Archivio per febbraio, 2012

IL RAPPRESENTANTE DI UNA COMUNITA’ CIVILE E’ TENUTO AD UTILIZZARE UN LINGUAGGIO RISPETTOSO DELLA DIGNITA’ ALTRUI

23 febbraio 2012

 

Salerno, 23 Febbraio 2012

Ambrogio IETTO

IL LINGUAGGIO VOLGARE DI DE LUCA

 

Credo che sia giunto il momento di partecipare in modo decisamente esplicito al sindaco De Luca la cortese richiesta di smetterla di utilizzare nel suo linguaggio, ascoltato nei  ricorrenti interventi televisivi o ripreso dalla stampa quotidiana, espressioni verbali di evidente spessore volgare ( a  questo aggettivo attribuisco il significato che Sabatini e Coletti danno a pag. 2953 del loro dizionario di italiano, confermato da Devoto ed Oli nel secondo volume del loro vocabolario a pag. 1542 ).

Volgare, a scanso di equivoci, sta per ‘lingua parlata dagli strati più bassi della popolazione’.  E De Luca non può contestare questa lagnanza, dichiarando di sentirsi  onorato di appartenere ad una classe popolare in quanto figlio di un negoziante di generi alimentari e destinatario degli abiti smessi da un fratello più grande. Egli, innanzitutto, ha avuto l’opportunità di frequentare l’autorevole liceo classico ‘ Tasso ‘ e di laurearsi, sicuramente per esclusivo merito, in filosofia.

E per quanto mi riguarda, tanto per non nascondermi dietro il classico dito di una mano, io, semplice suo concittadino, non discendo certo da nobili natali. Mio padre svolgeva più o meno la medesima attività del genitore del sindaco con la differenza che eravamo in sette i figli cui assicurare l’essenziale per vivere. L’obbligata scelta degli studi fu così l’istituto magistrale ‘ Regina Margherita ‘ che raggiungevo svegliandomi alle sei del mattino per poi far rientro a casa, con l’unico treno disponibile, non prima delle ore 16.

La precoce attività di maestro di ruolo nelle scuole elementari della città contribuì a migliorare le entrate familiari, non potendo, però, rinunciare, al passaggio degli abiti dalla prima alle altre tre sorelle che seguivano in ordine di genitura e dal primo all’ultimo dei tre fratelli.

L’esigenza di chiedere al primo cittadino di utilizzare un linguaggio corretto, ovviamente non limitativo del suo libero e troppo spesso opinabile pensiero, deriva dall’oggettivo dato di avere egli frequentato studi classici e di essersi formato, presso il nostro ateneo, a svolgere l’attività intellettiva meglio deputata allo svolgimento  dell’indagine critica e alla riflessione sui principi essenziali della realtà e dell’essere.

Quindi l’itinerario formativo percorso da De Luca costituisce la più qualificata dote per evitare le ricorrenti sue cadute di stile. A questa indiscutibile referenza se ne aggiungono altre di superiore livello: egli è sindaco di una città con un passato ricco di storia e di cultura che,  prendendo avvio 200 anni prima della venuta di Cristo, si sviluppa sempre più in età romana e medievale, diventando città ‘opulenta’ nell’VIII secolo con Arechi II e il principato longobardo per poi assurgere a capitale normanna ove, pur tra alti e bassi, ha funzionato per oltre un millennio, dall’Alto Medioevo al 1812, la sede della celebre Scuola Medica.

Il primo cittadino di una comunità così positivamente referenziata dal suo passato ha il dovere di comunicare utilizzando un glossario degno del suo retaggio.

Inoltre egli, nella qualità di sindaco, è ufficiale di governo, è responsabile del rispetto dell’obbligo scolastico cui sono soggetti i minori residenti mentre, nell’ambito territoriale di pertinenza, è chiamato a coordinare gli interventi della protezione civile, garantendo tutta la possibile sicurezza ai suoi amministrati.

Trattasi, poi, di un sindaco a modo suo illuminato, impegnato a dotare la sua città di opere significative, realizzate o da realizzare, dei migliori esponenti dell’architettura contemporanea  e coinvolto, in prima persona, nel sostenere una più che dignitosa stagione lirica, affidata ad un maestro di riconosciuto respiro internazionale. 

Tutto ciò innegabilmente è cultura che, però, non può essere smentita nei fatti da un modo arrogante ed aggressivo di partecipare pensieri, considerazioni e velenose invettive.

Nemmeno per scherzo o al fine di proferire una poco intelligente  battuta si può invogliare un uditorio a buttare a mare, soprattutto se inquinato, i  dirigenti di un ente pubblico, qual è la Camera di Commercio, soltanto perché hanno contribuito, con appena 200.000 euro, a sostenere gli oneri per le ‘ Luci d’Artista’ mentre nella vicina Napoli l’ente camerale di quella provincia è intervenuta con un milione di euro per le luminarie natalizie.

Non ci si può scagliare con offese irripetibili  contro  giornali locali e i suoi redattori che hanno il torto, a suo avviso, di avere riportato, con onestà professionale, i dati relativi all’indagine voluta dalla Cidec di Salerno e leggibili sul proprio sito. So bene che fa male prendere atto che proprio i commercianti, potenzialmente primi destinatari degli auspicati vantaggi derivanti dall’iniziativa, abbiano sostenuto, nella complessiva percentuale del 57,51%,  che le ‘Luci di Artista’ hanno inciso poco o nulla sulla loro attività imprenditoriale. Finanche i commercianti le cui attività si svolgono tra corso Vittorio Emanuele e corso Garibaldi hanno dichiarato, in una percentuale del 46%,  di avere ricevuto pochi benefici o addirittura  nessun vantaggio.  

Se la rilevazione, ad avviso del sindaco, è bacata o addirittura non rispondente al vero, solleciti  per la prossima edizione la Guardia di Finanza ad effettuare severi controlli. Non può, però, prendersela con chi non c’entra, con redazioni che il più delle volte sono costrette a scrivere, più o meno testualmente, i  comunicati che arrivano dall’attivo ufficio stampa del sindaco.

E’ inutile sottolineare continuamente che la sua mission di sindaco e di uomo politico sia quella di impegnarsi per ‘ rendere libere le persone’.

Il  linguaggio usato, al contrario, tende a definire continuamente cafoni e cialtroni quanti osano non condividere le sue idee e i suoi atti. E’ questo il concetto di libertà appreso durante i tanti corsi di formazione seguiti in gioventù ad Ariccia, alle Frattocchie e a Botteghe Oscure ?

L’ILLUMINATA PEDAGOGIA DEI MAESTRI DI REGGIO CALABRIA

19 febbraio 2012

 

 

Salerno, 18 febbraio 2012

Ambrogio IETTO

IL PROCURATORE E I MAESTRI

 

La notizia che in questi giorni ha sollevato l’animo mio dallo scoramento prodotto dai tanti, dai troppi episodi di corruttela, di malcostume, di prevaricazione, di violenza di cui è costretta ad interessarsi la cronaca quotidiana, giunge da un consesso previsto  della nostra Carta Costituzionale in alcuni articoli collocati all’interno del Titolo IV della stessa: il CSM, l’organo di autogoverno della magistratura, ha nominato all’unanimità procuratore della Repubblica di Roma, col voto favorevole di tutti i componenti togati e laici dei diversi orientamenti politici e delle varie correnti,  Giuseppe Pignatone in precedenza procuratore aggiunto a Palermo e tuttora procuratore capo a Reggio Calabria.

In tutta verità non è stato il voto unanime dell’alto consesso, il più delle volte diviso al suo interno sia per la nomina dei responsabili degli uffici più delicati  sia per le questioni relative al difficile, sofferto rapporto tra politica e giustizia, né il giudizio lusinghiero espresso sul conto dello stesso procuratore  dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, a ridimensionare l’entità del mio ormai consolidato pessimismo.

Il sia pur fioco squarcio di speranza arriva da un passaggio della relazione del consigliere dello stesso CSM Tommaso Virga che, nel motivare la proposta di nomina a favore del collega Pignatone, ha riferito di una lettera giunta all’organo di autogoverno ed inviata da un gruppo di maestri elementari di Reggio Calabria. Nella missiva gli insegnanti sollecitavano il CSM a non trasferire dal capoluogo calabro il procuratore  perché da quando era arrivato lui a dirigere il delicato ufficio della procura ‘ era cambiato tutto in meglio’. Ecco, è proprio questo particolare che sollecita l’animo mio a non disperare del tutto, a non perdere definitivamente il senso di un’attesa fiduciosa di un futuro migliore per il nostro Mezzogiorno.

A scrivere la lettera al CSM, si rifletta attentamente, non è stato uno degli ordini professionali direttamente o indirettamente interessato ad un sereno funzionamento degli uffici giudiziari ( avvocati, commercialisti, ingegneri, architetti, medici ) né l’iniziativa è partita da organismi rappresentativi del mondo produttivo ed imprenditoriale ( Associazione degli industriali, Camera di commercio, Associazione Costruttori Edili, ecc. ). Come  non risulta che siano stati  espressi voti a favore della permanenza durevole del procuratore Pignatone a Reggio Calabria  da parte di referenti istituzionali ( Comuni, Provincia, consiglieri regionali, parlamentari nazionali, esponenti di partiti e di organizzazioni sociali ) pur direttamente interessati a dare continuità ad un clima di recuperata anche se relativa sicurezza.

Il messaggio in tal senso, se volete pulito, ingenuo, post-romantico ma pedagogicamente forte, è arrivato, invece, da un gruppo di docenti della scuola primaria, di quel primo segmento del sistema formativo in cui, osservando sistematicamente il modo di essere, di agire, di relazionarsi dei singoli allievi nei riguardi del gruppo dei pari, è possibile cogliere con nitidezza atteggiamenti, comportamenti, schemi mentali, reazioni, considerazioni, convincimenti che risentono di forti condizionamenti socio – familiari orientati di solito, in quello specifico contesto antropologico, verso la pratica dell’intimidazione, della minaccia, dell’abuso, dell’omertà, della solidarietà interessata fra membri del medesimo sottogruppo, della prepotenza, della prevaricazione, della violenza vera e propria.

Da saggi educatori i maestri reggini, con altrettanto acume, hanno avuto modo di constatare, grazie alla quotidiana pratica di una fertile didattica comunicativa ed interattiva, gli effetti positivi, le ricadute significative che l’attività  svolta dal procuratore Pignatone, nel reggino e nell’intera Calabria contro la ‘Ndrangheta’,  ha prodotto sul complessivo miglioramento della qualità della vita.

Gli ottimi mediatori culturali, redattori della lettera inviata al CSM, di certo  hanno intelligentemente colto episodi critici, come il bazooka collocato dinanzi la sede della procura della Repubblica di Reggio pronto a sparare i suoi proiettili anticarro per ammazzare Pignatone, o i successi eclatanti conseguiti contro la malavita organizzata  calabrese emigrata al Nord, per sottolineare come la cultura della legalità, il rispetto delle leggi risultino garanti di una  serena, feconda convivenza civile.

I maestri calabresi hanno avuto l’intelligenza e la sensibilità di ampliare il loro orizzonte riflessivo, immaginando un futuro in cui quei loro piccoli allievi possano rivendicare, da adulti effettivamente responsabili e liberi, il legittimo  spazio di cittadinanza attiva che a loro spetta.

Un traguardo questo non impossibile a condizione che la Calabria, il Mezzogiorno, l’intero nostro Paese siano guidati non da uno ma da tanti Pignatone.

SENZA VALUTAZIONE DEL MERITO LA SCUOLA VA IN ROVINA

16 febbraio 2012

 

Salerno, 16 febbraio 2012

Ambrogio IETTO

COSA NON VA NELLA SCUOLA

 

Nelle dichiarazioni pubbliche di uomini di governo, di parlamentari, di esponenti autorevoli del mondo della cultura e della produzione, di accademici referenziati nei più differenziati comparti disciplinari, di esponenti qualificati dei diversi ordini professionali e dei lavoratori autonomi ritornano di continuo riferimenti  all’esigenza primaria di investire risorse maggiori nei settori della ricerca e dell’istruzione.

Non c’è talk show televisivo in cui, discutendo delle tante forme e manifestazioni di disagio sociale, dei condizionamenti socio – culturali che negativamente incidono sull’itinerario formativo delle giovani generazioni, della precarietà del loro itinerario formativo, della genericità e vacuità delle competenze acquisite, non ci sia una riflessione sul sistema scolastico e non giunga abbastanza puntuale questa domanda da parte  di qualcuno degli interlocutori: ‘ Ma dov’è e cosa fa la scuola ?’.

L’interrogativo, il più delle volte mal posto perché non prende in considerazione né analizza fenomeni negativi quali la sempre più frammentata condizione della famiglia del nostro tempo, la perdita di autorevolezza pedagogica e di prestigio della stessa nei riguardi dei giovani suoi componenti, l’azione negativa portata avanti dalle televisioni pubbliche e private, l’incidenza non sempre positiva di internet e dei social news, il consolidamento di una subcultura consumistica ed edonistica, incontra oggettive difficoltà nell’ottenere una risposta, oltre che puntuale, anche sufficientemente franca.

Il mondo della scuola, anche quando è rappresentato da importanti sigle sindacali, tende a chiudersi in una sorta di autodifesa che molto spesso chiama in causa carenza di risorse finanziarie, condizioni mortificanti per migliaia di docenti condannati per un’intera esistenza a far parte di un precariato ormai inevitabilmente demotivato, retribuzioni indegne per un paese civile, ricorrente, scarsa motivazione all’apprendimento da parte degli allievi, locali inidonei adattati a scuole, mancanza di strumentazioni didattiche funzionali a processi di apprendimento significativo.

Queste difficoltà rispondono al vero  e meriterebbero da parte dei competenti referenti istituzionali, deputati a rendere migliore la qualità del servizio scolastico, una più seria attenzione, pur tenendo conto della ben nota carenza di risorse finanziarie che avverte il nostro Paese.

Non sempre, però, si ha l’onestà intellettuale di aggiungere altri motivi che pur incidono negativamente sulla qualità del prodotto scolastico e che potrebbero trovare almeno in parte, all’interno dello stesso sistema formativo, riscontri meno strumentali e più pertinenti.

Una delle questioni centrali sta nel mancato riconoscimento del merito. Dirigenti scolastici e docenti sono considerati tutti alla stessa stregua e in eguale misura. L’autonomia della scuola, giustamente elevata a dignità costituzionale, anziché essere strumento continuo di cambiamento migliorativo della qualità dell’istituzione educativa, grazie alle opportunità per una diversa organizzazione didattica, di una possibile, continua  ricerca di itinerari formativi innovativi, di  nuovi sistemi di verifica e di valutazione, di strategie metodologiche sperimentali, di contenuti rispondenti ai bisogni formativi del contesto socio – culturale di riferimento della singola istituzione scolastica, non di rado si è trasformata in fattore di sconcertante autoreferenzialità, acquisendo  addirittura, in alcuni casi, il  marchio di vero e proprio  organismo anarchico. Lo stesso dirigente scolastico, che da undici anni avrebbe dovuto essere sottoposto a valutazione periodica in quanto considerato dal legislatore primo ed esclusivo responsabile dei risultati raggiunti dall’istituzione, risulta ancora battitore libero non sottoposto, come tutti gli altri dirigenti della pubblica amministrazione, a valutazione.

Per i docenti una legge, portata avanti con caparbietà dall’ex ministro della funzione pubblica Brunetta, ancora non trova traduzione in ulteriori adempimenti politico – amministrativi. Anzi in questi giorni il Ministero dell’istruzione ha lanciato il progetto sperimentale ‘VALeS’ per la valutazione esterna delle scuole e dei dirigenti scolastici. Trattasi di un’ipotesi di intervento valutativo di durata triennale e limitata a 300 istituti su tutto il territorio nazionale che si renderanno disponibili a questo tipo di verifica. Il che significa che occorrerà attendere altri tre anni per verificare la fattibilità e l’estensione del progetto a tutte le istituzioni scolastiche della penisola.

Docenti e dirigenti scolastici, al momento, non sono nemmeno obbligati alla formazione in itinere. Succede, così, che tentativi di volontariato rivolti ad alimentare processi di riflessione e di autoformazione di docenti e dirigenti cadono  miseramente nel vuoto. Tanto per fare un esempio concreto riporto l’esperienza amara in cui ci siamo trovati  ieri nell’avviare un’esperienza di formazione in servizio finalizzata ad un approfondimento dei due documenti ministeriali che costituiscono o che dovrebbero costituire le indicazioni pedagogico – didattiche, emanate dal Miur, da seguire per l’elaborazione del curricolo da parte di tutte le scuole del primo ciclo di istruzione.

L’esperienza programmata avrebbe voluto rendere possibile ed agevolare un percorso di autoformazione in relazione al fatto che un atto di indirizzo ministeriale individua nel corrente anno scolastico il termine entro cui occorre relazionare al Ministero, da parte di tutte le direzione didattiche, gli istituti comprensivi e le ex scuole medie, sui due documenti nazionali in adozione nel tentativo di armonizzarli.

Ebbene sono state inviate per tempo oltre cento comunicazioni  scritte ad altrettante istituzioni scolastiche per poter contare poi sulla presenza effettiva di non più di dieci coraggiosi operatori della scuola pubblica. Di conseguenza sembra proprio giunto il momento, per i soli addetti ai lavori, di domandarsi: ‘ Cosa fa la nostra scuola pubblica per tentare di migliorare se stessa ?’.

SALERNO VUOLE IMITARE VERONA ? ASSOLUTAMENTE NO. ANZI LA CITTA’ CAMPANA CON MASUCCIO SALERNITANO OFFRI’ LO SPUNTO A SHAKESPEARE PER INVENTARE LA STORIA D’AMORE TRA GIULIETTA E ROMEO

12 febbraio 2012

 

Salerno, 12 Febbraio 2012

Ambrogio IETTO

LA CITTA’ DELL’AMORE

 

In tutta serenità e con doverosa onestà intellettuale vanno  riconosciuti al sindaco De Luca, non solo tratti caratteriali ben distintivi e noti della sua personalità, tra i quali il decisionismo, un codice linguistico per niente salottiero, un modo abbastanza opinabile di intendere la democrazia rappresentativa, un po’ di morboso egocentrismo , ma anche aspetti decisamente espressivi di un’intelligenza creativa e concettualmente aperta in grado di arrivare ad inventare l’inimmaginabile.

Non bastavano, infatti, le luci d’artista con gnomi, maghi, nani, fatine, castelli incantati, stelle filanti, comete,  ambienti innevati, slitte per adulti  e slittini per bambini né è  risultata sufficiente la coniatura del brand di Massimo Vignelli.

Ora Salerno è anche la città dell’amore con ben sei piazze dedicate alla festa degli innamorati un tempo identificabile coi baci Perugina e con la città umbra. C’è chi, nel commentare l’iniziativa, ha tentato di seminare zizzania  tra il sindaco De Luca e il suo omologo di Verona, il leghista Tosi. Trattasi di gente poco informata.

Nella città veneta, ove  prossimamente  sono in programma le elezioni amministrative, si sostiene, invece,  che Tosi tenti di dare ascolto proprio al consiglio datogli dall’amico sindaco salernitano di correre con una lista civica, opponendosi all’intento di Bossi di presentarlo al giudizio dei concittadini col logo esclusivo della Lega.

Figuriamoci, quindi, se l’onorevole De Luca sia stato sfiorato dalla tentazione di mettersi ad imitare la città scaligera con la storiella di Giulietta e Romeo. Oltretutto avrebbe avuto proprio su questo tema elementi di conoscenza e riferimenti letterari di primaria importanza. Si sa bene, infatti, che la storia dei Capuleti e dei Montecchi, costruita ad arte dal grande William Shakespeare, ispirandosi alla ‘Historia novellamente ritrovata di due nobili amanti’ di Luigi da Porto, ha come prodotto letterario a Denominazione d’Origine Controllata la novella trentatreesima scritta nel 1476 da Masuccio Salernitano (Tommaso Guardati ) ed inserita nel suo ‘ Novellino ‘.

Questa novella ha come protagonisti  Mariotto e Ganozza legati da un forte rapporto d’amore  che ha come epilogo la decapitazione di Mariotto e la  fine della  sposa che muore di dolore mentre si dispera sul corpo esanime del compagno.

Grazie al ricco potenziale di creatività del sindaco De Luca non sarebbe stato difficile per lui lanciare nell’etere il proclama del diritto di Salerno a rivendicare il primato nell’ideazione della storia dei due giovani amanti avversati dall’odio delle rispettive famiglie. E alla probabile obiezione dell’ambientazione senese della trentatreesima  novella   il nostro primo cittadino non avrebbe avuto indugio nel precisare che, avendo Masuccio dedicato la novella ’ A lo illustrissimo signore Duca d’Amalfi ‘, ragioni di privacy gli avevano consigliato di incastonare la storia dei due amanti in un contesto sociale diverso da Salerno.

Ma perché non si sa che fu l’urbanista Antonio Avena ad individuare negli anni Trenta i luoghi di Verona dove ‘ collocare’ la Casa Capuleti, la tomba di Giulietta e il famoso balconcino degli amanti ? Figuriamoci come sarebbe stato facile attivare l’ingegno per ‘individuare’ angoli del centro storico  e contesti paesaggistici ove ambientare la drammatica storia di Mariotto e Ganozza.

Da noi, inoltre, avremmo potuto metter su una narrazione di riserva, facendocela prestare dagli amici di Montecorvino Rovella che rivendicano l’amore appassionato tra  Davide Arminio e Maria Teresa Damolidei. Anzi la vicenda di questi due giovani ha un finale diverso che inneggia davvero al primato dell’amore. Infatti i due si sposano e il loro matrimonio sigilla il ritorno della pace nella laboriosa località dei Picentini.

Il nostro sindaco, come è noto, ha inteso dare un’impostazione assolutamente diversa a questa quattro giorni dell’amore. Nelle sei piazze sono stati installati degli stand in cui è possibile trovare ed, eventualmente, acquistare prodotti dell’artigianato locale con tanto di marchio Vignelli. L’obiettivo, come quello degli amministratori scaligeri, è promozionale e va bene così.

A Salerno, però, si vuole anche animare cultura. Così come è avvenuto per il manifesto raffigurante il logo, ora arricchito dal verso di Alfonso Gatto ‘ Salerno, rima d’eterno ’, così sopra gli stand è riportata una delle migliaia di citazioni sull’amore leggibili su specifiche pubblicazioni. A Portanova è stata collocata quella ben nota di Aristotele: ‘ L’amore è composto da un’unica anima che abita in due corpi’.

Ieri, intorno a mezzogiorno, il sindaco De Luca manifestava soddisfazione e gioia proprio nei pressi della piazzetta storica ove fu trucidato nel 1828 il canonico Antonio Maria De Luca  non antenato del primo cittadino.  

A ben pensare, al di là delle battute più o meno infelici dell’opinionista, la massima aristotelica calza proprio bene  per lui che ormai, identificandosi pienamente con la città, ha congiunto con la stessa l’unica anima portatrice di questo sia pur discutibile sentimento d’amore.

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