TRA DON TONINO PALMESE E DON LUIGI MEROLA IL PARLAR CHIARO DI DON ANIELLO MANGANIELLO

 

Salerno, 6 giugno 2011

Ambrogio IETTO

PRETI ANTICAMORRA

 

La presentazione, programmata per oggi pomeriggio presso la libreria Guida di Salerno, del libro di Don Aniello Manganiello con Andrea Manzi dal titolo  ‘ Gesù è più forte della camorra’ mi ha dato la preziosa opportunità di leggere ed analizzare con una certa attenzione il testo pubblicato da Rizzoli.

Non è una novità che sacerdoti, particolarmente dotati di carisma e di forte tensione sociale, decidano di impegnarsi in un particolare settore della società organizzata e di offrire testimonianze ritenute significative della loro opera. Da don Luigi Sturzo a don Primo Mazzolari in ambito politico, da don Lorenzo Milani a don Zeno Saltini in campo pedagogico – didattico,  la nostra storia più recente si è arricchita di non poche personalità con l’abito talare che hanno ritenuto di dover dare alla propria azione pastorale un’impronta piuttosto dirompente ed efficace tanto da generare, in particolare nel settore di riferimento, interessanti dibattiti, approfondite analisi critiche, prese di posizioni solidali o anche differenziate e contrastanti.

Man mano che la comunità del nostro tempo s’imbatte in un problema dalle rilevanti  ricadute socio – economiche, giuridico – etiche, pedagogico – comportamentali così vengono alla ribalta presbiteri la cui testimonianza di evangelizzazione spicca in una delle nuove specifiche aree di riferimento di questo o di quel fenomeno sociale.

Così si sono avuti e si hanno  preti validissimi impegnati nella prevenzione e nella cura delle tossicodipendenze, sacerdoti antiracket e antiusura, presbiteri antipedofilia e contro la prostituzione.  Nell’ultimo decennio, inoltre, vanno moltiplicandosi con un certo successo le figure dei preti antimafia e anticamorra. La Campania, destinataria dell’attività criminale e delle vessazioni della camorra, ha espresso alcuni significativi profili di sacerdoti che, per esperienza maturata nel corso del loro ministero in aree particolarmente sottoposte al controllo camorristico, rappresentano ormai interlocutori di un certo interesse in questo campo. 

La lettura del libro di don Manganiello, curato con consolidata competenza giornalistica da Andrea Manzi che, col suo  “ Un sacco brutto “ ( Edizioni dell’Ippogrifo – Sarno – Euro 8,00 ) aveva avuto modo di ascoltare e di interpretare da par suo ben 31 autorevoli tesi sulla Napoli del degrado, mi ha offerto la possibilità di conoscere meglio l’opera di questo seguace di don Guanella e di ricavarne a modo mio un suo profilo.

Va precisato che  nel firmamento dei preti anticamorra conosco discretamente bene don Tonino Palmese e piuttosto superficialmente don Luigi Merola. Del primo potrei anche definirmi amico per esperienze comuni vissute nell’ambito dell’associazionismo professionale degli insegnanti. Di lui apprezzo la spiccata intelligenza, la pronta intuizione nel cogliere, in particolare quando è chiamato a costruire una comunicazione interattiva con l’uditorio, aspetti e situazioni del contesto, eventi pregressi o recenti di una certa importanza, brani di lettura di sicura efficacia per renderli funzionali all’assunto che va sostenendo. Per fortuna meno ideologizzato di don Ciotti, suo leader di ‘ Libera ‘, il sacerdote  salesiano non presenta di certo significative esperienze sul campo come quelle maturate in sedici anni di attività pastorale a Scampia da don Manganiello.

Confesso che don Luigi Merola non mi ispira particolare simpatia. L’ho ascoltato non poche volte in ambienti associazionistici e scolastici. Utilizza molto spesso un vernacolo napoletano popolaresco che, mentre sembra risultare coinvolgente quando comunica con adolescenti, in pratica produce effetti poco efficaci in ambito pedagogico – didattico – linguistico. Non mi convince, inoltre,  l’ossessiva ostentazione dei suoi ‘ angeli terreni ‘, cioè dei due poliziotti che, anche se a carico dei contribuenti, ufficialmente gli guardano le spalle.  Un prete che si rispetti non indugia nel partecipare alla redazione di Wikipedia, l’enciclopedia libera informatica, la ferma richiesta di cancellare dalla sua biografia la qualifica di ‘ scrittore italiano ‘ o espressioni quali  l’avvio del suo ‘ calvario ‘ e ‘l’inizio della vita blindata del parroco ‘.

Di don Aniello Manganiello mi hanno favorevolmente impressionato tre aspetti distintivi della sua storia e della sua personalità: le umili origini, la ferma determinazione nel denunciare posizioni discutibili della politica, della Chiesa e di una certa rappresentazione mediatica verso il gravissimo e diffuso fenomeno della camorra e il suo coerente apostolato impegnato a far prendere consapevolezza agli stessi protagonisti dell’organizzazione criminale che ‘ Gesù è più forte della camorra ‘.

Ultimo di otto figli, nato cinque mesi dopo la morte del padre, un solo moggio di terra per sopravvivere, la mamma ‘ donna di fede e di sacrificio‘ impegnata anche come domestica presso una famiglia dell’originario  piccolo borgo del nolano, i fratelli emigrati in Germania, un altro ucciso da un auto. Poi le avversità di Bassolino e della Jervolino, il mancato aiuto delle istituzioni alle aggregazioni di volontariato e ai gruppi impegnati nell’attività formativa con migliaia di semiconvittori, una Chiesa, quella napoletana, dai gesti spesso fatui e per niente impegnata nella lotta concreta alla criminalità, un Saviano molto disponibile a descrivere in ‘Gomorra ‘ e in televisione luoghi e contesti comuni senza conoscerli.

A don Manganiello è stata attribuita l’ accusa di prete di destra e di portatore di un eccesso di autoreferenzialità. Egli non nega di avere trovato in Fini un interlocutore interessato alla sua attività pastorale in quel di Scampia ma sostiene fermamente il suo impegno e le sue posizioni, recuperando espressioni significative di don Tonino Bello e di Raffaele Nogaro,friulano di origine e vescovo  emerito di Caserta, le cui posizioni, il primo con la sua ‘Chiesa del grembiule ‘ e il secondo con le sue lotte durissime a favore degli immigrati, sono state sempre esaltate e fatte proprie dalla politica cosiddetta progressista e dalla relativa stampa di riferimento. Redigere un diario sui sedici anni vissuti a Scampia in nome di Gesù, richiamare i cinque cammini di Santiago de Campostela e i tanti pellegrinaggi compiuti spesso da solo perché, abbeverandosi ciclicamente alla fonte inesauribile della fede, si ritorna  più forti e meglio attrezzati a vivere  l’azione pastorale come atto di fedeltà al Vangelo, a me non sembra autoreferenzialità ma testimonianza da offrire soprattutto a quanti proferiscono senza convinzione o, peggio, strumentalmente il nome di Gesù.

 

                                                                                                         www.ambrogioietto.com

 

 

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