PERCHE’ DE LUCA MANDA A QUEL PAESE BERSANI E D’ALEMA

 

Salerno, 24 Marzo 2011

Ambrogio IETTO

LA SCOMPARSA A SALERNO DEL PARTITO DEMOCRATICO

 

Con la formale approvazione degli organi locali  e col tacito assenso da parte della segreteria nazionale, frammentata da sottogruppi l’un contro gli altri armati a conferma delle oggettive difficoltà presenti già nella fase di aggregazione di culture e di esperienze politiche diverse, il Partito Democratico scompare ancora una volta dalla prossima competizione di maggio finalizzata all’elezione del sindaco e del consiglio comunale di Salerno.

Vincenzo De Luca, il sindaco uscente che ha voluto sempre più identificare il suo impegno nella conduzione della vita amministrativa della città con la sua persona prescindendo da ogni schematizzazione di sorta riconducibile al partito di cui è stato anche rappresentante alla Camera dei Deputati, ancora una volta manda un segnale forte, a conferma del suo ben noto decisionismo, non tanto ai cittadini cui chiede la conferma del consenso quanto ai vari capitribù che a Roma continuano a disquisire sul sesso degli angeli.

Il messaggio inequivocabilmente esplicito l’ha affidato a Nicola Landolfi, giovane suo delfino, pazientemente formato ad una forma mentis e ad un metodo di lavoro, propri dell’identità culturale e politica deluchiana, ed opportunamente collocato alla segreteria di quello che ufficialmente viene chiamato a Salerno Partito Democratico.

Landolfi la settimana scorsa ha partecipato a Roma all’assemblea nazionale dei segretari provinciali del partito. In questa veste è intervenuto nella discussione generale, esprimendo considerazioni di particolare gravità non affidate all’estemporanea elaborazione ma ad un testo scritto sicuramente vergato a Salerno dopo aver ottenuto l’imprimatur dal suo padrino politico. Il contenuto dell’intervento successivamente è stato pubblicato sul sito del Circolo PD Uno di Salerno a conferma di un atteggiamento che, anche se non  nuovo, certamente rafforza la posizione autonoma di De Luca nei confronti di Bersani e compagni che già furono costretti a venir meno allo strumento delle primarie, in occasione delle ultime elezioni regionali in Campania, affidando allo stesso sindaco di Salerno la responsabilità di rappresentare il fallimento, in regione, della politica di Bassolino e del partito di cui questi era espressione.

Bene, cosa ha detto Landolfi all’enigmatico e deludente Bersani ? Egli ha sottolineato, in primo luogo, lo scollamento esistente tra le espressioni territoriali del partito e ‘ il cosiddetto partito istituzionale romano e giornalistico’, portavoce di ‘ correnti, capi-corrente, organi dirigenti che si fanno associazioni’. Quindi ha aggiunto che i segretari provinciali non sanno ancora bene se sono chiamati a lavorare ‘ per un partito di notabili e di correnti o per un partito che organizza idee per le giovani generazioni’. Nell’evidenziare il ruolo della provincia di Salerno, la quarta del sud dopo Napoli, Palermo e Bari, è stato anche rivendicato il diritto a vedere rappresentate in sede nazionale le istanze di un partito che rifiuta ‘ documenti lunghissimi tanto da sembrare libri di filosofia’, non accetta una ‘propaganda condizionata da una mole enorme di parole e di colori ’ tanto da non ‘ far capire niente’, e che non prende atto del fatto che oggi ‘ si vince sul terreno dell’autonomia ‘.

Pur nel rispetto dell’autonoma capacità elaborativa dell’intelligente Landolfi chi è attento al linguaggio deluchiano non fa fatica a riconoscere nel testo espressioni piuttosto colorite che sono proprie del personale vocabolario del sindaco uscente.

Ad avviso di chi scrive, dunque, la decisione di De Luca di rifiutare a suo sostegno una lista di appoggio siglata PD ha soprattutto il valore di ribadire a Roma la sua piena autonomia dal partito, di riaffermare una piena libertà di manovra proiettata anche sui futuri posizionamenti da assumere in un quadro politico nazionale particolarmente incerto.

Il recente suo viaggio a Milano per parlare di federalismo all’Università Bocconi, l’incontro – confronto svoltosi a Salerno con Tosi, sindaco leghista della città scaligera, sono gli ultimi segnali, in ordine di tempo, che confermano una  guadagnata e consolidata visibilità nazionale che gli consente di fare il bello e il cattivo gioco nei confronti della riconosciuta saccenteria di un D’Alema o dell’innaturale aggressività di una Rosy Bindi.

La debolezza, ormai consacrata in città, dei rappresentanti della componente ex Margherita li taglia fuori da ogni interlocuzione significativa col partito ufficiale. L’esperienza sofferta, vissuta in prima persona dal senatore Alfonso Andria nelle precedenti elezioni amministrative, ha contribuito ad attutire di molto l’entusiasmo suo, dei suoi sostenitori e di quanti hanno creduto di esprimere le istanze dell’antico cattolicesimo democratico all’interno del nascente partito democratico. Alla fine si preferisce la non belligeranza ad una partita considerata perduta in partenza.

A mescolare e a confondere ulteriormente le carte ci sono le correnti romane tra le quali cerca di agitarsi quella facente capo all’ex ministro dell’istruzione Fioroni che evidenzia – di fatto – la sofferenza della componente cattolica all’interno di un partito egemonizzato dai veterocomunisti. A rendere più complicato questo messaggio contribuiscono la Bindi, Letta, Franceschini e gli stessi Andria e Iannuzzi i quali, pur confermando l’adesione alle originarie posizioni di Don Sturzo, si collocano all’interno delle componenti vicine al duo D’Alema – Bersani.

In un simile guazzabuglio De Luca preferisce non identificarsi con un partito che, nella percezione del comune elettore salernitano, manca di una propria identità e di un credibile progetto politico. Il corpo elettorale della città sa bene che De Luca rappresenta se stesso e che ha consolidato così fortemente la sua autonomia da mandare tranquillamente a quel paese logo e denominazione del partito di ufficiale appartenenza del quale manifesta, quando vuole, la forza e la disponibilità a servirsi soltanto se gli conviene e se l’ipotetica, dichiarata collocazione risulta funzionale ad un disegno superiore e più gratificante per lui.

Pertanto, mentre risulta conveniente guadagnarsi il supporto del PSI e dei vendoliani della SEL, aggregazioni discese in campo coi simboli ufficiali, a De Luca, invece, produce senso di repulsione accettare l’appoggio di una lista targata PD.

Secondo la valutazione di chi scrive l’avvenuta esclusione  di questo potenziale, teorico aiuto non è  determinata da una strategia elettorale primariamente finalizzata a raccogliere anche i suffragi della componente moderata dell’elettorato salernitano che risulta, al contrario, sufficientemente alfabetizzato sull’originaria formazione marxista di De Luca, sulle sue pregresse esperienze di agitatore sindacale e politico ma che  ha avuto modo di apprezzarne le qualità di amministratore deciso e realisticamente impegnato  ad affrontare e, nei limiti del possibile, anche a risolvere i problemi della città.

Questa componente dell’elettorato accetta e sopporta di lui anche le lunghe, periodiche omelie, tollera il linguaggio  triviale che a volte utilizza, ingoia la sua scarsa disponibilità al sorriso e finisce anche con l’accostarlo, grazie al ruolo egemonico che esprime sui consiglieri e sugli assessori comunali e alla tecnica comunicativa che utilizza, allo stile e al carisma del non sempre disprezzato Cavaliere Berlusconi.

 

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