Archivio per maggio, 2011

FERRAZZANO, GAGLIANO, EGIDIO MASULLO TRAVOLTI DAL BULLDOZER DE LUCA

17 maggio 2011

 

Salerno, 17 Maggio 2011

Ambrogio IETTO

DAL PRIMATO DI VINCENZO DE LUCA A SALERNO

A QUELLO DI GIUSEPPE CAPASSO A SAN SEBASTIANO AL VESUVIO

 

Un vero trionfo per Vincenzo De Luca. L’uso del termine non è improprio ma risponde pienamente ad un risultato che, oltre ad essere unico tra i capoluoghi di provincia d’Italia ove si è votato per il rinnovo dei consigli comunali, è prossimo al record assoluto, risultando distaccato semplicemente di appena due centesimi di punto ( 0,02 ) da Giuseppe Capasso sindaco rieletto di San Sebastiano al Vesuvio. Senza, però, voler fare un torto al suggestivo centro del napoletano e ai suoi tranquilli abitanti, che riescono a dormire la notte in tutta serenità nonostante l’abitato sorga alle pendici del Vesuvio e sia stato radicalmente distrutto nel 1944 proprio dal non molto indulgente vulcano, qualche differenza c’è tra Capasso, il loro primo cittadino, e De Luca il titolare della poltrona più importante di Salerno.

Qui non si vogliono richiamare dati che potrebbero rendere più da primato il risultato acquisito dal sindaco del capoluogo salernitano, ove ha votato il 78,49 %  contro il 71,63 % dei votanti del paese vesuviano ed ove era essenziale prendere direttamente o indirettamente contatti coi 92.097 cittadini che hanno deciso di recarsi ai seggi a differenza dei 5.423 votanti di San Sebastiano.

La comparazione vuole esser fatta semplicemente, tenendo conto delle radici di ciascuno dei due. Infatti mentre De Luca arrivò durante la preadolescenza a Salerno da Ruvo del Monte ( Potenza ) al seguito del papà che, coi pochi risparmi accumulati, aprì un negozio di alimentari nel popolare quartiere di via Calenda, Giuseppe Capasso risulta essere figlio d’arte a denominazione d’origine controllata.

Suo padre Raffaele, infatti, fu l’intraprendente sindaco della  ricostruzione ex novo di San Sebastiano al Vesuvio per ben 35 anni. Il figliolo Giuseppe, all’età di 26 anni, cominciò ad imparare dal padre il mestiere di sindaco, risultando eletto nel 1983 nello stesso consiglio comunale  presieduto dal papà. Per sette anni fu un allievo modello, osservando sistematicamente il comportamento paterno durante la gestione del consesso, nelle funzioni in cui occorreva  esprimere responsabilità istituzionali e, soprattutto, nel rapporto proficuo e gratificante con la variegata platea della comunità rappresentata.

 ‘Fatto grande’ Giuseppe ha maturato, unitamente a molteplici, delicati altri incarichi istituzionali tuttora in corso, circa 15 anni di sindacato rinnovatogli dai fedeli cittadini soltanto ieri per altri cinque anni. Di certo anch’egli, nel momento in cui è stato legittimato il nuovo successo, si è ricordato del grande papà e dell’eredità ideale lasciatagli.

Vincenzo De Luca, invece, ha avvertito l’erompente esigenza, quando l’affermazione elettorale è apparsa davvero trionfale, di richiamare la memoria del papà defunto e della mamma sofferente nella piazza più importante della città e al cospetto di un pubblico folto e caloroso. Ha inteso, poi, giustamente coinvolgere nel ricordo e negli affetti anche i due figlioli.

Così, sfidando idealmente i tanti critici, tra cui può essere collocato umilmente anche chi scrive, che da sempre lo giudicano aggressivo, burbero, sadico, ostinato e, per certi aspetti, anche spietato nel distribuire a destra e a manca epiteti e sberleffi, ha irrefrenabilmente messo a nudo la propria umanità, manifestando, ed era ora, il grande sentimento dell’ umiltà che, fortunatamente, si alligna anche tra gli ambiziosi e i potenti.

Si avrà modo, nei prossimi giorni, molto più serenamente di prendere in esame i motivi che possono giustificare questo suo straordinario successo. Tra i fattori possono già rientrare l’atipico rapporto diadico che egli vive con la città della quale appare sinceramente innamorato e con la quale finisce con l’identificarsi profondamente, la sua caparbietà nell’andare avanti come un bulldozer nel perseguire obiettivi che sono frutto primario della sua creatività, la concretezza del suo modo di far politica, l’autorevolezza ideativa ed operativa che si è guadagnata verso i suoi collaboratori politici e tecnici tanto da farla percepire come autorità bella e buona, l’efficace tecnica comunicativa capace di catturare l’attenzione della componente  più popolare dei suoi supporter e di attrarre, contestualmente, anche l’uditorio più riflessivo ed impegnato, la stravagante estrosità in grado di dare a Salerno una notorietà crescente che spazia dalla dimensione regionale a quella nazionale per poi, molto rapidamente, collocarsi a livello continentale e, quindi planetaria, infine l’indubbio, favorevole apprezzamento ottenuto nel corso delle molte apparizioni effettuate nei talk show delle più importanti reti televisive nazionali. 

Da questo insieme di elementi distintivi De Luca si è servito per costruire e diffondere tra i suoi concittadini la categoria della fierezza, dell’orgoglio, del consapevole, forte senso di appartenenza alla città.

Questa analisi, pur dando a Cesare quel che è di Cesare, risulterebbe parziale se non si aggiungesse un altro non secondario fattore che ha contribuito a determinare l’affermazione: la modestia dei competitori e la vacuità dei loro progetti per la Salerno del domani.

La candidata del centrodestra Anna Ferrazzano, in una dichiarazione televisiva, ha espresso la sua soddisfazione per il risultato ottenuto e, ostentando anche un piacente sorriso e una ben studiata sicurezza, ha aggiunto di voler svolgere con onestà e determinazione, come è giusto che sia, il ruolo di leader dell’opposizione.

Ella, evidentemente, non ricorda che Antonio Marotta, candidato del centrodestra alle elezioni comunali del 28 maggio 2006, conseguì la percentuale del 18,91% dei voti su di un totale del 20,00 % dei suffragi acquisiti dalle liste che sostenevano la sua candidatura a sindaco. In quell’epoca il centrodestra era all’opposizione alla Provincia e alla Regione mentre tutti i più importanti comuni del salernitano venivano retti da maggioranze di centrosinistra. In questa occasione, pur risultando  lo scenario politico – amministrativo  totalmente cambiato, la candidata a sindaco del centrodestra ha ricevuto il 17,41 % di voti personali, cedendo il 7,93 %  di essi a De Luca  grazie al meccanismo del voto disgiunto.

La stessa situazione si è verificata con Salvatore Gagliano che, pur sognando grandi risultati alla vigilia fino ad autoproclamarsi concorrente allo spareggio con De Luca, ha perduto quasi la metà dei voti che gli sarebbero spettati se 2.410 elettori, che hanno votato le tre liste sostenitrici, non avessero preferito propendere per De Luca.

Esce definitivamente dalla scena politico – amministrativa della città anche Rosa Egidio Masullo che non pochi elettori avevano considerato uno dei possibili fattori di contenimento della valanga De Luca. Ella, a nostro avviso, ha commesso il grave errore di cedere alle lusinghe delle scarne risorse di Rifondazione Comunista e di Italia dei Valori. Così ha dato un incontrovertibile marchio politico alla sua collocazione. Forse una posizione alternativa di taglio progressista, critica verso metodi di gestione accentuatamente direttivi, sensibile alla parte più autenticamente motivata  del volontariato cattolico e laico, avrebbe potuto consentirle di rientrare con onore all’interno del consesso civico.

Ma come le più importanti vicende storiche non si ricostruiscono coi ‘ se ’ e coi ‘ ma’, così  anche gli esiti elettorali non vanno interpretati col senno del ‘ poi ‘.

Salerno ha salutato col trionfo la riconferma del suo Cesare il cui nuovo primato acquisito, quello del 74,42% del consenso ricevuto dai concittadini, rappresenta di certo  per lui il più gradito dei doni ricevuti.

TRA SBERLEFFI E CONTUMELIE AGLI AVVERSARI UNA SALERNO DESTINATARIA DI UN ECCESSO DI LOCALISMO

12 maggio 2011

 

Salerno, 12 Maggio 2011

Ambrogio IETTO

 

I DIFETTI CHE DE LUCA NON VUOLE CORREGGERE

 

I muri degli edifici della città sono da ieri letteralmente coperti da manifesti giganti che riproducono una bella fotografia, ripresa da ottima posizione il pomeriggio di sabato 7 maggio in occasione del comizio del sindaco De Luca piazza Portanova. Trattasi di un’immagine oggettivamente espressiva della gran folla che ha scelto di partecipare all’evento. Le cifre date da alcuni organi di stampa e dalle stesse emittenti locali oscillano tra le seimila e le diecimila persone. Sono stato anch’io ad ascoltare l’intervento dell’oratore ma non sono in grado di quantificare, sia pure per approssimazione, il numero dei presenti. Ritengo, però, che il dato attendibile possa oscillare tra le 5000 e le 6000 unità.

L’odierna riflessione, peraltro, non intende affrontare questa questione che, tutto sommato, risulta secondaria. Va evidenziato, però, che per i tempi che corrono non è cosa facile far confluire tanta gente per un comizio all’aperto tenuto nel caldo pomeriggio di un sabato di maggio. C’è da chiedersi, pertanto, sui motivi che hanno spinto tante persone a  raggiungere la piazza che, nelle prime consultazioni elettorali del dopoguerra, fu feudo ludico – politico di Alfonso ‘a patana.

Di certo la componente più consistente del pubblico era rappresentato dai 96 candidati nelle tre liste composte direttamente dal primo cittadino, dai loro parenti e supporter e dai tanti personali sostenitori – tifosi del sindaco. Il resto era costituito, oltre che da curiosi comunque interessati alla vicenda elettorale, anche da una non trascurabile parte della cittadinanza che abitualmente segue le omelie televisive tenute settimanalmente da De Luca, ne condivide l’impostazione e, soprattutto, si diverte quando fuoriescono dalla sua bocca battute spiritose ed argute, apprezzamenti per niente generosi nei confronti di suoi avversari, espressioni maliziose che investono l’aspetto fisico – somatico o caratteriale del soggetto preso di mira.

De Luca, vecchio volpone della politica, tribuno maturatosi nelle arringhe antipadronali di quando faceva di professione il sindacalista e, successivamente approdato alle scuole delle Frattocchie e di Ariccia per un itinerario formativo finalizzato ad un processo di affinamento del glossario politico, sa bene che proprio a questo uditorio occorre rivolgere particolare attenzione perché è quello che riscalda ed infervora la piazza con applausi incontenibili e chiassosi ad ogni battuta ad effetto. Pertanto egli sabato pomeriggio, da comunicatore abilitato in particolare a produrre effervescenza tra questa utenza umana, ha dedicato i primi 10/15 minuti del suo intervento alla canzonatura e alla burla dei singoli personaggi di respiro nazionale del centrodestra giunti a Salerno per fare da sponsor alla sua principale avversaria Anna Ferrazzano.

Così Gasparri dal punto di vista genetico costituirebbe la ‘ strana mescolanza di umano e di pinguino ‘, Matteoli, soggetto da collocare nella categoria degli ignoranti o dei superficiali in quanto confonderebbe Salerno con una località  sottosviluppata della Tripolitania, La Russa, invece,  che, al contrario di De Luca ossequiato ed omaggiato dai leghisti a Milano, verrebbe dagli stessi padani dileggiato e schernito, così  Caldoro e Brunetta  paragonati a Cip e a Ciop, personaggi immaginari dei cartoni animati, il primo col naso nero e la voce acuta e il secondo con un grande naso rosso e due denti particolarmente sporgenti. Per Cosentino, ovviamente, il solito, per niente elegante riferimento ai suoi presunti compagni di corruttela che non possono fargli compagnia quando il coordinatore regionale del centrodestra viene a Salerno in quanto o ospiti delle patrie galere oppure nascosti in qualche bunker e impegnati, comunque, a fare da burattinai per ulteriori imprese criminali. Ad Alemanno la promessa del dono di un filare di luci d’artista al fine di rendere più accogliente e gradevole la capitale di cui è il primo cittadino.

De Luca non termina qui la sua carrellata più offensiva in verità che sarcastica e preannuncia per gli ultimi giorni della campagna elettorale l’arrivo di Cetto La Qualunque, interprete di un politico calabrese puntualmente corrotto e depravato, e il duo Platinette e Lele Mora.

A mio avviso questo è uno dei più gravi difetti, unitamente all’arroganza, di un politico del fare e navigato come De Luca che ha piena consapevolezza di queste sue volute e programmate cadute di stile alle quali, però, ritiene di non poter rinunciare perché perderebbe una parte non trascurabile dei suoi aficionado. Infatti sono stati proprio questi a piazza Portanova sabato scorso a sollazzarsi ogniqualvolta la voragine deluchiana emetteva sberleffi, cattiverie, grottesche raffigurazioni di personaggi tutti indegni, secondo il sindaco, di ricoprire gli incarichi loro assegnati, compreso quel Caldoro che lo ha battuto sonoramente alle ultime consultazioni regionali.

Un altro grave difetto, ad avviso di chi scrive, riguarda la sua visione politica eccessivamente localistica. Nel comizio di sabato De Luca ha invitato opportunamente tutti noi ad andare con la memoria indietro nel tempo al fine di paragonare la Salerno di venti – trenta anni fa alla città odierna. Egli ha continuato, richiamando  tutti i primati, veri o presunti, da essa conquistati in campo nazionale, europeo e planetario. Gli è volutamente mancato, però, lo spunto di ampliare l’orizzonte, volando oltre l’hotel Baia, Scavata Case Rosse,  Fratte ed Ogliara, confini storici della città. Ancora una volta tra i suoi sogni non ha ipotizzato  l’ipotesi di una città aperta al territorio di riferimento, cerniera sul versante economico – turistico tra l’agro sarnese – nocerino e la piana del Sele, tra la costa d’Amalfi e quella cilentana, direttamente interessata alla Valle dell’Irno ove  lo stesso campus universitario corre il rischio, almeno nel linguaggio comune, di perdere la denominazione istituzionale di Università degli Studi di Salerno.

E’ stata da lui deliberatamente abbandonata l’idea di città metropolitana che, nel doveroso rispetto delle autonomie municipali contigue, potesse mirare ad un organico progetto per la realizzazione di una funzionale  rete di servizi orientati alla persona e ad una più vasta comunità.

Anche su questo versante il discorso di sabato pomeriggio è stato percepito come il canto appassionato di un innamorato esclusivo della sua città che aspira soltanto, di qui a cento anni, a sapere le sue ceneri gelosamente custodite nell’urna dorata della futura piazza della libertà.

 

 

 

 

 

 

CIRIELLI, DE LUCA ABBASSATE I TONI PER IL BENE DI SALERNO E DEL SUO HINTERLAND !

5 maggio 2011

 

Salerno, 5 Maggio 2011

Ambrogio IETTO

UNO SCONTRO IRRESPONSABILE CHE FA SOLO MALE A SALERNO  E AL SUO TERRITORIO

 

Lo avevamo detto e scritto da subito: le elezioni per il rinnovo dell’amministrazione comunale della città capoluogo, più di tutte le altre in programma nella tornata di metà maggio in Campania, avrebbero avvelenato ulteriormente il clima generale di Salerno e provincia tanto da compromettere in termini irreversibili la qualità dei rapporti interistituzionali che pur si impongono tra l’ente Comune e l’Amministrazione provinciale di Palazzo Sant’Agostino.  Purtroppo così è stato con l’aggravante che  la situazione conflittuale  andrà avanti oltre la scadenza elettorale, peggiorando sempre di più.

Quali i motivi ? Sono di duplice natura: politica e personale – caratteriale.

Dal punto di vista politico incide in misura notevole l’avvenuta conquista, da parte del centrodestra, sia del governo della provincia di Salerno sia, soprattutto, di quello regionale che ha segnato, in particolare, la sconfitta piuttosto grave, proprio del sindaco di Salerno Vincenzo De Luca e, con lui, dell’intero Partito Democratico la cui crisi appare sempre più pesante  non solo a Napoli capoluogo ma sull’intero territorio campano.

Per De Luca, superata la poco gratificante esperienza nazionale da membro  della Camera dei Deputati, accettata con l’amaro in bocca la pesante sconfitta alle regionali dopo che era riuscito a raggirare l’ostacolo delle primarie, il mantenimento del primato a Salerno città rimane l’obiettivo determinante da raggiungere anche ai fini della personale sopravvivenza.

Pienamente consapevole di questa situazione di fatto egli ha buttato alle ortiche il Partito Democratico del quale ha conservato soltanto il locale pacchetto azionario, affidandolo nelle mani di Nicola Landolfi, giovane cresciuto alla sua corte e di verificata, cieca fedeltà. Per seguire questa logica è stato lasciato nel cestino dei rifiuti  perfino il logo del partito di Bersani con buona pace anche del trio Iannuzzi, Andria ed Antonio Valiante, relegati ad un ruolo di semplici ed impotenti osservatori delle vicende politiche del capoluogo ed esclusi anche da un’apparente, formale funzione  consultiva.

A Salerno, per la campagna elettorale in atto, non hanno diritto di accesso i big del partito mentre lo stesso identikit cultural – politico del sindaco uscente appare come una mescolanza non omogenea di tratti diversi che vanno dal dichiarato liberalismo gobettiano ad un’accentuata visione personalizzata della politica, da una non nascosta simpatia filoleghista ad una visione esageratamente conclamata di apertura mediterranea ed europea.

Il suo progetto politico – amministrativo, anche dal punto di vista fisico, è caparbiamente concentrato entro l’ambito diventato quanto mai ristretto del territorio comunale che va dall’hotel Baia a Scavata- Case Rosse, dal lungomare a Fratte e alle frazioni collinari. Non c’è l’ombra di un disegno metropolitano che guardi con la dovuta attenzione alla Valle dell’Irno ove, tra l’altro, vive da nobile separata una struttura universitaria che sta perdendo anche il nome di Salerno per essere denominata dagli stessi docenti e discenti come l’ateneo di Fisciano.

Nella fazione opposta l’attenzione del centrodestra, anche qui egemonizzata dalla singola persona di Edmondo Cirielli, è rivolta all’intera area provinciale con squarci di apertura verso una dimensione extraterritoriale con la quale si identifica la prospettiva non folle della creazione di una nuova regione che, superato l’originario, ristretto ed improponibile localismo provinciale, va alimentando un incoraggiante interesse sia in terra irpina sia nella più lontana area sannita.

Dentro questa visione strategica l’impegno del presidente della provincia di Salerno è particolarmente orientato verso la conquista politica della stragrande maggioranza dei comuni salernitani. Con la molto probabile vittoria di Nocera Inferiore l’intero agro – sarnese nocerino assumerà un’unica identità politica mentre a sud, acquisiti i non secondari comuni di Pontecagnano, Bellizzi, Montecorvino Pugliano e Montecorvino Rovella, restano da conquistare in prospettiva le entità municipali di Battipaglia e di Eboli.

Se c’è un limite, da parte del centrodestra, nell’impostazione della campagna elettorale in atto a Salerno, questo va ricercato proprio in una mancata socializzazione di un disegno che, pur portandosi dietro la primaria preoccupazione di ridimensionare il fenomeno De Luca, avrebbe meritato, grazie ad un’efficace ed efficiente interazione comunicativa che è mancata, una più didascalica illustrazione agli elettori del capoluogo. L’essere caduti nella trappola deluchiana di inseguirlo nelle sua omelie illustrative del futuro volto della città e di tentare di contestarlo su quanto fatto e su quanto è in cantiere ha significato inevitabilmente ridimensionare la pur apprezzabile idea di Cirielli che può andare ben oltre la pur contingente ed indispensabile gestione del potere.

Leggere, ad esempio, manifesti pro – Ferrazzano che promettono meno traffico e più strisce blu, consente di cogliere evidenti contraddizioni nella recente, rigida ed impolitica posizione assunta da Caldoro sulla metropolitana ed ipotizzare una città assediata da cittadini che dalla periferia e dalla provincia entrano nel centro urbano, pensando di poter agevolmente posteggiare la propria auto anche perché si è privi di un razionale sistema di trasporto pubblico.

Le due spiccate e spaventosamente simili personalità di De Luca e di Cirielli contribuiscono, dal punto di vista del temperamento e delle acquisizioni caratteriali, ad aumentare oltre ogni corretto limite l’indice di reciproca avversità e di conflittualità permanente.

Così De Luca, che vede una città proiettata in ambito nazionale ed europeo prescindendo dall’assetto territoriale contiguo in cui madre natura l’ha collocata, tende ad un’impossibile autosufficienza che non gli è consentita dall’avversità dei governi regionale e nazionale. Così Cirielli che, nel prospettare un molto più ampio quadro di incidenza politica e di programmazione allargata, fa arrivare a Salerno i Caldoro, i La Russa, i Mattioli, i Verdini ed altri della sua parte politica, per affermare due essenziali principi: che l’unica destra esistente in città è quella che ha candidato Ferrazzano e come la prospettiva di autentico sviluppo della città risulti subordinata ad una maggioranza consiliare omogenea, dal punto di vista politico, ai governi provinciale, regionale e nazionale.

I toni reciprocamente offensivi, aggressivi, intolleranti, in alcuni casi anche violenti, peggiorano il quadro complessivo della situazione e, una volta superata la vicenda elettorale di metà maggio, sarà molto difficile abbassarli per dar vita ad una corretta, auspicabile dialettica politica che preveda anche, su scelte importanti per la città e per l’intero territorio salernitano, un responsabile sforzo collaborativo.

 

A DISTANZA RAVVICINATA CON PAPA GIOVANNI XIII, CON PADRE PIO DA PIETRELCINA E CON PAPA GIOVANNI PAOLO II

2 maggio 2011

 

Salerno, 2 maggio 2011

Ambrogio  IETTO

TRE SANTI NELLA MIA VITA

Credo proprio di dovermi considerare una persona fortunata: nel corso della mia non breve vita ho avuto la buona sorte di incontrare sulla mia strada  un santo e due beati, sicuramente santi anch’essi nei prossimi anni. Con queste tre straordinarie, carismatiche personalità, nell’ordine Padre Pio da Pietrelcina, papa Giovanni XXIII e papa Giovanni Paolo II, oltre i tanti pubblici incontri, è maturata anche la felice opportunità, sia pure per pochi attimi, di fermarmi, di inchinarmi al loro cospetto e di invocare la loro speciale benedizione.

Conobbi Padre Pio agli inizi del 1955 quando non avevo compiuto i venti anni. Dopo un viaggio avventuroso compiuto in un bus non proprio accogliente e comodo, percorrendo anche strade sconnesse rilevabili, in particolare, nella zona di confine tra la Campania e la Puglia, fu possibile ritrovarci all’ora dei vespri sotto la piccola finestra dell’originario convento dei frati cappuccini  di san Giovanni Rotondo da dove, di lì a poco, Padre Pio ci avrebbe salutato con lo sventolio di un fazzoletto.

Restammo due giorni nella cittadina del Gargano, alloggiando in due ampie camerate di uno dei pochissimi, modesti  alberghi del posto, tutte le donne da una parte e gli uomini dall’altra. Il tempo volò troppo velocemente presi come eravamo, anche se giovanissimi, dal desiderio vivo di ‘ seguire la giornata ‘ del frate con le stigmate  a partire dalla primissima alba, alle quattro del mattino, fino al serotino,  tenero, poetico saluto dalla finestrella.

Più volte mi capitò di ritornare sul Gargano al seguito di mio padre che, da un’originaria esperienza di smarrimento vissuta al cospetto di Padre Pio, ne divenne poi un fervente ammiratore. Un incontro diretto, emotivamente intenso con Lui, si verificò il 16 aprile 1964, il giorno successivo al mio matrimonio con Anna Maria.

Insieme ad un’altra coppia di sposi, in viaggio di nozze come noi, fummo ammessi in un angolo della piccola chiesa di Santa Maria delle Grazie, accanto all’altare, per ricevere la speciale benedizione. Il Padre, facendo con le dita della mano destra il segno della croce sulla mia testa, scandì in marcato dialetto sannita – napoletano: “ E tu, fa ‘o bravo uaglione “. L’espressione, percepita in quel momento da me come raccomandazione – ammonimento, di tanto in tanto, e a distanza di 47 anni, si ripropone a mo’ di avvertimento severo, perentorio, da ricordare.

Due anni prima, nel 1962, in occasione del VII° Congresso nazionale dell’Associazione Italiana Maestri Cattolici, insieme ad un folto gruppo di delegati provenienti dalle diverse regioni d’Italia, mi ero trovato fisicamente prossimo, grazie all’udienza speciale a noi concessa, alla figura semplice e straordinariamente paterna di Papa Giovanni XXIII. La gioia di potergli baciare l’anello e poi l’ascolto, a distanza di qualche metro dalla sua persona, di alcune sue preziosissime considerazioni, elaborate a braccio, sulla missione e sulla funzione  del maestro.

La sollecitazione del Pontefice ad amare l’infanzia, a costruire e a consolidare coi bambini un rapporto privilegiato, contraddistinto dalla pedagogia dell’ascolto e della testimonianza, mi scosse profondamente tanto da confermare in quei momenti, e a me stesso, l’impegno a dedicare i miei studi e, soprattutto, la mia azione professionale a questo stadio del processo di maturazione cognitiva ed emotivo – affettivo – relazionale. L’invito finale, quindi, a riportare ai nostri piccoli allievi, in occasione del  rientro nelle rispettive sedi di servizio, il saluto affettuoso del Papa, ‘ particolarmente attento e sensibile al loro percorso formativo ‘.

Con papa Giovanni Paolo II, ieri beatificato con una solenne cerimonia in piazza san Pietro dal suo successore Benedetto XVI, gli incontri a carattere collettivo sono stati diversi grazie ai quasi 27 anni di pontificato, uno dei più lunghi di tutta la storia della chiesa cattolica.

Le mie responsabilità negli organismi direttivi dell’Associazione Italiana Maestri Cattolici mi ponevano nella fortunata condizione di essere collocato a distanza molto ravvicinata di papa Karol. Il primo ufficiale contatto si verificò a poco più di un anno dalla sua elezione, esattamente il 7 dicembre del 1979, giorno in cui ricorre, emblematica coincidenza per me, la festività di Sant’Ambrogio di cui mi onoro di portare il nome.

Come in tutte le successive udienze, riproposte a scadenza quadriennale in occasione dei periodici congressi associativi, la presenza prossima, contigua di papa Wojtyla generava una forte tensione emotiva, contraddistinta da un’erompente, incontenibile spinta attrattiva e da un contestuale, profondo stato di commozione.

L’incontro del  1995 mi vide collocato in una posizione di particolare privilegio. L’amico Bruno Forte, all’epoca presidente nazionale dell’AIMC, e l’assistente don Giulio Cirignano vollero che io sedessi a due metri dal soglio pontificio. All’arrivo in sala Giovanni Paolo II, che calzava un paio di scarpette di velluto, per non essersi reso conto della presenza di un leggero dislivello, diede a noi tutti la percezione di perdere l’equilibrio: un guizzo proprio della passata mia stagione giovanile fece trovare il mio braccio sinistro a sostegno del braccio destro di Sua Santità e la stabilità del suo corpo non corse rischio.

Dopo l’ufficiale saluto del presidente Forte e la riflessione mirata del Pontefice, accompagnata dalla  speciale benedizione, fui presentato a Lui da don Giulio che lo informò della recente acquisizione, da parte mia, della posizione ascendente di nonno a seguito della nascita del mio omonimo e caro nipotino. Il Papa, nel compiacersi, mi segnò sulla fronte ed aggiunse: “ Porti al piccolo Ambrogio, nella sua Salerno, la benedizione del Papa “.

La cerimonia della beatificazione di ieri, seguita da centinaia di milioni di fedeli sparsi in ogni angolo del pianeta, mi ha ricordato ancora una volta di potermi considerare una persona fortunata e di non esserne sempre responsabilmente consapevole.

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