Archivio per gennaio, 2013

31 GENNAIO: FESTA DI SAN GIOVANNI BOSCO, GIORNATA DEL MAESTRO. L’IMPEGNO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA MAESTRI CATTOLICI

31 gennaio 2013

Salerno, 31 gennaio 2013

Ambrogio IETTO

Onore a maestre e a maestri

Marco Severini, giovane docente di storia contemporanea presso l’Università  di Macerata, ha pubblicato recentemente un denso volume dal titolo ‘ Dieci donne. Storia delle prime elettrici italiane’ ( Liberilibri ) in cui è raccontata la vicenda di dieci donne, nove delle quali nate a Senigallia, dall’età media di 28 anni, con un’estrazione sociale modesta fatta di lunghi, faticosi precariati e di molte ingiustizie subite,  ma accomunate da un identico percorso professionale: maestre della scuola primaria.

Ebbene queste giovani marchigiane, professioniste dell’educazione impegnate a rendere meno consistenti le percentuali che, ad inizio del Novecento, segnavano un indice elevatissimo di analfabetismo strumentale tra la popolazione adulta, formalizzarono ricorso alla magistratura per la mancata iscrizione nelle liste elettorali.

Correva l’anno 1906. Il presidente della Corte di Appello di Ancona,  Ludovico Mortara illuminato magistrato, con una coraggiosa sentenza datata 25 luglio 1906, accolse l’istanza delle insegnanti tendenti essere inserite nelle liste elettorali. Purtroppo la Corte di Cassazione, a seguito del ricorso del procuratore del re, fondato sulla ‘ presunta inconciliabilità tra le doti femminili e i forti doveri dell’impegno politico’, annullò quella sentenza che, se condivisa, avrebbe anche potuto cambiare in parte il corso della storia nazionale.

Il fatto, recuperato dalla pregevole ricerca del docente marchigiano,  ha uno straordinario valore simbolico sia perché soltanto 40 anni dopo, nel 1946, le donne potranno avvalersi del diritto all’elettorato attivo sia perché le dieci ricorrenti appartenevano alla mortificata categoria delle maestre e dei maestri, all’epoca dipendenti dalle amministrazioni comunali e, quindi, al servizio di assessori alla scuola semianalfabeti.

Non è il primo caso, storicamente recuperato, del protagonismo di maestre antesignane di un  sano e costruttivo femminismo. Ad un Congresso dell’Unione Magistrale a Milano, negli ultimi anni dell’Ottocento, le maestre siglarono un documento in cui rivendicavano la stessa paga concessa ai colleghi uomini  utilizzati, come loro, sulle  classi terze e quarte.

In una relazione scritta nel 1886 dal provveditore di Cagliari Carlo Gicchi, a proposito degli alloggi messi a disposizione dei maestri dai comuni, si legge testualmente: ‘ Certi comuni ( Triei, Desulo ) passano al precettore alloggi che sono una vera prigione, anzi una cantina. Una sola stanza a pian terreno, senza focolare, sicché il fumo invade l’ambiente, con un danno gravissimo del povero inquilino. Non un letto, non un giaciglio qualunque ma una stuoia con sotto un poco di fieno. Vi è chi trasforma nella notte la scuola in camera, dormendo sul banco, ove stende un materasso’.

Questi richiami appaiono oggi anacronistici ma servono anche a comprendere meglio il cammino difficile compiuto dalla scuola primaria italiana, il servizio da essa resa al Paese e i problemi affrontati oggi dai tanti docenti di ogni ordine e grado di scuola, chiamati ad affrontare e a gestire l’emergenza educativa in atto con famiglie frammentate e ricomposte, spesso di fatto indisponibili o incapaci a progettare per i loro figli un’esistenza contraddistinta da un condiviso orizzonte di senso.

La manifestazione che da 24 anni organizza il 31 di gennaio l’Associazione Italiana Maestri Cattolici di Salerno, , anche in onore della ricorrenza liturgica di San Giovanni Bosco, tende a recuperare il valore dell’azione magistrale e la determinante incidenza che la formazione primaria ha sul processo di costruzione dell’identità della persona.

I VERI MOTIVI DEL SILURAMENTO DEL SENATORE ANDRIA

24 gennaio 2013

Salerno, 24 gennaio 2013

Ambrogio IETTO

ANDRIA VITTIMA DELLA SUA SIGNORILITA’

Non sapevo dell’incontro pubblico voluto dal senatore Andria presso il Polo Nautico l’altro giorno. Quindi non ci sono stato ma ho avuto modo di leggere la stampa locale che ha dedicato un ampio spazio al suo intervento e alle motivazioni addotte per la vergognosa sua collocazione nell’area periferica della lista del Partito Democratico per il Senato della Repubblica.

Si individua  la causa essenziale  della voluta estromissione dalla rosa degli eleggibili nell’invasione barbarica dei cosiddetti paracadutati. Questo, a mio avviso,  è soltanto uno dei motivi. Apparentemente è il più evidente ma non il più grave.

Di certo produce disgusto, dal punto di vista della legittimazione democratica, il dato di un segretario nazionale, candidato alla leadership di premier, che si riserva ben 130 posti da assegnare, nel cosiddetto listino, ad altrettanti amici, compagne e compagni degli amici, ex segretarie particolari ed anche qualche amante fedele.

So bene che anche il cavaliere Berlusconi si comporta alla stessa maniera ma almeno non fa mistero né della sua simpatia per il Porcellum né del come utilizza il meccanismo di selezione delle privilegiate e dei raccomandati.

Sembra normale chiedersi del perché Bersani non abbia inserito Alfonso Andria tra i 130 preferiti dopo il siluro da lui ricevuto  durante la farsa delle ‘ primarie’. La risposta è scontata: perché a Salerno era stato siglato il patto De Luca – Bersani di far fuori Andria e Vaccaro. Si osserverà che il secondo è stato recuperato nella lista di Campania I. E’ vero, ma il parlamentare dell’Agro ha potuto contare sull’intervento di Letta che, educato alla scuola dello zio Gianni, ex sottosegretario nei governi Berlusconi alla Presidenza del Consiglio, è in possesso degli attributi caratteriali e logici per far valere la sua voce sul candidato premier.

Andria, invece, ha fatto ricorso al pavido Franceschini, privo come si suole dire di spina dorsale, e, quindi, sponsor inidoneo e debole per sostenere la sua posizione anche presso la speciale commissione di garanzia incaricata di esaminare le documentate riserve espresse sui brogli elettorali compiuti nel corso delle ‘primarie’. In conclusione il PD centrale ha ritenuto di mandare in pensione da parlamentare una delle  persone più attente del  partito di cui è espressione e del territorio di cui è stato rappresentante  sulle più rilevanti  questioni riguardanti lo sviluppo e l’economia del Paese e dell’area salernitana.

Il senatore, però, era stato già vittima, nel corso delle ‘ primarie’, delle determinazioni assunte dal compagno di partito De Luca e imposte da questi all’acritico esecutore Landolfi, segretario provinciale. Per il suo modo di essere e di agire egli non aveva provveduto ad assicurarsi, con un consistente esborso di euro, un considerevole pacchetto di tessere da intestare a suoi fedelissimi elettori della società civile che non hanno mai mancato di assicurargli il suffragio elettorale nel corso delle molte vittoriose competizioni elettorali cui ha preso parte. Ha ritenuto, così, di potersi esporre all’atipica vicenda elettorale, pensando di avere a che fare con la tradizionale area di elettori della cosiddetta società civile, sempre attenta al suo signorile modo di porsi e di impegnarsi.

Il disegno De Luca – Landolfi si è completato con l’inserimento, come candidati, di alcuni referenti territoriali  impegnati nelle zone periferiche della provincia tradizionalmente vicini ad Andria. In questo modo i predetti  sono stati tenuti a far votare se stessi, sottraendo di fatto, come era giusto che fosse,  il sostegno al parlamentare.

Inutile chiedere ad Andria, in conferenza stampa,  se avesse ricevuto una telefonata da parte  dell’onorevole  De Luca e del suo preposto Landolfi.

E’ vero che l’ipocrisia domina anche l’ambiente della politica, ma si sa che il sindaco tra le sue doti personali ha, invece, la franca, netta ed anche aggressiva determinazione. Non ama atteggiamenti sdolcinati e signorili. Ed anche in politica preferisce avversari interni ed esterni duri, determinati ed agguerriti.

CONTINUA LO SHOW DI DON MEROLA, PRETE ANTICAMORRA, CHE AMA PARLARE DI SE’ UTILIZZANDO LA TERZA PERSONA

23 gennaio 2013

Salerno, 23 gennaio 2013

Ambrogio IETTO

Un modo piuttosto chiacchierato di fare il prete

La pubblicazione ufficiale delle liste dei candidati alla Camera dei deputati per la circoscrizione Campania 2, cui è direttamente interessata l’intera provincia di Salerno, e di quelle degli aspiranti senatori  presenti nell’ambito circoscrizionale dell’intero territorio regionale, offre spunto per una serie di considerazioni che riguardano le principali aggregazioni partitiche in lizza e il coro piuttosto nutrito e diffuso delle lamentazioni provenienti, in particolare, dal territorio salernitano.

Al momento non entro nel merito delle stesse anche in considerazione del fatto che non c’è parte politica che non si lamenti dell’uso perverso che i leader nazionali hanno fatto del Porcellum, vituperato al massimo in sede di dibattito politico finalizzato alla ricerca di una nuova norma regolativa della futura vicenda elettorale ma opportunamente utilizzato per riempire le varie caselle secondo un ordine imposto dai responsabili nazionali dei singoli partiti.

L’odierna riflessione riguarda un prete che, pur non rintracciabile in nessuno degli schieramenti in gara, ha puntualmente colto l’occasione per esternare alle agenzie di stampa considerazioni a trecentosessanta gradi sul nostro sistema politico, sulle persone che lo rappresentano e lo animano, sulle ‘ finte primarie’ del partito democratico, sulla gestione amministrativa del capoluogo di regione, sulla magistratura, sui pentiti e, ovviamente, sul caso Cosentino e su Berlusconi.

Il sacerdote si chiama don Luigi Merola e, come si deve ad un personaggio di grido disponibile anche a firmare autografi,  non solo è entrato di diritto in rete nell’enciclopedia libera Wikipedia ma si prende anche il lusso, passando dichiarazioni alle agenzie di stampa e dando interviste a quotidiani nazionali, di parlare di sé in terza persona: ‘ Don Luigi ha una dignità che non si baratta ‘ ( ‘Il fatto quotidiano’ del 18 gennaio scorso ).

Dall’articolata biografia lanciata in rete si legge che il quarantenne presbitero e scrittore italiano è ‘ noto per il suo impegno civico e in particolare modo per la sua opposizione alla camorra’, referenza questa che gli consente da oltre otto anni di andare in giro con la scorta assegnatagli dal Comitato provinciale di Napoli per la sicurezza e costituita da due agenti di polizia definiti , sempre secondo  Wikipedia, da don Luigi Merola  ‘ i miei angeli terreni’.

L’espressione, in verità, corrisponde al vero in quanto ritorna in ogni intervento verbale che il sacerdote compie in occasione dei tanti incontri con gli studenti e presso club ricreativi e culturali. L’unica nota di contrasto  in queste occasioni è data dall’impeccabile clergyman indossato e dalle ricorrenti espressioni verbali proferite in autentico dialetto di Villaricca, suo paese natale.

Per carità, non che il giovane sacerdote non sappia  governare l’armonico idioma italico. Egli, in pratica, da buon attore alla ricerca di facili effetti, è pienamente consapevole che talune espressioni colorite, pronunciate al momento giusto, producono un entusiastico assenso da parte dell’uditorio.

Va precisato, per corretta informazione, che la maestria comunicativa di don Merola è confermata dalla specifica specializzazione da lui acquisita in ‘ Scienze Sociali’ presso l’università telematica privata ‘ Marconi’ di Roma , legalmente riconosciuta.

Dunque don Merola nei giorni scorsi ha ritenuto opportuno informarci che si è recato a Roma mercoledì 9 gennaio scorso ove, a Palazzo Grazioli, sede operativa di Berlusconi, ha avuto un colloquio col Cavaliere in carne ed ossa dalle ore 21.30 alle 22.30. Il lettore potrà pensare che l’incontro avesse come finalità una confessione richiesta dal leader del centrodestra per liberarsi dai peccati di pensiero commessi guardando Ruby e le diverse ragazze dell’Olgiata.

Niente di tutto questo: l’invito partecipato a don Merola riguardava un’ipotetica candidatura per il PDL alle prossime elezioni politiche. Il prete ha ritenuto darne dettagliata informazione alla stampa in considerazione non solo della sua personale posizione di personaggio pubblico ma anche perché le sue intenzioni erano e, forse, rimangono quelle di fondare un proprio partito. Precisa, infatti, ad un giornalista del ‘Corriere del Mezzogiorno’: “ Avrei fatto come il cavallo di Troia. Questa occasione mi sarebbe servita da trampolino”. Sembra di comprendere che se l’intesa col Cavaliere fosse stata raggiunta, successivamente il prete anticamorra avrebbe costituito un partito suo, abbandonando anche Berlusconi.

L’incontro gli è servito, però, per capire che la politica ‘ è una faida’ e che, comunque, egli avrebbe compiuto l’atto di ‘sporcarsi le mani’, dando anche una lezione a Roberto Saviano.

Don Merola sul caso Cosentino ha ‘ rilevato alcune incongruenze dei collaboratori di giustizia’ i quali ‘pensano quello che vogliono. Anche i magistrati che spesso potrebbero approfondire si fermano, senza chiedere tutto’.

Il Merola- pensiero continua e va avanti a briglie sciolte. Al ‘ Fatto Quotidiano’ dichiara che il Porcellum è una delle ragioni del suo rifiuto. Infatti trattasi di ’ una legge che chiama a sé i servi e non gli uomini liberi. Don Luigi ( è sempre lui a parlare solennemente in terza persona ! ) ha detto no perché è meglio morire in piedi che vivere inginocchiati ‘.

Nel suo dire un giudizio positivo è espresso, finalmente, nei riguardi di Ingroia. Meno male.

Il cardinale Sepe ha cercato di mettere a tacere il suo presbitero, dichiarando  che i preti fanno bene a non entrare direttamente in politica. Eppure lo stesso arcivescovo di Napoli, recandosi nel febbraio 2009 a Forcella e parlando ai fedeli dove era stato parroco don Merola, affermò: ‘ Ecco che io ho scelto per voi un sacerdote che non chiacchiera, non fa sceneggiate, non si mette sul palcoscenico, fa vivere la fede, testimonia il Vangelo’.

L’allusione era chiara. Ma don Merola non recepì il messaggio del suo vescovo.

Così  continua a dare spettacolo.

TUTTI SCHIAVI DEL PORCELLUM. ANCHE DE LUCA SI LAMENTA. C’E’ POSTO SOLTANTO PER I POSTI DISPONIBILI NELLE ULTIME FILE

17 gennaio 2013

Salerno, 17 gennaio 2013

Ambrogio IETTO

LACRIME SALERNITANE

Ancora qualche giorno e, quindi, potremo avere il quadro completo dei candidati nei molti schieramenti in gara. Per il momento ascoltiamo e leggiamo, in particolare nell’ambito territoriale di Salerno,  soltanto lamentazioni provenienti, ovviamente, soprattutto da parte di quanti aspiravano ad una collocazione, all’interno della propria lista di riferimento, verosimilmente vincente secondo quanto i diversi sondaggi in atto lasciano presumere.

Il primo e più autorevole personaggio politico della città, vale a dire il sindaco Vincenzo De Luca, ha aperto il nutrito elenco di coloro che, per motivi diretti o indiretti, contestano l’uso perverso del porcellum nella composizione ordinale degli aspiranti senatori e deputati. Così, perfettamente coerente coi suoi cicli umorali, egli se l’è presa con Bersani accanto al quale pure si era reso disponibile a fare da testimonial anche nella metropoli lombarda, sghignazzando sul modo col quale il leader del partito democratico usa portare il sigaro alle labbra.

La protesta del primo cittadino, motivata dall’incursione vandalica di personaggi ignoti alla comunità salernitana e campana, conferma che una legge elettorale diversa dall’attuale non la desiderava né Bersani né Berlusconi.

Anzi il primo, confortato dalle buone notizie che arrivano dai sondaggi, ha gestito ben 130 candidature da listino privilegiato. Avrà, così, altrettanti parlamentari che saranno in dovere di eseguire acriticamente le sue decisioni. De Luca, comunque, ha avuto la soddisfazione di vedere collocati al terzo posto il fedelissimo Fulvio Bonavitacola e all’undicesima postazione Tino Iannuzzi, considerato da lui più duttile e governabile del suo amico Alfonso Andria relegato, invece, al diciottesimo posto nella lista per  il senato.

Il progetto del sindaco, così come avevo anticipato in un precedente intervento, ha avuto nella fase di avvio delle primarie il momento clou, quando ha indebolito la posizione del senatore nelle aree nevralgiche della provincia, collocando in lista, attraverso il suo esecutore acritico Landolfi, dirigenti locali da sempre referenti significativi di Andria che ha avuto, inoltre, come sponsor romano, il pavido Franceschini il quale, nonostante la barba folta recentemente coltivata, è privo dell’autorevolezza necessaria per vincere almeno una mezza battaglia.

Tutto al contrario di Letta che ha dato prova della sua vocazione genetica alla leadership, collocando Vaccaro in posizione sicura nell’altra circoscrizione regionale, pur essendo stato lo stesso non accettato alle primarie dal vicario di De Luca.

Il camerata Cirielli consolida, dal canto suo, lo schieramento dei ‘Fratelli d’Italia’. Da militare severo e da nostalgico di strategie decisioniste ha reclutato tutti i suoi uomini che hanno una collaudata ascendenza sull’elettorato dei territori di appartenenza. Egli probabilmente tende ad assumere la leadership della nuova aggregazione convinto come è che non ci vuole molto per apparire meno sgradevole di un La Russa qualsiasi.

Il PDL naviga a vista, sondando, fino all’ultimo minuto utile, cosa deciderà il Cavaliere  non solo sulla vexata quaestio Cosentino. L’onorevole Carfagna forse solo ora si rende conto del grave errore  commesso, a suo tempo, di non avviare  in loco la costituzione di un gruppo autorevole di esponenti della società civile e della cultura autenticamente interessati all’elaborazione di un progetto  liberale alternativo all’impero deluchiano. Ora, poverina, è chiamata a scegliere tra personaggi presenti nell’agone politico territoriale da oltre un quarto di secolo e, quindi, già segnati da oggettiva improduttività e da fallimenti personali.

Lacrime abbondanti versano quanti sono arrivati alla casa del casinista Casini. Il leader di questo gruppo è, come al solito, Salvatore Gagliano, affetto dalla sindrome di instabilità motoria in fatto di aggregazioni partitiche, una sorta di ala tornante si direbbe in gergo calcistico.

La rinuncia, da parte dell’UDC, alla candidatura blindata di Raimondo  Pasquino costituisce errore gravissimo. Anche il rettore della nostra università può essere destinatario di critiche, più o meno opinabili, ma non riconoscere a lui limpida visione politica dei problemi, capacità progettuali, spiccate doti relazionali ed anche ferma personalità per quanto riguarda le decisioni da assumere, significa ignorare l’entità e la funzionalità del nostro Campus, forse uno dei migliori  operanti in Europa, la cui realizzazione è dovuta per buona parte alle qualità anche manageriali di Pasquino.

A liste definite si aprirà lo spettacolo circense della richiesta di consenso. Esserne spettatori, emotivamente distaccati dalle tensioni dei protagonisti, costituisce, a ben riflettere, una condizione psicologica davvero invidiabile.

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fonire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o clicchi su "Accetta" permetti al loro utilizzo.

Chiudi