A MARGINE DEL CONVEGNO DI SALERNO SU ” INIZIAZIONE CRISTIANA E FAMIGLIA “

 

Salerno, 7 giugno 2012

Ambrogio IETTO

FAMIGLIA ED EMERGENZA EDUCATIVA

 

Questa sera, con l’intervento dell’arcivescovo Mons. Moretti, si conclude, presso il seminario ‘ Giovanni Paolo II di Pontecagnano – Faiano, il convegno pastorale diocesano sul tema ‘ Iniziazione cristiana e famiglia’.

La foltissima assise si è aperta martedì sera con un contributo di don Biagio Napoletano, vicario episcopale per il coordinamento delle pastorali, seguito dalla relazione di base di Mons. Giuseppe Mani, arcivescovo emerito di Cagliari che, dotato di particolare carisma comunicativo e di una vasta e variegata esperienza nel comparto specifico della pastorale familiare, è riuscito a coinvolgere in termini significativi l’attento uditorio. Ricca di efficaci richiami di fatti, persone, eventi acquisiti e rivissuti nel lungo itinerario di evangelizzazione sacerdotale  la comunicazione del presule ha offerto preziose indicazioni soprattutto per delineare il profilo ideale del sacerdote e di quanti, impegnati nelle realtà parrocchiali, vengono a diretto contatto con le tante situazioni delicate e, a volte, anche spinose che contraddistinguono le dinamiche familiari del nostro tempo: una vivida testimonianza di fede, la naturale disponibilità all’ascolto, ad una comunicazione interattiva caratterizzata da autentico interesse nei riguardi di chi vive sofferenze e tensioni prodotte da incomprensioni ed avversioni intrafamiliari, spiccata intuizione nel cogliere le fragilità in atto e il possibile itinerario da seguire per ridimensionarle e gestirle nel migliore dei modi.

Si dà per scontato, infatti, che laddove l’iniziazione cristiana è avviata o, addirittura, consolidata le dinamiche in atto tra i coniugi e i figli, tra ciascuno dei due ed ognuno dei  figlioli dovrebbero risultare non problematiche, anzi aperte ad una feconda e franca pratica della comunicazione, del dialogo, dell’interazione significativa, della comune ricerca di atti e scelte funzionali al miglioramento della qualità della vita sia all’interno dell’istituto familiare sia nella rete di contatti e di rapporti che ciascuno dei suoi componenti normalmente attiva e consolida nella più ampia comunità parrocchiale e sociale.

L’ampio dibattito scaturito nel recentissimo evento di Milano anche tra esperti del settore non ancorati alla visione cristiana della famiglia, considerata struttura di base fondata sul matrimonio tra due persone di sesso diverso, consente di convenire che essa è stata e non potrà cessare di essere una cellula primaria dell’universale umano sia pure soggetta a cambiamenti intensi ed oggi particolarmente confusi per una serie di motivi di natura ideologica, culturale, antropologica, di costume.

Questa affermazione di principio non esonera dal rilevare che il numero di separazioni e di divorzi aumenta vorticosamente anche in una realtà qual è la nostra, da sempre indicata come fortemente legata ad una visione della comunità strutturata su base familiare.

La Chiesa, nel momento in cui opportunamente pone come  prima emergenza da affrontare responsabilmente quella educativa, non può ignorare che deve pregiudizialmente tener conto che la maggioranza delle nostre famiglie, anche quando a livello di anagrafe ufficiale risultano aggregate con i due coniugi e i figli minori conviventi, dispongono o riservano troppo poco tempo alla costruzione e al consolidamento di una comunicazione significativa tra genitori e prole.

Docenti attenti alle dinamiche intrafamiliari dei loro allievi rilevano questa sofferenza spesso partecipata separatamente sia dagli stessi studenti sia dai loro genitori. L’incapacità o la mancanza di volontà a gestire e a controllare condizioni emotive emergenti spingono il padre o la madre a rompere l’unione originaria, approdando quasi sempre in contesti già frammentati o in via di lacerazione.

La famiglia cosiddetta allargata non è più un prototipo presentato dall’industria cinematografica. A risoluzioni di questo tipo, considerate prevalentemente liberatorie, si arriva quando più che nido d’amore la famiglia originaria si è trasformata in un covo di vipere.

Il problema più grave è prodotto dall’uso frequentemente ricattatorio e strumentale che si fa del minore sottoposto a frustrazioni e vessazioni che ne condizioneranno in modo negativo ed irreversibile la vita futura.

Con casi e situazioni di questo tipo che, purtroppo, si moltiplicano sempre più la Chiesa e, più concretamente, la parrocchia diventano ambienti insostituibili di accoglienza, di ascolto, di comunicazione, di speranza per bambini, ragazzi, adolescenti ed adulti che vivono drammaticamente situazioni logoranti di questo tipo.

La scuola può fare ben poco per il semplice motivo che i suoi docenti non di rado sono portatori della medesima situazione  psicologica e delle stesse fragilità comportamentali.

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