LETTERA POSTUMA DI UN QUASI COETANEO A LUCIO DALLA

 

Salerno, 4 Marzo 2012

Ambrogio IETTO

GRAZIE LUCIO

 

Permetti, caro Lucio, che anche un uomo più stagionato di te, vincendo il pudore che è proprio dell’avanzato stadio della cosiddetta maturità, si accodi ai milioni di tuoi fan che, dalla mattinata di  giovedì scorso, non appena diffusasi la notizia della tua improvvisa dipartita in terra elvetica, manifestano sentimenti di dolore autentico.

E’ una moltitudine di gente di ogni età, genere e condizione sociale che si unisce alle migliaia di tuoi concittadini e di sostenitori giunti da ogni parte d’Italia e assorti in doveroso, espressivo raccoglimento nella grandiosa basilica di San Petronio, prezioso esempio di gotico italiano  in cui allo sviluppo verticalista si uniscono la spazialità e l’equilibrio derivati attraverso Firenze dalla tradizione classica, per parteciparti, con l’ultimo saluto, anche sentimenti di profonda gratitudine.

Il tuo primo, grande merito, determinato dalla fertile, straordinaria tua versatilità, è stato infatti quello  di esprimerti, in mezzo secolo di feconda attività artistica, per il tramite di una pluralità di generi musicali che, muovendo dalla stagione beat alla sperimentazione ritmica, hanno offerto anche ad un appassionato del canto melodico come me straordinarie, impensate opportunità ed occasioni, apprezzando con particolare interesse anche la tua produzione dolce e malinconica, per commuoversi, per identificarsi con la tua narrazione cantata, per rivivere i tuoi stessi stati d’animo incastonati nel medesimo contesto ambientale. Così, a partire dall’ineguagliabile ‘ 4 marzo 1943 ‘, è stato possibile accostarsi, sia pure alla lontana, alla tua spiccata sensibilità. Per motivi comprensibili, collegati al momento storico – culturale proprio d’inizio anni settanta, fosti costretto a titolarla con la tua data di nascita  il cui anniversario fatalmente per te, che amasti tanto la vita, cade proprio oggi.

Il titolo da te pensato, gesùbambino scritto proprio tutto attaccato, avrebbe prodotto, così come produsse, inevitabili reazioni, spingendo a pensare ad un ipotetico atto di profanazione verso la Vergine Maria madre, per virtù ed opera dello Spirito Santo, del Redentore.

Quel motivo e quei versi, caro Dalla, spinsero me indietro con la memoria. Così, avendo vissuto da ragazzo in un borgo rurale,  situato tra il mare del golfo di Salerno e le colline dei Picentini, teatro dello sbarco degli Alleati della Quinta Armata del generale Clark e della contestuale resistenza dei tedeschi, mi rivennero in mente non pochi casi, ripresi dalla narrazione di certo discreta degli adulti ma puntualmente captata dalla precoce curiosità infantile, di nostre ragazze portatrici del frutto di un’ora dolce di un amore impossibile vissuta o con un biondo teutonico o con un soldato di colore della California.

L’ammirazione verso la tua produzione, ovviamente, è continuata anche a contatto con migliaia di bambini e di tante diligenti maestre che hanno valorizzato, a fini didattico – pedagogici, quel tuo ‘Attenti al lupo’ dalla cadenza ritmica così prossima alla sensibilità acustica e alle  potenzialità fantastico – creative di una stagione evolutiva particolarmente attenta alla descrizione magico – fiabesca della ‘casetta piccola così con tante finestrelle colorate e una donnina piccola così ‘.

Con ‘Caruso ‘, perché non sottolinearlo, hai conquistato non solo me e i miei coetanei ma l’intera comunità campana gelosa di quel ‘ golfo di Surriento’ e di quel refrain così antropologicamente nostro del ‘ Te voglio bene assaje’.

Infine, caro Lucio, alla mia sensibilità senile ‘L’Anno che verrà’ ha contribuito non poco a convincermi sull’ineluttabile, radicale cambiamento del nostro vivere contraddistinto sempre più dalla solitudine, dalla paura dell’altro, dall’incomunicabilità, dalla ricerca spasmodica di un mondo dorato fatto di tre cicli di feste natalizie all’anno e di tanti eventi straordinari quali la discesa dalla croce di Cristo, un’eccezionale abbondanza di viveri per tutti, il ritorno festoso degli uccelli, la conquista generalizzata della parola da parte di tutti i muti, di quella parola  già utilizzata senza limiti dai molti voluti  sordi alle sofferenze altrui e alle tante legittime aspettative della comunità.

Anche in questo pezzo ritorna la tua proverbiale ironia per niente nascosta: ‘ vedi, vedi caro amico cosa si deve inventare per poterci ridere sopra, per continuare a sperare’.

L’omaggio reso in ‘ Piazza grande’  a  piazza Maggiore con la fontana del Nettuno e il palazzo comunale non è soltanto la conferma del tuo incommensurabile amore nei riguardi della tua Bologna, che oggi ti dà l’ultimo saluto, ma anche l’attenzione da te sempre espressa alla componente più povera e deprivata della comunità umana rappresentata, nel richiamo specifico, dal clochard che avrebbe anche lui tanto bisogno di  carezze ma anche di pregare quel Dio che tu, caro Dalla, hai amato tanto di più di me che mi professo cristiano.

Grazie anche per questo.

 

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