LA MOVIDA DI SALERNO: CON O SENZA I MILITARI ?

 

Salerno, 28 luglio 2011

Ambrogio IETTO

SOLDATI PER LA  MOVIDA ?

Il buonsenso dacché  mondo è mondo ha sempre suggerito di evitare gli eccessi, di individuare per la soluzione e la gestione delle situazioni problematiche interventi equilibrati suggeriti anche dall’esperienza. Il massacro di Oslo ha evidenziato la complessiva fragilità del sistema di sicurezza operante in una capitale europea che, simbolicamente, rappresenta anche il centro mondiale di promozione della pace e della democrazia partecipata. Il primo ministro, nel commemorare le giovani vittime, ha confermato questa vocazione ma, di certo, soprattutto in cuor suo, avrà maturato proposte concrete da avanzare ai componenti del suo governo e al parlamento per rivedere almeno l’intero impianto dei servizi di pronto intervento e di soccorso in caso di straordinarie situazioni di emergenza.

Il nostro Paese, le sue città, Salerno, la  gente italica non sono il prodotto di un costume di vita prossimo all’antropologia culturale del paese scandinavo. Le nostre comunità, però, non meritano nemmeno situazioni di vissuto condizionate da militari in divisa recuperati nientedimeno dall’esercito.

Non condivido il  giudizio gratuito del pubblico ministero napoletano Giuseppe Narducci, diventato assessore con delega alla sicurezza per chiamata diretta del suo collega De Magistris. Egli ha bollato la decisione di militarizzare la movida, sollecitata più volte dal sindaco De Luca, come ‘ inutile propaganda ‘. Credo, invece, che la posizione del primo cittadino risponda pienamente alla sua dimensione caratteriale , contraddistinta da un facile interventismo che  si traduce in personale gratificazione anche grazie a queste uscite che rafforzano la consolidata apposizione di sindaco sceriffo.

Più volte ho avuto modo di esprimere in sedi diverse alcune considerazioni di fondo sul fenomeno ‘movida‘. Esse scaturivano ed hanno origine tuttora dal significato originario che nella mediterranea Spagna si volle dare al vocabolo inserito in epoca piuttosto recente ( 1991 ) nei dizionari più accreditati.

Il termine si identificava col complessivo fermento culturale ed artistico sviluppatosi nelle più importanti città spagnole nel periodo post-franchista. Dopo un lungo periodo di dittatura protrattasi dal 1939 al 1975 era naturale che, negli anni immediatamente successivi, si manifestasse nei diversi settori della letteratura e delle arti una fertile creatività espressiva. Il vocabolo in oggetto, derivando dal verbo mover ( muovere ) man mano, però, anche nell’antropologia culturale spagnola ha finito col perdere l’originario significato e ormai viene usato per indicare la  vita notturna particolarmente animata in determinati quartieri delle città ove sono offerte specifiche attrattive.

Con l’onestà intellettuale che contraddistingue l’impianto cognitivo – riflessivo di De Luca, ma che non sempre viene espressa da lui per elementari e discutibili meccanismi mentali generati esclusivamente da eccesso di autoreferenzialità, bisogna riconoscere che qualche larvato tentativo avviato per assicurare all’area direttamente interessata alla movida contestuali stimoli di promozione culturale è miseramente fallito sul nascere.

E’ mancata e manca, insomma, una coraggiosa campagna alternativa in grado di far percepire ai giovani frequentatori che, unitamente al bere fuori misura e al consumare pietanze stravaganti, inusuali e spesso indigeste, risulta possibile fruire di una proposta molto variegata di buona musica da ascoltare, di una visita guidata da effettuare ad un sito artistico o archeologico del centro storico,  di  un cineforum su una pellicola interessante da animare in zona, in una sala coperta o in uno spazio all’aperto.

Sono solo degli esempi discutibili quanto si vuole ma indicatori di un percorso paziente, lento, caparbio, intelligentemente controcorrente che può acquisire come risultato minimo almeno la scoperta, da parte di quelli che De Luca definisce col termine usurato di ‘ cafoni’, identificato da molti come sinonimo  di ‘contadini ‘, di ‘ campagnoli ‘, che è possibile divertirsi anche partecipando, in compagnia ad amici e conoscenti occasionali, ad attività di questo tipo.  

Coloro che pongono problemi alla tenuta di un buon livello di sicurezza nell’area interessata alla movida  vanno definiti  col giusto nome. Sono violenti, prevaricatori, prepotenti, provocatori, disturbatori di professione, malintenzionati, ubriachi, ladri, tossicodipendenti incorreggibili. Sono personaggi  individuati e conosciuti prima di tutto dal personale che opera nei pubblici esercizi. Un patto  forte, discreto ma efficace, tra commercianti e gestori dei locali frequentati, amministrazione comunale, comando dei vigili urbani, forze di polizia, grazie a codici e a simboli concertati e condivisi, può dare l’informazione necessaria a far giungere subito nel locale  ‘x’  la pattuglia di agenti che previene, ammonisce, notifica i provvedimenti previsti dalle norme vigenti.

E’ possibile far sottoscrivere agli operatori commerciali interessati un codice etico in cui si definiscano linee comportamentali funzionali a precisi obblighi riguardanti la giusta somministrazione di alcool, la misurata diffusione di musica, il responsabile e non strumentale sostegno  a chi, amico di Bacco, vorrebbe ancora continuare a bere ?  

Un ambiente superprotetto con militari dell’esercito armati condiziona negativamente la valenza ludico – ricreativa  che la stragrande massa dei frequentatori della movida intende assicurare alle ore di intrattenimento con amici e conoscenti.

Ieri, sul ‘ Corriere del Mezzogiorno’ , anche il sindaco di Pozzuoli Agostino Magliulo esprimeva perplessità sull’utilizzazione dei militari dell’esercito. Una intesa, coordinata e siglata, tra il comando dei Vigili Urbani, l’Arma dei Carabinieri, la Polizia di Stato, la Guardia di Finanza può garantire condizioni di sufficiente sicurezza alla movida. Questo fenomeno può trasformarsi in un’esperienza significativa di convivenza serena e di cittadinanza attiva e responsabile se affrontato con intelligenza ed autorevolezza.

Più che di giovani ragazzi con la divisa dell’Esercito, sia pure legittimati come assicura il generale di corpo d’armata responsabile del Secondo Comando delle Forze di Difesa a svolgere interventi corrispondenti alla qualifica di agenti di pubblica sicurezza, la massa dei loro coetanei frequentanti la movida ha bisogno di percepire l’autorevolezza dello Stato grazie alla presenza fattiva, impegnata, intelligentemente distribuita, delle forze ordinariamente classificate di polizia.

La prevenzione è lo strumento pedagogicamente più efficiente e più efficace.  Militari dell’Esercito, appostati agli angoli del centro storico o nascosti nella pineta della litoranea per contenere il fenomeno della prostituzione, possono inconsapevolmente alimentare negli sballati di turno  atteggiamenti provocatori, insensati, dissacranti.

C’è in giro una voglia di protagonismo irresponsabile che, alimentata da una famiglia ormai da tempo rinunciataria all’opera educativa ad essa assegnata dalla Carta Costituzionale, potrebbe  infierire contro servitori dello Stato nella sostanza indifesi perché portatori di consegne limitative della necessaria, richiesta  autorevolezza.

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