MORIRE A 26 ANNI SU DI UN CAMPO DI CALCIO

 

Salerno, 16 Aprile 2012

Ambrogio  IETTO

 

LA TRAGEDIA DI MOROSINI

 

Ci sono eventi che non vuoi accettare e che, per un immediato, ingovernabile meccanismo di difesa, ti rifiuti di osservarne la dinamica che il video e le sequenze fotografiche, così spietatamente disponibili sul personal computer grazie alla banda larga, ripropongono ai troppi curiosi interessati a quanto accaduto.

La barcollante sagoma del povero Piermario Morosini, prima di accasciarsi definitivamente sul tappeto verde dell’Adriatico di Pescara, non è spettacolo da incuriosire. Tutt’al più è l’ennesimo dramma che, nel mentre ti  raggela e ti zittisce, attiva una serie ossessiva di domande.

E’ possibile soccombere alla spietatezza della morte quando si hanno appena 26 anni e si è stati giudicati perfettamente idonei alla pratica agonistica ? E’ stato fatto davvero l’impossibile da parte dei soccorritori per fermare l’azione aggressiva e dirompente dell’improvviso malessere ? Nell’apprendere notizie sul profilo di questo povero atleta e sul suo vissuto familiare è umanamente accettabile che si sia destinatari di vicende così struggenti e dolorose ?

E’ un’età quella di Morosini in cui  l’evento funesto andrebbe escluso pregiudizialmente per il semplice fatto che l’attività agonistica svolta da oltre un decennio presso club della massima serie calcistica, presuppone  al nostro tempo una costante opera di monitoraggio dello stato fisico con controlli non solo sistematici ma compiuti anche con sofisticate strumentazioni.

Chi scrive ricorda che, impegnato oltre quarant’anni fa nel semplice ruolo di arbitro di calcio presso la lega semiprofessionistica, veniva sottoposto, come tutti i suoi colleghi, presso il Centro di Coverciano, ad una scrupolosissima visita medica collegiale. Da allora l’evoluzione tecnica del gioco del calcio e l’apporto di avanzate tecnologie preposte alla rilevazione delle condizioni medico – cliniche dell’atleta, nel rendere ricorrenti e severi i controlli, assicurano solide garanzie al suo impiego agonistico sul terreno di gioco.

Sulla rapidità e sulla qualità dell’intervento dei soccorsi si sono aperte sulla carta stampata, negli appositi spazi televisivi e radiofonici e nella fitta rete di internet, le previste ed inevitabili polemiche. Le dichiarazioni rilasciate soprattutto da Leonardo Paloscia, primario di cardiologia all’ospedale di Pescara presente allo stadio, evidenziano l’irreversibilità del crollo cardiocircolatorio subito da Morosini.

Tra gli esperti non manca chi ipotizza possibili altre cause del decesso da poter conoscere solo a seguito di autopsia. Fa seriamente discutere il ritardato arrivo dell’autoambulanza a causa dell’ostacolo determinato da un’auto dei vigili urbani posteggiata in male modo. Di certo anche la magistratura aprirà un’inchiesta su questo atto di irresponsabilità compiuto da chi è preposto proprio a porre ordine.

Rode il cervello il terzo interrogativo. La storia di Piermario fa accapponare la pelle: sua madre muore quando il ragazzo ha appena 15 anni. Dopo appena due anni è la volta del padre. A 17 anni lo sfortunato aspirante calciatore si ritrova con una sorella ed un fratello entrambi disabili. Approdato ad Udine, dove può festeggiare l’esordio in serie A, gli arriva la notizia del suicidio del fratello.

Gli rimangono, così, due amori cui aggrapparsi per continuare ad avere coraggio e sopravvivere: il calcio che sembra dargli le soddisfazioni agognate e il bene profondo di Anna, la fidanzata friulana. Per il resto si ripropone quel terribile ‘perché’ che ritorna ossessivamente ogniqualvolta la ragione, anche quando è alimentata dalla forza della fede, è incapace di abbozzare un’ipotesi di risposta.

Questa ed altre domande ancora hanno tormentato la mente frastornata dell’ottimo giovane collega Silvio Baratta, lungo il suo triste viaggio in auto dalla città adriatica a Salerno,  dopo essere stato desolante osservatore e, purtroppo, puntuale notaio di una così tragica vicenda.

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