QUANDO L’ADULTO NON S’IMMEDESIMA NEL DOLORE DEL BAMBINO

 

Salerno, 11 Ottobre 2012

Ambrogio IETTO

C’erano una volta i bambini

 

Rubo a Roberto Volpi, collaboratore dell’Istituto degli Innocenti di Firenze, il titolo di questa riflessione che mi dispongo a scrivere dopo aver rivisto per l’ennesima volta le immagini del bambino di dieci anni di Cittadella di Padova, rilevato presso la scuola frequentata e portato di peso, a forza, da uomini della Polizia di Stato in esecuzione di un provvedimento di affidamento in via esclusiva al padre, con successivo collocamento in una comunità.

Volpi aveva dato ad un suo libro ( La Nuova Italia Editrice, 1998, lire 15.000 )  il titolo da me utilizzato, volendo evidenziare il graduale affievolimento della condizione di bambini a causa della particolare protezione e dell’eccessiva pratica del vezzeggiamento di cui essi sono destinatari.

Il piccolo che si dimena nei pressi dell’edificio scolastico e che cerca di resistere all’opera di sollevamento forzoso del suo corpo da parte dei poliziotti non è il bambino esaltato dalle ‘ Dichiarazioni dei diritti ‘ delle Nazioni Uniti né è il piccolo re recuperato nelle tante ipocrite immagini da ‘ Mulino Bianco ‘ a fini esclusivamente mercantili.

Egli viene considerato come un delinquente comune, un piccolo truffatore, un rapinatore baby da trascinare a tutti i costi in una casa – famiglia dove troverà altri piccoli disgraziati come lui destinatari di analoghi provvedimenti disposti dal giudice minorile di turno per far fronte all’irresponsabilità di donne e di uomini che, nel corso di un rapporto intimo, si illusero di suggellare un patto d’amore mentre, privi di un autentico, condiviso  progetto formativo, mettevano al mondo una povera creatura destinata a raccogliere, nel corso della sua esistenza, una miriade di frustrazioni.

Il filmato del trascinamento imposto d’autorità, diffuso dalla rubrica televisiva ‘ Chi l’ha visto ?’, ha già fatto il giro del mondo con commenti fortemente critici e con una serie di interpellanze parlamentari. Non manca la decisione del Capo della Polizia Manganelli  di disporre un’inchiesta interna mentre il filmato integrale è stato trasmesso all’Autorità Giudiziaria per l’attività di sua competenza.

Le agenzie di stampa offrono notizie in parte anche contraddittorie. Si sa che l’atto violento sul minore è stato compiuto in esecuzione di una sentenza della Corte di Appello di Venezia che aveva recentemente rigettato un ricorso finalizzato alla sospensione del provvedimento di affidamento al padre presentato dalla madre del piccolo.

Su indicazione di un consulente della stessa Corte di Appello il plesso scolastico frequentato era stato individuato quale luogo idoneo all’esecuzione del provvedimento. Questa indicazione, recepita dal giudice, rappresenta, all’interno di un contesto familiare già di per sé drammatico, l’atto più illogico ed improprio da emettere.

La scelta dell’ambiente ove quotidianamente si incrociano, soprattutto nel corso del primo ciclo d’istruzione, aspettative mancate, entusiasmi contenuti, frustrazioni emergenti ma anche, per fortuna, bisogni vivi di incontri desiderati, di gioiosità vissuta, di figure adulte rasserenanti, professionalmente qualificate, pronte a donare un sorriso, ad esprimere fiducia e sostegno lungo il sempre più difficile itinerario di accompagnamento e di costruzione di un’identità minacciata da un caparbio ed egoistico adultismo, oggi così tanto presente, questa scelta si è rivelata, come era da prevedersi, operazione errata, generatrice di altre sofferenze in un’ utenza che, alla luce dei recenti dati, anche in quella scuola, nella misura di almeno il 30 %, vive quotidianamente le frustrazioni di essere stata concepita da genitori separati o divorziati.

Le rilevazioni demografiche dell’Istat ci ricordano, infatti, che i figli coinvolti nella crisi coniugale dei propri genitori assommano oggi a circa 150.000 unità.

Il provvedimento del magistrato, suffragato dalla relazione del consulente di ufficio, terrebbe conto delle teorie dello psichiatra statunitense Richard A. Gardner ( da non confondere col quasi omonimo Howard Gardner, coniatore delle ‘ intelligenze multiple’).

Secondo lo studioso statunitense, in alcune situazioni di separazioni conflittuali,affiorerebbe nel minore la sindrome di alienazione genitoriale o PAS ( dall’acronimo anglofono di Parental Alienation Syndrome ). Nel caso in oggetto il genitore alienante, cioè la madre, avrebbe effettuato una sorta di lavaggio del cervello del ragazzino, finalizzato a fargli avvertire astio e disprezzo nei riguardi del padre.

L’affidamento ad una casa famiglia, quale luogo emotivamente neutro, faciliterebbe nel tempo l’attivazione di positivi rapporti col padre. Inutile evidenziare che su testi specialistici si legge che la suddetta sindrome non è riconosciuta come disturbo psicopatologico da buona parte della comunità scientifica e legale.

Se la decisione della magistratura ha rispettato Gardner e la sua tesi il modo di come il provvedimento è stato eseguito ha di certo aggravato le condizioni psicologiche dell’involontario e violentato protagonista e ha generato inevitabili frustrazioni e preoccupazioni nei tanti suoi coetanei, spettatori occasionali di una scena da non vedere nemmeno in una fiction.

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