituente per deliberare la nuova costituzione dello Stato “. A Salerno, capitale provvisoria dell’Italia liberata, viene delineato, così, il percorso che porterà alla promulgazione della vigente Costituzione Repubblicana.

Ad affermare che la nostra città sia stata una degna capitale provvisoria del risorgente Stato italiano non è, come si può pensare, un esponente politico o un intellettuale salernitano di quell’epoca. In data 12 luglio 1944 su ‘ Il Corriere ‘, quotidiano di informazioni stampato a Salerno, appare un articolo dal titolo ‘ Saluto a Salerno ‘ firmato da Mario Belinguer, Alto commissario aggiunto dell’epurazione all’interno del II° Governo Badoglio, padre di Enrico, segretario del PCI fino alla morte ( 1984 ) ed autore della cosiddetta seconda svolta di Salerno ( 1980 ).

A Palmiro Togliatti, ‘ leggendario compagno Ercoli’, proveniente dalla Russia, giunto a Salerno nei primi giorni del mese di aprile 1944, sarà proprio il papà Mario a presentare il giovane figliolo Enrico. Il leader comunista  si trova in città per concretizzare  la prima svolta di Salerno, consistente nella formazione di un secondo governo Badoglio provvisorio, rappresentativo di tutti i partiti antifascisti.

Mario Berlinguer nel citato articolo scrive: “ In quest’ora risoluta della vita nazionale, a Salerno due governi hanno segnato con l’opera loro due tappe laboriose nell’ascesa democratica dell’Italia, in un clima di severo raccoglimento che il civismo della popolazione, il senso di misura e di ospitalità cordiale e comprensiva ha indubbiamente favorito. Forse chi non conosceva bene l’anima di Salerno  non sperava tanta comprensione e tanta dignità civica, degna veramente di una capitale…”

L’odierno contesto storico – culturale, ovviamente, è radicalmente cambiato.

Paul Ginsborg, docente di storia all’Università di Firenze, diventato cittadino italiano nel gennaio 2009, per ‘ salvare l’Italia ‘ ( è questo il titolo di un suo libro uscito per l’editore Einaudi qualche mese fa ) fa affidamento su ‘ alcuni elementi fragili ma costanti presenti nel nostro passato: l’esperienza dell’autogoverno urbano, l’europeismo, le aspirazioni egualitarie e l’ideale della mitezza. Fondamenti dotati della carica utopica necessaria per creare una patria diversa ‘ .

L’augurio è che la carica utopica si traduca in presa di coscienza personale e collettiva e in diffuso, forte senso di responsabilità da parte di quanti sono impegnati o si disporranno in futuro a reggere, ai vari livelli, le pubbliche istituzioni.

 

 

 

 

L’ISEF DI POGGIOMARINO E LA QUALITA’ DELL’OFFERTA DIDATTICA NELLE SCUOLE PARITARIE

21 gennaio 2011

 

 

 

Salerno, 21 gennaio 2011

Ambrogio IETTO

SCUOLE PARITARIE: SOLO COLPA DEI GESTORI SE LA LORO

ATTIVITA’ DIVENTA OGGETTO DI INDAGINI GIUDIZIARIE ?

 

Il recente fatto di cronaca, che vede ancora volta al centro dell’indagine sulle scuole paritarie l’ Isef (Istruzione e Formazione ) di Poggiomarino, fotocopia del vecchio ‘ Luigi Settembrini’ che negli anni ottanta e novanta acquisì – come comune, poco nobile denominazione – quella di ‘ diplomificio ‘, coinvolge sia pure indirettamente l’intero sistema nazionale di istruzione costituito, come è noto, dalle ‘ scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali ‘ ( art. 1 della legge 10 marzo 2000, n. 62 ).

Dalla stampa si è appreso che la Guardia di Finanza di Napoli, a seguito di puntuali  ed attente indagini condotte e di un regolare provvedimento disposto dalla Procura della Repubblica di Torre Annunziata, nel porre sotto sequestro l’istituzione scolastica pubblicizzata come ‘ la più grande scuola paritaria italiana ‘ ed ‘azienda leader del settore ‘, impegnata dal decorso anno scolastico anche nella gestione del ‘ Liceo del mare ‘ situato in un palazzo d’epoca al centro di Napoli ‘ e in corsi di preparazione alla selezione dei futuri dirigenti della scuola di Stato con pubblicizzate ramificazioni in tutto il territorio nazionale, ha dovuto dare esecuzione anche all’arresto, presso i rispettivi domicili, dell’amministratore unico e della dirigente generale amministrativa dell’Isef con contestuale notifica di denuncia a sei cosiddetti vicepresidi.

Non è la prima volta, dunque, che l’opinabile sottosistema delle scuole paritarie è sotto i riflettori dell’autorità giudiziaria o del giornalismo di inchiesta così come avvenne qualche anno addietro, da parte della redazione della trasmissione ‘ Reporter ‘ di Rai Tre, che impegnò addirittura suoi giornalisti, con speciali candid camera, a rilevare il mercato dei diplomi facili presso scuole paritarie del salernitano.

Una riflessione meno epidermica sul problema rimanda preliminarmente alla richiamata legge n. 62/2000, voluta dal governo D’Alema di centrosinistra  e controfirmata dal ministro guardasigilli dell’epoca Diliberto. Questa norma, regolativa dei commi 3 e 4 dell’art. 33 della Carta Costituzionale, concede il riconoscimento alle scuole non statali richiedenti che, oltre ad alcune referenze abbastanza scontate, abbiano assunto il personale dirigente e insegnante per il tramite di ‘ contratti individuali di lavoro che rispettino i contratti collettivi nazionali di settore ‘.

Lo stesso legislatore, però, risulta essere eccessivamente generoso e comprensivo nel prevedere, al comma 5 dell’art. 1, che ‘ tali istituzioni, in misura non superiore ad un quarto delle prestazioni complessive, possono avvalersi di prestazioni volontarie di personale docente purché fornito di relativi scientifici e professionali ovvero ricorrere anche a contratti di prestazione d’opera di personale fornito dei necessari requisiti ‘.

Insomma sembra sufficiente già il richiamo di queste disposizioni per comprendere come una verifica a tappeto, condotta con sistemi non limitati alla semplice lettura delle buste paga e della sottoscrizione delle stesse da parte degli insegnanti nominati, consentirebbe di accertare non solo la frequente non rispondenza di quanto stipulato nei contratti individuali alla concreta erogazione delle somme dichiarate ma anche la complessiva logica dello sfruttamento e della mortificazione di giovani laureati ed abilitati che fa da cornice al mercato dei diplomi facili.

La prospettiva dell’acquisizione di titoli di servizio, necessari per l’avanzamento nelle graduatorie ad esaurimento funzionali alla nomina nelle scuole statali, costituisce, infatti, lo strumento per ricattare gli insegnanti in servizio presso questa scuole e rendere le stesse istituzioni scolastiche, sedi ufficiali di ‘educazione alla legalità e alla cittadinanza attiva’, uno dei luoghi privilegiati dell’illegalità e della umiliazione della dignità della persona.

I reati ipotizzati dalla magistratura inquirente per l’Isef di Poggiomarino, a quanto sembra, investono specificamente la posizione degli allievi altrettanto determinante per l’acquisizione dello status di scuola paritaria.

Non di rado, per quanto riguarda la scuola dell’infanzia e il primo ciclo di istruzione, si tratta necessariamente di far ricorso ad elementari sprazzi di creatività, costruendo ex – novo  nominativi e date di nascita degli allievi. Il sistema informatico del Miur, infatti, è attrezzato per rilevare eventuali nominativi doppioni. Occorre ricorrere, quindi, per tutta l’area prescolastica e della scuola dell’obbligo, a questo espediente per assicurare consistenza numerica alle classi e alle sezioni da rendere paritarie.

Invece, a livello di classi terminali della scuola secondaria di secondo grado, settore particolarmente redditizio a causa del mantenimento, nel sistema scolastico italiano, del valore legale del titolo di studio, molto verosimilmente i nominativi degli iscritti rientrerebbero in entrambe le categorie, quella degli inventati, necessari per irrobustire la documentazione finalizzata ad ottenere il riconoscimento paritario alle singole tipologie di scuole e ai relativi indirizzi di studio, e quella dei nominativi corrispondenti a persone fisiche effettivamente esistenti in vita e fortemente interessati a conseguire il diploma di maturità.

La legge n. 1 dell’11 gennaio 2007, nel dettare ‘ disposizioni in materia di esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore ‘, ha posto, come è giusto che fosse, gli alunni delle scuole paritarie sullo stesso piano di quelli frequentanti le scuole statali. La frequenza dell’ultimo anno di corso, pertanto, nei limiti minimi delle giornate previste da specifiche norme, è diventata condizione essenziale per essere ammessi all’esame di Stato dinanzi ad una commissione composta da tre commissari interni, nel caso specifico docenti della scuola paritaria, e tre esterni più il presidente nominati dall’Ufficio scolastico regionale.

Tra le ipotesi di reato contestati all’Isef rientra anche quello relativo alla falsa frequenza  delle attività didattiche ordinarie da parte di molti allievi residenti in regioni del nord piuttosto  lontane da Poggiamarino e, di conseguenza, l’altro riguardante la falsificazione e l’edulcorazione delle periodiche prove scritte di accertamento delle competenze apprese dagli allievi e delle stesse verbalizzazioni delle sedute dei singoli consigli di classe.

L’impianto generale dei fatti contestati, al di là delle responsabilità ipotizzate per i vari denunciati, rileva chiaramente una diffusa, generalizzata situazione di lassismo e di generosa indulgenza da parte dell’amministrazione scolastica competente.

Già tra gli ordini del giorno accolti dal Governo come raccomandazione, in sede di approvazione della citata legge n. 62/2000, è possibile leggere, in un voto del Senato della Repubblica, che ‘ allo Stato compete non solo l’obbligo di istituire scuole di ogni ordine e grado, bensì anche la funzione di controllo e valutazione stante la vigenza del valore legale dei titoli di studio ‘.

La stessa Ordinanza Ministeriale n.44 del 5 maggio 2010 si preoccupa di ricordare il  divieto per candidati esterni ‘ di sostenere gli esami in scuole paritarie che dipendano dallo stesso gestore o da altro gestore avente comunanza di interessi ‘ con i gestori degli istituti pareggiati e legalmente riconosciuti. Più volte vengono richiamati, in questa e in altre norme, le dirette responsabilità dei direttori generali degli Uffici Scolastici Regionali nell’accertamento dei dati relativi al riconoscimento della parità alle scuole richiedenti e alla verifica della reale frequenza da parte degli allievi iscritti, nell’assegnazione dei candidati esterni agli esami di maturità, nella costituzione e nella composizione delle commissioni preposte agli stessi esami di Stato.

Ancora il DPR n. 260/2007, nel regolamentare la riorganizzazione del Miur, attribuisce all’Ufficio scolastico regionale primari doveri di vigilanza ‘ sul rispetto delle norme generali sull’istruzione ‘ e sulle ‘ scuole non statali paritarie e non paritarie ‘.

Chiamare in causa il modesto numero di ispettori disponibili, rivendicare il merito di avere disposto la chiusura ‘ negli anni ’90 di molte scuole paritarie e private dove avevano accesso anche parenti di boss, pagando semplicemente le rette senza mai frequentare ‘ ( stampa quotidiana del 13 gennaio 2010 ), significa francamente mortificare ulteriormente il sistema scolastico statale già penalizzato da una pluralità di fattori compresa la  polemica scaturita dalla pubblicazione degli ultimi dati Ocse Pisa che vedrebbero complessivamente migliorata la posizione degli studenti italiani grazie, in particolare, alle performance degli studenti frequentanti le scuole paritarie.

In conclusione: un poco di pudore istituzionale e un maggiore, diffuso  senso di responsabilità da parte di quanti sono direttamente o indirettamente chiamati a svolgere opera di controllo in questo sottosettore della vita sociale, aiuterebbero la scuola di Stato, nonostante le  sue non poche carenze, ad essere giudicata più favorevolmente dalla comunità.

 

 

 

LE POSIZIONI DI GALASSO, MAZZETTI E MUSI SU SALERNO NON CAPITALE

19 gennaio 2011

 

 

 

Salerno, 19 gennaio 2011

Ambrogio IETTO

SALERNO CAPITALE PROVVISORIA D’ITALIA MA SEMPRE CAPITALE

 

Come è noto il 7 gennaio scorso ha avuto inizio a Reggio Emilia il ciclo ufficiale delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’ Italia. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel corso della manifestazione, ha consegnato la copia del primo tricolore, decretato nella città emiliana nel 1797 come bandiera della Repubblica Cispadana, ai sindaci delle tre città italiane di Torino, Firenze e Roma che si sono susseguite nel ruolo di capitale d’Italia.

Non è stato invitato alla manifestazione Vincenzo De Luca, sindaco di Salerno, in quanto – da parte dell’Ufficio Cerimoniale del Quirinale – si è ritenuto il capoluogo salernitano non rientrante nella qualifica di capitale di quella parte dell’Italia meridionale liberata dalle truppe anglo – americane e amministrata, con tutte le difficoltà proprie di quel momento storico, dal primo e secondo Governo Badoglio e dal secondo Governo Bonomi.

Rappresentanti istituzionali della comunità salernitana hanno formalizzato corrette rimostranze per il mancato coinvolgimento della città di Salerno. Ora sembra che, da assicurazioni ricevute dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta, il comune della città emiliana provvederà a far tenere anche alla municipalità ippocratica copia del tricolore mentre per l’autunno prossimo potrebbe approdare a Salerno addirittura il materiale della Mostra della Bandiera Italiana prevista originariamente solo per le tre città capitali storicamente consolidate.

Questa vicenda, registratasi all’inizio dell’anno celebrativo del centocinquantesimo anniversario dell’unificazione nazionale, ha generato – come era da prevedersi – interventi da parte di politici, di storici e della stessa stampa. Particolarmente interessante è risultata l’attenzione rivolta alla questione dal ‘Corriere del Mezzogiorno ‘ che, oltre i puntuali contributi del suo redattore Gabriele Bojano, ha dato voce a studiosi quali Aurelio Musi e Nicola Oddati ospitando , contestualmente, anche due preziosi interventi dello storico Giuseppe Galasso, di cui mi onoro di essere stato allievo, e dell’altro autorevole docente della Federico II Ernesto Mazzetti, ordinario di geografia economica e politica.

I tre esponenti dell’intellighenzia campana ( va escluso Oddati in quanto sostenitore del pieno diritto della città di Salerno a rivendicare la denominazione di capitale), motivando le proprie posizioni con argomentazioni sostanzialmente diverse, hanno espresso parere opposto.

L’irpino Musi, infatti, più docilmente sostiene che le capitali riconosciute ai fini dell’anno celebrativo sono quelle del periodo immediatamente post – unitario e, quindi, per Salerno, risultando fuori da questo periodo storico la fase immediatamente successiva al secondo conflitto mondiale, l’appellativo di capitale può assumere soltanto un valore simbolico.

Più decisa se non proprio rigida la posizione di Galasso che motiva il suo netto diniego al riconoscimento del ruolo di capitale a Salerno col ‘ grave e distorcente equivoco ‘ derivante ‘ dal confondere tra capitale e sede del governo ‘. Infatti ‘ la capitale ha uno status singolare, dagli effetti anche internazionali e diplomatici’. Infine Ernesto Mazzetti che, nel richiamare il realismo di Claudio Velardi orientato a dare del capoluogo partenopeo un’immagine sobria e moderna rinunciando al retorico e lamentoso richiamo dei suoi antichi splendori di capitale e di culla del Mediterraneo, non solo condivide la posizione del suo collega Galasso, ma va ben oltre, spingendosi ad immaginare Salerno ‘ fulcro d’una nuova gravitazione di attività ,.. protagonista d’un rinnovo urbano che è mancato a Napoli ‘ e che, pur ritrovandosi nel malinconico ruolo di ‘ capitale effimera’, potrebbe divenire un efficiente capoluogo della Regione. A beneficio di Napoli e dell’intero territorio campano ‘.

La generosità di Mazzetti nei riguardi di Salerno, non seconda a quella espressa da Galasso che riconosce alla città di Masuccio ‘titoli storici da andare fiera della sua storia ‘, supera ogni limite e mette al bando l’antica tesi, prima di Vincenzo De Luca e successivamente di Edmondo Cirielli, sul napolicentrismo. Personalmente non oso ribattere le argomentazioni di così autorevoli, virtuali interlocutori. Però sembra anche giusto avanzare qualche osservazione sulla questione, recuperando anche dei documenti dell’epoca che forse contribuiscono a fare chiarezza non solo sul ruolo di Salerno capitale provvisoria d’Italia ma anche su posizioni e decisioni, assunte a danno di questa città, da parte di un certo mondo culturale – politico del capoluogo partenopeo.

Innanzitutto  non convince del tutto il distinguo tra capitale e sede di governo. Diversi dizionari identificano la capitale con la città di uno stato in cui ha sede il governo ( Utet – Treccani – Garzanti Sapere.it – Sabatini e Coletti ).

Ebbene, come è noto, Salerno ha ospitato il primo e il secondo Governo Badoglio dall’11 febbraio  all’8 giugno e il secondo Governo Bonomi fino al 10 luglio 1944. In questo lasso di tempo sono stati approvati e implementati importanti provvedimenti normativi riguardanti i diversi settori della società  di quel periodo, erede di una situazione generale assolutamente deficitaria di strutture e di risorse primarie.

Ad esempio non furono poche, e tutte di significativa importanza,  le decisioni riguardanti la scuola e l’università grazie all’opera meritoria di Giovanni Cuomo, ministro salernitano dell’Educazione Nazionale e, ad interim, anche della Cultura Popolare: dalle nuove norme sull’immatricolazione degli studenti universitari ( RDL n. 47 del 27.1.1944 ) all’estensione dell’esonero dal pagamento delle tasse scolastiche (RDL n. 49 del 27.1.1944 ), dalle norme relative alla nomina dei rettori e dei presidi di Facoltà ( RDL n. 50 del 27.1.1944 ) alle disposizioni sul trasferimento dei docenti universitari (RDL n. n. 58 del 27.1.1944 ), dalla preparazione del regio decreto riguardante la sostituzione della denominazione ‘ Ministero dell’Educazione Nazionale’ con quella di ‘ Ministero della Pubblica Istruzione’ alle più dettagliate disposizioni riguardanti le ‘istruzioni per la riapertura ed il funzionamento delle scuole ‘ ( quest’ultimo documento anche nella versione italiana porta la firma autografa di Carleton Wolsey Washburne, esponente autorevole dell’educazione progressiva, allievo di Dewey, sperimentatore a Winnetka ma a Salerno tenente colonnello inquadrato nella V Armata del generale Clark, responsabile della Sottocommissione Alleata per l’educazione dell’A.M.G. – Governo Militare Alleato ed ispiratore del processo di democratizzazione della nostra scuola avviato coi programmi del 1944/1945 per la scuola elementare e per gli istituti magistrali ).

L’attività di decretazione di Cuomo, all’interno del Governo Badoglio insediato a Salerno, raggiunse il top con l’emanazione del RD n. 149 del 9 marzo 1944, istitutivo dell’Istituto Superiore di Magistero da cui gemmerà sempre più fiorente l’università della ‘ Hippocratica Civitas Studium Salerno ‘.

Come si sa questo atto di governo non fu gradito dal mondo accademico napoletano e, quando il 22 aprile 1944 al concittadino Cuomo subentrò, nelle funzioni di ministro della pubblica istruzione, in rappresentanza del Partito d’Azione, il rettore dell’ università partenopea Adolfo Omodeo, si intuì subito che la nascente istituzione universitaria sarebbe andata incontro ad un cammino molto tormentato.

Infatti “L’Ora del Popolo “, settimanale della Democrazia Cristiana del 10 maggio dello stesso anno, sotto il titolo ‘ Caparbietà ministeriale ‘ scrisse testualmente: ‘ S. E. Omodeo, allorché era soltanto Rettore dell’Università di Napoli, oppugnò tenacemente e violentemente l’istituzione del Magistero e si meritò una definitiva mise au point da parte dell’allora Ministro dell’Educazione Nazionale. Ci si sarebbe aspettato che, nominato a sua volta ministro, avrebbe considerata la questione con un pochettino di serenità o, in mancanza, dal punto di vista di una delicatezza verso il suo predecessore, salernitano, e verso la sede che ospita il governo. Al contrario egli vuole sopprimere un Istituto di istruzione quasi alla vigilia della chiusura dell’anno scolastico e come se non ci fossero, per 400 alunni, insormontabili difficoltà di trasferimento da una sede all’altra “.

Così dopo pochi giorni, esattamente il 21 maggio 1944, Vittorio Emanuele III firmò il decreto di soppressione dell’Istituto Superiore di Magistero Pareggiato redatto dal neo – ministro Omodeo. Le vicende che seguirono sono ben note. Infatti occorrerà arrivare tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta per salutare la statizzazione del Magistero e l’istituzione delle nuove Facoltà di Lettere, Economia e Commercio, Giurisprudenza e Scienze.

Questi essenziali richiami normativi, anche se relativi ad uno solo dei tanti problematici  settori affidati alla competenza dell’esecutivo insediato a Salerno, confermano che i componenti del Governo Badoglio non trascorsero le loro giornate andando a passeggio per il rinascente lungomare.

Anche per quanto riguarda gli effetti internazionali e diplomatici non va dimenticato che già a Brindisi Russia, Gran Bretagna e Stati Uniti inviarono i loro rappresentanti per il formale riconoscimento della prima edizione del Governo Badoglio.

Infine non può passare come mancanza di sobrietà e come discutibile manifestazione di superata vanagloria il recupero di quanto la stampa dell’epoca volle scrivere sull’esperienza di Salerno capitale provvisoria dell’Italia. Per l’autorevolezza del redattore piace richiamare in questa sede alcuni passaggi dell’articolo di commiato apparso su “ Il Corriere “ del 12 luglio 1944, quotidiano ufficiale del governo con direzione e redazione a Salerno in via Mercanti 76. La firma è di Mario Berlinguer, padre di Enrico, componente del secondo Governo Badoglio in quanto ‘ Alto commissario aggiunto dell’epurazione’ e, successivamente, deputato del Partito Socialista Italiano fino al 1963.

Il titolo del ‘pezzo’ è “ Saluto a Salerno”: “” In questi giorni lasciano Salerno i ministri e gli organi centrali dell’amministrazione dello Stato da questa capitale provvisoria, che per prima esaltò la liberazione di Roma; si trasferiscono alla capitale definitiva dell’Italia che rinasce. La storia ricorderà questo nuovo episodio degli annali di Salerno già gloriosa nei secoli.

Salerno fu capitale del Mezzogiorno con Roberto il Guiscardo ed insigne per la luce della sua scuola che irradiò le tenebre di un’età oscura, per la genialità dei suoi artisti, per il fervido patriottismo dei suoi eroi e dei suoi martiri del Risorgimento.

In quest’ora risoluta della vita nazionale, a Salerno due governi hanno segnato con l’opera due tappe laboriose dell’ascesa democratica dell’Italia, in un clima di severo accoglimento che il civismo della popolazione, il senso di misura e di ospitalità cordiale e comprensivo ha indubbiamente favorito.

Forse chi non conosceva bene l’anima di Salerno non sperava tanta comprensione e tanta dignità civica, degna veramente di una capitale; né tanta generosa ospitalità e tanta affettuosa cortesia diffusa in ogni strato sociale, spontanea e senza che un solo episodio ne offuscasse mai la continuità “”.

LA PROPOSTA SPERIMENTALE PER LA VALUTAZIONE DEL MERITO DEI DOCENTI E DEI RISULTATI DELLE SINGOLE SCUOLE

9 gennaio 2011

 

Salerno, 9 Gennaio 2011

Ambrogio IETTO

UNA PREZIOSA OCCASIONE PERDUTA

DAI DOCENTI DI TORINO E DI NAPOLI

Come era da prevedersi l’iniziativa partecipata alla stampa dal ministro dell’istruzione Gelmini a metà novembre, relativa all’avvio di progetti sperimentali per la valutazione delle scuole e degli insegnanti, è andata incontro ad oggettive difficoltà rappresentate dalla generalizzata ostilità dei collegi dei docenti interpellati ad aderire all’invito dell’Amministrazione scolastica. Si è reso necessario, così, prorogare i termini per la rilevazione delle disponibilità da parte delle istituzioni scolastiche al 7 febbraio 2011 e aggiungere anche l’ambito territoriale di Milano alle realtà di Napoli e di Torino, già prescelte per il riconoscimento del merito ai singoli docenti, e quello di Cagliari alla sperimentazione riguardante le singole scuole cui, fin dall’inizio, sono state interessate le città di Pisa e Siracusa.

Non è possibile prevedere come la querelle andrà a finire. Il MIUR, consapevole della particolare delicatezza del problema, al momento cerca di utilizzare il guanto di velluto al fine di portare avanti il progetto elaborato da un apposito Comitato Tecnico Scientifico e di monitorarne la fondatezza e la fattibilità su base generalizzata. Al fine di compiere una lettura e un’interpretazione per niente condizionate da antistorici ideologismi e da superate, senili e controproducenti manifestazioni di autoreferenzialità, è opportuno richiamare, sia pure in essenziale sintesi, i termini della questione.

Come è noto il decreto legislativo n. 150 del 27 ottobre 2009 modifica ed integra il decreto legislativo n. 165 del 30 marzo 2001 che, nel  contenere norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, precisa – al comma 2. dell’art. 1 – come per ‘amministrazioni pubbliche ‘ debbano intendersi ‘ tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative’. Il predetto decreto n. 150/2009, invece, emanato in applicazione della legge n. 15/2009, persegue, tra le altre finalità, anche “ l’incentivazione della qualità della prestazione lavorativa, la selettività e la concorsualità nelle progressioni di carriera, il riconoscimento di meriti e demeriti, la selettività e la valorizzazione delle capacità e dei risultati ai fini degli incarichi dirigenziali, il rafforzamento dell’autonomia, dei poteri e della responsabilità della dirigenza, l’incremento dell’efficienza del lavoro pubblico ed il contrasto alla scarsa produttività e all’assenteismo, nonché la trasparenza dell’operato delle amministrazioni pubbliche anche a garanzia della legalità “.

E’ in questa logica che si giustificano gli interi titoli II e III riservati alla misurazione, alla valutazione e alla trasparenza della performance, al merito e ai relativi premi. Infine, al comma 4. dell’art. 74, del più volte citato d.lgs. n. 150/09, riservato alle norme finali e transitorie, si legge che sarà un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, emanato di concerto coi ministri dell’istruzione e dell’economia, a determinare “ i limiti e le modalità di applicazione delle disposizioni dei Titoli II e III al personale della scuola e delle  istituzioni di alta formazione artistica e musicale “.

La lunga introduzione – premessa serve a dimostrare che l’iniziativa del ministro Gelmini, finalizzata a sottoporre a sperimentazione un progetto per la valutazione delle scuole e degli insegnanti, non è il prodotto di un capriccio personale né tende a perseguitare o a penalizzare il personale della scuola. Anzi, la sostanziale riservatezza  che ha contraddistinto l’intera fase di preparazione della proposta sta a confermare di come e di quanto sia convinta l’inquilina di viale Trastevere della necessità e dell’opportunità di procedere, in un campo minato come quello della verifica e del merito,  non solo con prudenza ma anche con circostanziata acquisizione di elementi conoscitivi funzionali all’individuazione di “ un modello per la valutazione della professionalità dei docenti e delle istituzioni scolastiche autonome chiaro, affidabile e condiviso “ in grado di premiare “ le migliori performance individuali “ e, contestualmente, di introdurre “meccanismi di stimolo a intraprendere percorsi di miglioramento “ nei docenti e nelle scuole.

Insomma il Comitato Tecnico Scientifico, a seguito delle comprensibili preoccupazioni ministeriali, ha elaborato un’ipotesi di percorso valutativo sicuramente migliorabile nei metodi, negli strumenti e nelle procedure ma essenziale per avviare, comunque, la cultura dell’autovalutazione tra i singoli docenti e all’interno dell’intera comunità scolastica. Con sostanziale umiltà istituzionale è stato evidenziato l’impegno, grazie ad una corretta opera di monitoraggio, di perseguire l’obiettivo di dar vita ad un metodo valutativo in grado di garantire semplicità procedurale, trasparenza e sostanziale condivisione.

Proprio perché trattasi di una proposta da sottoporre al vaglio dei collegi dei docenti delle scuole aderenti non avrebbe meritato l’inaridito, secco rifiuto degli organi collegiali interessati. Ma, ahimè, così vanno le cose in questo nostro meraviglioso e, purtroppo, anche disgraziato Paese. La ‘ rete ‘ informatica si è mobilitata come in precedenti occasioni e, manifestando scarsa fiducia nelle stesse capacità elaborative ed espressive dei singoli collegi dei docenti, ha messo in circolazione schemi preconfezionati e modelli stereotipati di delibere da adottare per motivare l’indisponibilità dei collegi dei docenti ad aderire alla proposta ministeriale.

Come si ricorda si verificò la medesima situazione nel gennaio – febbraio del 2000 quando, presidente del Consiglio dei Ministri Massimo D’Alema, il ministro dell’istruzione dell’epoca Luigi Berlinguer diede esecuzione al contratto integrativo della scuola, siglato in precedenza con le organizzazioni sindacali, che prevedeva un particolare meccanismo premiante il merito del personale docente, definito comunemente ‘concorsone’. Dal governo furono rese disponibili le risorse necessarie per attribuire sei milioni di lire a 150.000 insegnanti dei diversi ordini e gradi di scuola. Si trattava, in primo luogo, di compilare un curriculum in cui l’aspirante avrebbe indicato le sue esperienze formative e didattiche, utilizzando un facsimile di domanda pubblicato finanche sulla Gazzetta Ufficiale dell’11 gennaio 2000. Successivamente sarebbe stata affrontata una prova strutturata con 100 domande a risposta multipla e, quindi, quale seconda ed ultima prova, una lezione in situazione ovvero un’unità didattica da sviluppare con la propria classe. Per i docenti timidi o, comunque, indisponibili a svolgere questa attività nella consueta dinamica processuale insegnamento – apprendimento sarebbe stato sufficiente illustrare un argomento della propria programmazione didattica senza la presenza degli allievi.

Dopo la pubblicazione del decreto ministeriale, contenente il bando, Gilda e Cobas avviarono l’operazione boicottaggio, coinvolgendo ben presto anche i quattro sindacati storici che, in sede di sottoscrizione del contratto integrativo, avevano condiviso in pieno formula e procedura concorsuale. Il povero Berlinguer fu costretto, così, in data 11 febbraio 2000 ad ‘ azzerare le modalità di attuazione in materia di valorizzazione docente per consentire un loro radicale ripensamento ‘ e, nell’aprile successivo, dopo una reprimenda di Walter Veltroni, segretario del partito dei Democratici di Sinistra, che gli rimproverava di aver fatto perdere al partito centinaia di migliaia di voti , provenienti dal personale della scuola,  a causa della brutta ed impolitica storia del ‘ concorsone ‘,  lo rimpiazzò al ministero dell’istruzione col linguista Tullio De Mauro.

A distanza di dieci anni, dunque, è Maria Stella Gelmini a riproporre la questione del merito da ricercare e da definire tra le diverse componenti del personale della scuola, facendo propri i favorevoli pronunciamenti dell’elaborazione teorica e dei sistemi scolastici di altri Paesi europei e dell’Ocse. Così per la valutazione dei docenti, a differenza della più severa procedura prevista a suo tempo dal citato accordo Sindacati – Berlinguer, i collegi dei docenti delle venti scuole da coinvolgere, situate a Torino e a Napoli e sorteggiate tra quelle resesi disponibili, sono tenuti a formalizzare la delibera di adesione. Quindi un ‘ nucleo ‘, composto dal dirigente scolastico e da due docenti eletti con voto segreto dal Collegio dei docenti, col presidente del consiglio di istituto nelle vesti di semplice osservatore senza diritto di voto, valuta i docenti che hanno manifestato la propria adesione alla sperimentazione, tenendo presente come punto di riferimento il profilo professionale del docente delineato dall’art. 27 del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro – Comparto scuola e costituito dal possesso di “ competenze disciplinari, psicopedagogiche, metodologico – didattiche, organizzativo – relazionali e di ricerca, documentazione e valutazione tra loro correlate ed interagenti “.

Curriculum vitae, documento di autovalutazione e i risultati di indagini condotte per “ rilevare l’apprezzamento dei docenti da parte dell’utenza ( genitori e studenti ) “costituiscono gli elementi fondanti il giudizio di merito. Per la valutazione delle scuole, invece, la proposta ministeriale si rivolge alle scuole secondarie di primo grado di Pisa, Siracusa ed ora anche di Cagliari. L’attenzione alle ex scuole medie probabilmente si giustifica per la particolare fragilità e per la permanente problematicità che contraddistinguono  questo segmento del nostro sistema scolastico. Livello di apprendimento degli studenti, definito mediante la presa in carico dei test Invalsi somministrati a conclusione della scuola primaria, alla fine delle classi prima e terza dell’ex scuola media, e verifiche esterne effettuate da un nucleo, costituito da un dirigente tecnico e da due esperti esterni, sono i fattori presi in esame per una corretta comparazione valutativa tra le scuole compartecipanti al percorso sperimentale.

Le due ipotesi progettuali possono essere messe in discussione ed anche non condivise in toto ma le motivazioni giustificative del rifiuto espresso dalla totalità delle istituzioni scolastiche chiamate in causa sanno molto di ben note pregiudiziali di natura ideologica e sindacale  – politica: pseudo – riforma Gelmini, tagli indiscriminati alla scuola, volontà di dividere la categoria, ricaduta negativa per la dignità del lavoro docente, compromissione per lo sviluppo del sapere critico, ridimensionamento del lavoro collettivo, innesco di dinamiche individualiste e conflittuali, assenza di legame con la pratica didattica, mancata stabilizzazione dei docenti precari, criteri arbitrari e poco oggettivi, svuotamento del diritto allo studio e cose simili.

Chi scrive ricorda a se stesso che nel 1968, al fine di ottenere il passaggio anticipato da una classe a quella successiva della carriera di maestro di scuola elementare, sostenne e superò uno speciale concorso per merito distinto, dopo avere svolto una regolare prova scritta, unica per tutto il territorio nazionale, su di un argomento pedagogico – didattico con particolare riguardo ai problemi del momento e ai vigenti programmi della scuola primaria. L’avvenuto superamento della prova scritta, giudicata con una valutazione non inferiore a 7/10, consentì di essere ammesso alla prova orale consistente nella impostazione didattica e nella sua giustificazione di una lezione centrata su di un argomento tratto dai programmi per la scuola primaria all’epoca vigenti. La lezione venne svolta dinanzi ad una commissione costituita da un docente universitario di discipline filosofico – pedagogiche, da due professori ordinari di scuola media di secondo grado, da un ispettore scolastico e da un maestro elementare di ruolo appartenente all’ultima classe di stipendio di “ particolare affidamento “, secondo l’Amministrazione scolastica, “ per titoli di cultura, esperienza e capacità didattica “ ( art. 5 del DPR 1° novembre 1959, n. 1203).

Un’ultima considerazione riguarda, in particolare, i docenti appartenenti alle istituzioni scolastiche di Torino e di Napoli che, nella totalità, hanno respinto in partenza la proposta sperimentale offerta dal Miur. Il caso vuole che entrambe queste città vivano una fase di particolare criticità: nel capoluogo piemontese i 5000 dipendenti della Fiat si pronunceranno il 13 e il 14 gennaio 2011 sul referendum inerente all’accordo siglato lo scorso 23 dicembre tra Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, e le organizzazioni sindacali esclusa la Fiom – Cgil. Giuseppe Farina, segretario generale della Fim Cisl, definisce il predetto referendum ‘ della speranza e non della paura’.

I docenti torinesi, meglio tutelati dei loro concittadini occupati a Mirafiori sia nella stabilità del posto  sia nella salvaguardia dei diritti,  hanno avuto paura di accettare la sfida di viale Trastevere e, quindi, di cominciare a mettersi in discussione. Si sono rinchiusi nel loro orticello senza compiere lo sforzo di andare oltre la siepe che lo separa dal resto del mondo.

I colleghi di Napoli, comportandosi allo stesso modo, si sono caricati di una responsabilità maggiore: hanno mostrato carenza di sensibilità nei riguardi di una città, antica e privilegiata capitale di cultura, ora letteralmente soccombente alla logica del malaffare prodotto da una classe politica incapace e corrotta e da una malavita sempre più organizzata ed invasiva. L’adesione al sia pur discutibile progetto ministeriale poteva significare un piccolissimo segnale a favore delle future generazioni e, quindi, decisamente orientato verso la speranza. Peccato!

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fonire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o clicchi su "Accetta" permetti al loro utilizzo.

Chiudi