AL MUSEO ARCHEOLOGICO DI PAESTUM COL PATROCINIO DEL MONTE DEI PASCHI DI SIENA E DELL’INTERA COMUNITA’ SCIENTIFICA DELLA CITTA’ TOSCANA

 

Salerno, 26 Settembre 2011

Ambrogio IETTO

SIENA – PAESTUM CON OSCAR STACCIOLI

 

“ Quella che traspare in filigrana dalle opere proposte in questa mostra, è una città caratterizzata dal senso del luogo o dei luoghi del ‘ vissuto’ : dalla circolare piazza del Campo con le stradine disposte in senso radiale che pian piano si sperdono nel reticolo di vicoli alla strada diritta, il decumano romano che, da Porta Sirena posta verso monte, attraversa il Foro di Paestum scivolando fin giù Porta Marina, verso il mare; dalla ragnatela di strette vie, di angiporti, di slarghi che dal dosso di ‘Pantaneto’ si inclina sui lati per disegnare l’orografia verso valle, verso Porta Romana, Camollia o in direzione della timida altura di Santa Maria dei Servi a Siena, al roseto che costeggia la stradina di ciottoli diretta all’imponente tempio di Nettuno all’interno delle antiche mura pestane che mostrano, ancora oggi, le vicende delle lotte che i poseidoniati  sostennero con i lucani “.

E’ questo, secondo  Massimo Bignardi, docente di Storia contemporanea a Siena e curatore della mostra “ Città invisibili “ con poco meno di cinquanta opere, tra dipinti, disegni e bassorilievi, realizzate da Oscar Staccioli, artista senese purosangue, ed esposte nelle austere sale del Museo Archeologico di Paestum, il possibile filo conduttore che simbolicamente unisce la città toscana con la colonia greca.

Ma se anche la Poseidonia dei greci, la Paistom dei lucani, la Paestum dei romani rientra tra i luoghi del ‘vissuto’ di Oscar Staccioli c’è da chiedersi come mai l’artista sperimentatore di tecniche  e di stili espressivi di avanguardia, che ama tanto la sua terra da realizzare finanche opere a sbalzo alla maniera dei primitivi senesi, finisca con l’entrare in un rapporto intimo preferenziale anche con la ‘invisibile’ raffigurazione grafica di Paestum, ‘ l’ultima e vorrei dire la più splendida idea, che porto interamente con me al Nord ‘, così come sentì di ‘ impressionare ‘ in mente sua la città dei templi Wolfgang Goethe, scrivendo al suo amico filosofo e letterato Johann Gottfried Herder.

Il ‘vissuto’, si sa, si identifica con ciò che la vita offre all’individuo nell’esperienza quotidiana, con l’insieme di avvenimenti, di eventi che segnano in profondità una persona. Ebbene Oscar Staccioli, a causa degli imprevedibili avvenimenti che la stessa esistenza umana determina per ciascuno di noi, ha finito con l’inserire, a pieno titolo, nel personale ‘vissuto’ il decumano di Paestum con Porta Giustizia dirimpettaia di Porta Aurea.

Come si sa l’artista senese ha chiuso la sua giornata terrena nel 2002 a Battipaglia, fiorente centro della Piana del Sele ove, per ragioni di cuore, venne a vivere Barbara, unica sua figliola, avendo sposato Leopoldo di Lucia, un affermato professionista originario di Albanella che, studente universitario alla Facoltà di Medicina di Siena, s’innamorò a piazza del Campo dell’allora giovane liceale.

Così Staccioli, negli ultimi vent’anni della sua esistenza, ritornò spesso, e per soggiorni non brevi, dalle nostre parti. Ai dialoghi tenerissimi attivati ed alimentati coi nipoti l’artista aggiunse, nella programmazione delle sue giornate meridionali, frequenti puntate ad Amalfi e, soprattutto, ricorrenti, sistematiche visite alla città dei templi.

Bignardi, recuperando molto puntualmente Baudelaire e Benjamin, definisce il ‘ camminare ‘ di Staccioli flâneur che, Sabatini e Coletti, autorevoli storici della lingua italiana, rendono come il muoversi da bighellone, da perdigiorno. Il che non implica un volgere distratto lo sguardo verso l’oggetto o il contesto che trovasi nella visuale del vagabondo. Anzi è proprio l’andare a zonzo che consente un’osservazione per niente superficiale, anzi sufficiente  a favorire un fecondo processo di interiorizzazione dell’immagine fedelmente rispondente alle dinamiche emotivo – affettive avvertite e vissute in quel momento dall’osservatore.

Le città, così, da luoghi di vissuto decisamente urbanizzati, ripresi oggi nella loro oggettività grazie all’apporto di  strumentazioni cinematografiche e televisive sempre più sofisticate, si trasformano nella ‘ città ‘, in una ‘comunità invisibile ‘, testimone silenziosa di gioie e di dolori, di vittorie e di sconfitte, di speranze e di delusioni, di entusiasmi e di frustrazioni.

Felicissima la location della mostra grazie alla sensibilità di Marina Cipriani, direttrice del museo archeologico, che a non più di dieci metri dalla lastra di copertura  della mitica Tomba del Tuffatore, ha dimostrato come un museo non sia un ‘contenitore di oggetti da conservare o salvare’. Esso, invece, si pone come ‘ centro di ricerca e di studio, espressione di una contemporaneità del sapere che sonda nuovi attraversamenti per rendere fruibile al pubblico le ipotesi di interpretazione che il museo intende proporre, offrendole alla verifica del visitatore’.

La vera protagonista di questa importante sessione d’arte è, fuor di dubbio, Barbara Staccioli, figlia unica dell’artista senese, caparbiamente impegnata non solo al recupero e alla migliore valorizzazione del ricco patrimonio di opere realizzate dal papà ma, soprattutto, votata a riallacciare con la figura paterna, per il tramite delle stesse,  un ricorrente, silenzioso, intimo dialogo   contraddistinto da variegata poesia e da vigile tenerezza.

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