Archivio per ottobre, 2012

IL SINDACO DE LUCA CONTINUA COL POPULISMO DELL’EX SINDACALISTA E CON L’ANTICLERICALISMO DEL VECCHIO COMUNISTA

25 ottobre 2012

 

Salerno, 25 Ottobre 2012

Ambrogio IETTO

DE LUCA E LA CHIESA

 

Sabato scorso, nel recarmi al Grand Hotel a salutare alcuni amici partecipanti al convegno nazionale del Movimento Adulti degli Scout Cattolici e provenienti da alcune regioni del Nord Italia, sono rimasto particolarmente soddisfatto nell’ascoltare giudizi abbastanza positivi sulla nostra città inerenti alla complessiva sua tenuta igienica, al traffico relativamente scorrevole, alla cultura dell’accoglienza manifestata anche da comuni cittadini ai quali gli ospiti si erano rivolti per avere indicazioni sulla localizzazione dei siti individuati per la concreta trattazione del tema programmato, centrato su come ‘abitare la città dell’uomo’. Lo stesso sindaco De Luca, accogliendo l’invito degli organizzatori,  ha partecipato in qualità di ‘ testimone significativo’, presso il salone di ‘Santa Sofia’, per un intervento sul problema ‘ Cittadinanza attiva e responsabile’.

L’apertura di questo contributo muove, dunque, da una franca, onesta, corretta testimonianza sulla positiva percezione dell’immagine di Salerno avvertita dagli 800 partecipanti al convegno del MASCI. Essa tende anche ad evidenziare che la libertà di opinione deve aspirare ad un’auspicabile posizione mediana, cioè all’ambita terzietà del giudice.

Dato, quindi, a De Luca il merito che gli tocca, mi permetto ora, in considerazione della maggiore mia età, di fargli anche una tiratina d’orecchio. Egli non può accusare altri di fare del populismo quando la titolarità della cattedra in questo campo egli l’ha acquisita alle Frattocchie e a Botteghe Oscure dopo sistematici corsi di alfabetizzazione a tale obiettivo mirati.

Così l’altro giorno il sindaco De Luca, nel presentare il libro scritto dall’onorevole Adornato, ex berlusconiano approdato alla corte di Casini, ha fatto riferimento al nostro Paese, cioè all’Italia ridotta, a suo dire, ad una ‘casa di tolleranza’. La metafora, in verità volgarissima ed inopportuna, avrebbe potuto reggere se, con onestà intellettuale, l’onorevole De Luca avesse elencato anche alcuni nomi di consolidati ‘tenutari’ appartenenti al confuso suo schieramento politico i quali lo vanno a corteggiare a Palazzo di Città per offrirgli gradevoli ed appaganti  servigi.

Invece il sindaco ha ritenuto opportuno, nel corso di quella sua filippica, fare riferimento esplicito alla ‘comare’ Chiesa che ‘ ha fatto finta di non vedere per avere 250 milioni per le scuole private’. Egli è caduto, così, nel veteroanticlericalismo del tempo che fu, manifestando anche grassa ignoranza sul riferimento citato.

Va precisato, infatti, che la legge n. 62 del 10 marzo 2000, che detta norme sulla parità scolastica, fu voluta e firmata dal suo compagno di merenda D’Alema che allora era premier, cioè  capo del governo. E’ opportuno precisare che Il riconoscimento dell’istituto della parità alle scuole non statali viene formalizzato se l’istituzione scolastica risulta in possesso di ben otto requisiti previsti dalla legge. Verificato  il possesso delle condizioni richieste si entra a far parte del ‘ sistema nazionale di istruzione costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali’ ( art. 1 della legge richiamata ).

Il sindaco De Luca, che ama San Matteo e che desidererebbe anche poter gestire le faccende curiali, è giusto che sappia che il sistema italiano delle scuole paritarie nell’anno scolastico 2010/2011 si è articolato in 10.259 (72,50%) sezioni di scuola dell’infanzia, in 1.540 (10,90%) classi di scuola primaria, in 682 classi di scuola secondaria di primo grado ( 4,80%) e in 14.149 (11,80% ) classi di scuola secondaria di secondo grado.

7.049 sezioni di scuola dell’infanzia ( il 68,70% del 72,50% ) si caratterizzano come istituzioni  di ispirazione cattolica e cristiana in senso lato; le altre 3.050 sezioni ( 31,30% ) sono gestite dagli enti locali e da privati cittadini. Allo Stato ogni alunno di scuola paritaria per l’infanzia costa annualmente 584 euro al posto dei 5.828 euro previsti per la scuola dell’infanzia statale, 866 euro per l’allievo della scuola primaria paritaria al posto dei 6.525 euro quantificati per l’alunno della scuola primaria statale, 106 euro per lo studente della secondaria di primo grado paritario in rapporto ai 7.232 euro preventivati per l’allievo che frequenta l’eguale segmento scolastico statale, infine un contributo di 51 euro pro – capite per lo studente della scuola secondaria paritaria di secondo grado in relazione all’omologo collega frequentante licei, istituti tecnici e professionali statali che costa allo Stato 7.147 euro.

Il risparmio che lo Stato realizza per ogni alunno che si iscrive alla scuola paritaria anziché a quella statale è, pertanto,  rispettivamente di euro 5.244, 5.659,7.126 e 7.096. In media tra i vari gradi di scuola lo Stato risparmia, per ogni allievo che frequenta la scuola paritaria,  euro 6.281.

Frattanto il contributo previsto per tutte le scuole paritarie, di cui quelle cattoliche sono solo una parte, è quantificato nei 250 milioni di euro di contributo citati da De Luca al posto dei 530 milioni di euro erogati, sempre alle paritarie, nell’anno 2006 quando imperava il secondo governo Prodi. Per concludere con le cifre: se i 740.636 allievi che frequentano complessivamente tutte le scuole paritarie dovessero trasferirsi alle corrispondenti scuole statali l’onere complessivo annuale, al fine di assicurare il diritto allo studio costituzionalmente garantito, aumenterebbe per lo Stato della misura di 4 miliardi, 651 milioni, 934 euro (740.636 x 6.281 quota risparmio pro – capite all’anno ).

Alla luce degli indiscutibili dati sopra richiamati De Luca farebbe bene a non cadere nel populismo cui era allenato quando fu chiamato a ricoprire il ruolo di leader sindacale nella Piana del Sele. Inoltre è opportuno che non utilizzi due facce nei riguardi della Chiesa cattolica così come il nostro popolino è portato ad attribuire  alla statua del santo protettore.

Egli, infatti, quando gli fa comodo  corteggia la Chiesa, giudicando  occasione  preziosa anche quella di celebrare in Palazzo di Città il cinquantenario di apertura del Concilio Vaticano II. Invece, quando vuole fare il demagogo, l’accusa di tacere sulle vergogne del nostro Paese al fine di sottrarre 250 milioni allo Stato. In più, con infelice metafora, la rende compartecipe del ‘bordello’ Italia.

Il vero problema è che  De Luca fa di mestiere il politico e va capito. Meno comprensibile è l’eccesso di tolleranza che dimostra nei suoi confronti la Chiesa locale.

VIVACE VIGILIA ELETTORALE ALL’INTERNO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA ARBITRI DELLA FIGC

24 ottobre 2012

 

Salerno, 24 Ottobre 2012

Ambrogio IETTO

 

LA CANDIDATURA BOGGI

 

Nel mentre l’amico Roberto Boggi è in giro per l’Italia, incontrando colleghi e responsabili di sezione protagonisti diretti delle elezioni che si terranno il prossimo 10 novembre per la scelta del presidente nazionale dell’Associazione Italiana Arbitri cui egli è direttamente interessato, avverto l’esigenza di partecipare anche il mio modesto contributo a sostegno della sua candidatura.

Quanto mi dispongo ad esprimere non rientra nell’ordinaria mia attività di osservatore più o meno attento di quanto di significativo in campo culturale e politico – amministrativo si verifica in città, in provincia e nell’intero territorio campano.

All’Aia della Federazione Italiana  Gioco Calcio ho dato la dimensione migliore della mia giovinezza. Entrai a far parte di questa importante famiglia dello sport italiano circa 55 anni fa quando, giovanissimo insegnante elementare di ruolo e studente universitario lavoratore, fui convinto da don Ciccio Mango, fondatore della neonata sezione AIA di Battipaglia, a seguire il corso di formazione preparatorio e a sostenere gli esami previsti.

Della stessa sezione di Battipaglia fui nominato, nel gennaio 1965, commissario straordinario dal presidente nazionale dell’epoca conte Saverio Giulini. Assolto questo mandato mi trasferii alla sezione di Salerno retta con equilibrio e signorilità dal compianto amico notaio Francesco Spirito.

Un anno prima, nel 1964, ero stato promosso alla Casp ( Commissione Arbitri Lega Semiprofessionisti ) ove, sotto la guida del commissario Cesare Jonni, rimasi in forza per cinque anni per poi dimettermi per far fronte a più onerosi impegni professionali e familiari. Transitato nel ruolo dei commissari speciali presso la stessa Casp  il presidente nazionale dell’Aia Giulio Campanati mi nominò, nel 1976, presidente della sezione di Salerno, incarico che non accettai perché impegnato a Vallo della Lucania nella qualità di direttore didattico. 

Sempre Campanati mi elevò, nel lontano 1981, al ruolo di arbitro benemerito con successiva concessione del distintivo d’oro da parte della Figc  e del Coni. L’antipatica cronistoria  di taglio personale è redatta per testimoniare il mio senso di appartenenza a questa Associazione e la mia piena solidarietà a Boggi di cui fui il primo osservatore sul campetto di Fratte quando egli esordì nel campionato  ‘ragazzi’.

Può sembrare piuttosto strano che egli si candidi a presidente nazionale mentre si ripropone per un secondo mandato il duo Nicchi – Pisacreta, quest’ultimo socio della stessa sezione salernitana. Innanzitutto Roberto è stato sollecitato da colleghi di tutta Italia a scendere in campo perché considerato dotato di alta competenza tecnica, di spiccata autonomia confermata in precedenti, delicati incarichi di respiro nazionale, di franco, libero pensiero, di marcata onestà testimoniata in decenni di qualificata attività commerciale. Anch’egli non ha condiviso molto della gestione Nicchi – Pisacreta sia a livello nazionale sia in sede locale.  Lo stesso  vice – presidente non ha voluto o non è stato in grado di contribuire a restituire alla sezione di Salerno quel clima di coesione, di amicizia, di corretta dialettica che ha consentito in passato a molte sue valide risorse umane di affermarsi nelle competizioni calcistiche del settore professionistico.

Anzi uno dei primi provvedimenti voluti da Pisacreta e formalizzati da Nicchi è stata la sostituzione, nella qualità di presidente regionale della Campania dell’Aia, di Antonio Santangelo, presidente onorario della sezione di Salerno, il quale nella vicenda  elettorale di quattro anni fa si trovò schierato a favore dell’avversario di Nicchi.

Il metodo adottato fu quello, mutuato dal deteriore sistema politico, dello spoil system ( sistema del bottino ). Così mentre Santangelo fu sostituito con l’attuale presidente regionale  anche i più referenziati sostenitori locali di Pisacreta trovarono sistemazione in incarichi nazionali e regionali.

Nel corso di un’assemblea sezionale, riservata alla fase preelettorale delle precedenti consultazioni, nell’augurare a Pisacreta il successo desiderato, mi permisi di raccomandargli, da decano della sezione, di confermare nei vari incarichi tutti quei responsabili che, dal punto di vista tecnico ed etico, non avevano demeritato. La risposta, nei fatti, confermò l’originario intento di fare piazza pulita di quanti si erano schierati contro di lui e di Nicchi.

Destinatario di diverse lettere anonime, provenienti dall’ambiente arbitrale della sezione di Salerno  e chiaramente offensive della mia dignità di persona e di professionista, dal mese di maggio scorso ho formalizzato la lettera di dimissioni dall’organizzazione le cui motivazioni sono semplicemente quelle di non poter far parte di un gruppo che, pur chiamato a svolgere l’azione formativa sulle giovani leve recuperando i valori della lealtà, dell’onestà, della giustizia da tradurre sul campo di gioco in coerenti comportamenti, alimenta nei fatti zizzania, dissenso, contrasti, in particolare nei riguardi di coloro che manifestano liberamente il proprio pensiero e criticano l’attuale conduzione della sezione sostenuta dal vice presidente nazionale. Per quanto mi riguarda sono trascorsi cinque mesi dall’invio delle mie dimissioni e non ho ricevuto riscontro.

La decisione di Roberto Boggi di accettare la candidatura a presidente nazionale dell’Aia è un atto di onestà intellettuale, di libera, consapevole partecipazione ad un dibattito che lo vede raccogliere in tutta la penisola  testimonianze di stima e di consenso, di coraggiosa volontà di ripristinare all’interno dell’organizzazione un clima di rispetto reciproco e di lealtà, di sofferta consapevolezza di elevare il tasso di qualità degli arbitri italiani di calcio.

NON CONVINCE LA MANFRINA ORCHESTRATA DALLA MANAGER LENZI ALL’OSPEDALE ‘ SAN GIOVANNI DI DIO E RUGGI D’ARAGONA ‘ DI SALERNO

17 ottobre 2012

 

Salerno, 17 Ottobre 2012

Ambrogio IETTO

UN DIRETTORE COL PIGLIO DEL DITTATORE

 

Non ho la fortuna di conoscere la dottoressa Elvira Lenzi, direttore generale del ‘ San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona’. Dopo aver letto sulla stampa quanto accaduto avantieri, presso la struttura ospedaliera, col divieto di accesso alle aule destinate all’attività didattica formalizzato  agli studenti del corso di laurea in medicina e chirurgia del nostro ateneo, ho cercato di acquisire delle notizie sul suo conto.

Trasformatomi in internauta sono approdato ad un video, intelligentemente diffuso in rete dalla redazione di Telecolore, che mi ha consentito di ascoltare più volte il testo delle dichiarazioni rilasciate dalla dottoressa Lenzi dopo l’evacuazione forzosa degli studenti.

Ho avuto modo, così, di cogliere immediatamente un viso e degli occhi espressivi di un marcato autocompiacimento, di ascoltare considerazioni proferite con toni lenti e solenni  tipici di chi, anche con non velata ostentazione, intende inviare un messaggio poco elegante all’interlocutore preso di mira, come per dire: “ Caro Pasquino, beccati questo atto, vuoi capire che qui comando io ? Come ti sei permesso di muovere osservazioni sulla mia nomina a direttore generale ? Addirittura hai formalizzato un ricorso al Tar avverso  quella designazione ? “.

La manager più volte ha pronunciato il lemma ‘ diritto ‘, l’espressione ‘Stato di diritto’. Ha continuato pontificando che il luogo fisico per svolgere la didattica è la sede universitaria di Baronissi ed ha anche insinuato che forse il rettore ‘ ha bisogno di qualche assicurazione’. Anzi, con una determinazione propria di chi sa ciò che vuole e sa come raggiungerlo,  il direttore generale con tono imperioso ha scandito: “ Io non consento a nessuno di lasciarmi col cerino in mano “.

Sicuramente poco elegante la metafora che, però, pronunciata da chi, al di là degli innegabili meriti professionali, è fedele espressione di una parte politica, la dice lunga su chi ha interesse ad impedire di fatto la trasformazione del ‘ Ruggi d’Aragona’ in azienda universitaria ospedaliera.

E gli indiziati non mancano. Ad esempio: chi ha imposto al presidente della giunta regionale Caldoro il nome della Lenzi per svolgere la delicata funzione di direttore generale ? Politici e stampa hanno attribuito questa nomina ai De Mita, onorevole Ciriaco e nipote Giuseppe vice presidente della giunta regionale, entrambi appartenenti all’aggregazione politica di Casini di cui, fatto abbastanza strano, il rettore Pasquino è stato referente d’eccellenza a Napoli quale candidato a sindaco nell’ultima consultazione elettorale.

Il virus che contamina quanti vivono di politica e quanti dalla politica attendono personali gratificazioni, si sa,  è piuttosto micidiale.

Piace, pertanto, anche a chi scrive avanzare qualche insinuazione. Se il Casini nazionale dovesse offrire un attestato di riconoscenza a Pasquino per il sacrificio compiuto, garantendogli un seggio parlamentare, il duo De Mita potrebbe manifestare soddisfazione oppure temere una poco gradita invasione di campo ? Di conseguenza ostacolare il rettore nel completamento della straordinaria opera compiuta con competenza e determinazione, restituendo a Salerno gli antichi fasti della sua antica  ‘ Scuola Medica’, potrebbe costituire una nota di demerito da far pesare in sede di definizione della lista dell’Unione di Centro.  

In più si riproporrebbe l’antico sogno irpino di costruire un asse privilegiato tra la Facoltà di Medicina e Chirurgia e la struttura ospedaliera ‘ San Giuseppe Moscati ‘ di Avellino di cui la Lenzi è stata direttore generale prima di essere spedita nel mese di giugno al San Leonardo.  

In questo bailamme che non ha nulla del clima e dello stile che, di norma, debbono caratterizzare i  rapporti tra istituzioni si inserisce, ovviamente, anche la storica querelle che divide medici ospedalieri e docenti all’interno delle aziende universitarie ospedaliere.

Non a caso ieri sul ‘Corriere del Mezzogiorno’ l’emerito gastroenterologo Gabriele Mazzacca ha scritto testualmente: ‘ Si comprende, allora, la preoccupazione dei medici ospedalieri di Salerno di una loro strisciante emarginazione nella direzione dei vari dipartimenti clinici dell’azienda ‘. Il professore Mazzacca, nel dare anche delle indicazioni sul come sciogliere il nodo tra il piano didattico e il rapporto tra insegnamento e impegno clinico, conferma di fatto che la manfrina orchestrata può essere animata anche dall’egocentrismo di musicanti indisponibili a mettere da parte lo strumento di pertinenza.  

Alle istituzioni pubbliche salernitane e non ( Regione, Delegazioni  Parlamentari, Provincia, Comune, Ordine dei Medici ) e agli Organi Accademici dell’ateneo che, coralmente, hanno svolto con intelligenza e ferma determinazione ciascuno il proprio ruolo a sostegno dello straordinario impegno del rettore Pasquino, il richiamo allo Stato di diritto della dr.ssa Lenzi non può che risultare improprio, strumentale, frutto dell’antico, infantile proverbio del ‘rendere pan per focaccia’.

Nei cittadini e in quanti assistono con fastidio a simili sceneggiate rimane, invece, l’avversione più netta nei confronti di quanti, con operazioni occulte e giochi burocratesi, intendono impedire che una comunità civile fruisca di una struttura ospedaliera legittimata da un’attività di ricerca sul campo e dalla letteratura scientifica.

QUANDO L’ADULTO NON S’IMMEDESIMA NEL DOLORE DEL BAMBINO

11 ottobre 2012

 

Salerno, 11 Ottobre 2012

Ambrogio IETTO

C’erano una volta i bambini

 

Rubo a Roberto Volpi, collaboratore dell’Istituto degli Innocenti di Firenze, il titolo di questa riflessione che mi dispongo a scrivere dopo aver rivisto per l’ennesima volta le immagini del bambino di dieci anni di Cittadella di Padova, rilevato presso la scuola frequentata e portato di peso, a forza, da uomini della Polizia di Stato in esecuzione di un provvedimento di affidamento in via esclusiva al padre, con successivo collocamento in una comunità.

Volpi aveva dato ad un suo libro ( La Nuova Italia Editrice, 1998, lire 15.000 )  il titolo da me utilizzato, volendo evidenziare il graduale affievolimento della condizione di bambini a causa della particolare protezione e dell’eccessiva pratica del vezzeggiamento di cui essi sono destinatari.

Il piccolo che si dimena nei pressi dell’edificio scolastico e che cerca di resistere all’opera di sollevamento forzoso del suo corpo da parte dei poliziotti non è il bambino esaltato dalle ‘ Dichiarazioni dei diritti ‘ delle Nazioni Uniti né è il piccolo re recuperato nelle tante ipocrite immagini da ‘ Mulino Bianco ‘ a fini esclusivamente mercantili.

Egli viene considerato come un delinquente comune, un piccolo truffatore, un rapinatore baby da trascinare a tutti i costi in una casa – famiglia dove troverà altri piccoli disgraziati come lui destinatari di analoghi provvedimenti disposti dal giudice minorile di turno per far fronte all’irresponsabilità di donne e di uomini che, nel corso di un rapporto intimo, si illusero di suggellare un patto d’amore mentre, privi di un autentico, condiviso  progetto formativo, mettevano al mondo una povera creatura destinata a raccogliere, nel corso della sua esistenza, una miriade di frustrazioni.

Il filmato del trascinamento imposto d’autorità, diffuso dalla rubrica televisiva ‘ Chi l’ha visto ?’, ha già fatto il giro del mondo con commenti fortemente critici e con una serie di interpellanze parlamentari. Non manca la decisione del Capo della Polizia Manganelli  di disporre un’inchiesta interna mentre il filmato integrale è stato trasmesso all’Autorità Giudiziaria per l’attività di sua competenza.

Le agenzie di stampa offrono notizie in parte anche contraddittorie. Si sa che l’atto violento sul minore è stato compiuto in esecuzione di una sentenza della Corte di Appello di Venezia che aveva recentemente rigettato un ricorso finalizzato alla sospensione del provvedimento di affidamento al padre presentato dalla madre del piccolo.

Su indicazione di un consulente della stessa Corte di Appello il plesso scolastico frequentato era stato individuato quale luogo idoneo all’esecuzione del provvedimento. Questa indicazione, recepita dal giudice, rappresenta, all’interno di un contesto familiare già di per sé drammatico, l’atto più illogico ed improprio da emettere.

La scelta dell’ambiente ove quotidianamente si incrociano, soprattutto nel corso del primo ciclo d’istruzione, aspettative mancate, entusiasmi contenuti, frustrazioni emergenti ma anche, per fortuna, bisogni vivi di incontri desiderati, di gioiosità vissuta, di figure adulte rasserenanti, professionalmente qualificate, pronte a donare un sorriso, ad esprimere fiducia e sostegno lungo il sempre più difficile itinerario di accompagnamento e di costruzione di un’identità minacciata da un caparbio ed egoistico adultismo, oggi così tanto presente, questa scelta si è rivelata, come era da prevedersi, operazione errata, generatrice di altre sofferenze in un’ utenza che, alla luce dei recenti dati, anche in quella scuola, nella misura di almeno il 30 %, vive quotidianamente le frustrazioni di essere stata concepita da genitori separati o divorziati.

Le rilevazioni demografiche dell’Istat ci ricordano, infatti, che i figli coinvolti nella crisi coniugale dei propri genitori assommano oggi a circa 150.000 unità.

Il provvedimento del magistrato, suffragato dalla relazione del consulente di ufficio, terrebbe conto delle teorie dello psichiatra statunitense Richard A. Gardner ( da non confondere col quasi omonimo Howard Gardner, coniatore delle ‘ intelligenze multiple’).

Secondo lo studioso statunitense, in alcune situazioni di separazioni conflittuali,affiorerebbe nel minore la sindrome di alienazione genitoriale o PAS ( dall’acronimo anglofono di Parental Alienation Syndrome ). Nel caso in oggetto il genitore alienante, cioè la madre, avrebbe effettuato una sorta di lavaggio del cervello del ragazzino, finalizzato a fargli avvertire astio e disprezzo nei riguardi del padre.

L’affidamento ad una casa famiglia, quale luogo emotivamente neutro, faciliterebbe nel tempo l’attivazione di positivi rapporti col padre. Inutile evidenziare che su testi specialistici si legge che la suddetta sindrome non è riconosciuta come disturbo psicopatologico da buona parte della comunità scientifica e legale.

Se la decisione della magistratura ha rispettato Gardner e la sua tesi il modo di come il provvedimento è stato eseguito ha di certo aggravato le condizioni psicologiche dell’involontario e violentato protagonista e ha generato inevitabili frustrazioni e preoccupazioni nei tanti suoi coetanei, spettatori occasionali di una scena da non vedere nemmeno in una fiction.

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