Archivio per febbraio, 2013

LA FESTA DELL’AMORE TESTIMONIATA DAL FORTE, UNICO, STRAORDINARIO LEGAME CHE VINCOLA PAPA BENEDETTO XVI ALLA CHIESA

14 febbraio 2013

Salerno, 14 febbraio 2014

Ambrogio IETTO

La forza dell’amore

Giovani e meno giovani celebrano il 14 di febbraio, ricorrenza di san Valentino, la festa dell’amore sotto la prevalente azione invasiva degli spot pubblicitari.

La Chiesa  cattolica, insieme all’ortodossa e all’anglicana, venera il Santo patrono di Terni e lo  colloca nella lunga lista dei martiri.

Il laico sindaco di Salerno Vincenzo De Luca, grazie all’apporto di alcune associazioni, e senza produrre gelosia in san Matteo, protettore della città, ripropone la ‘Piazza dell’Amore’, individuata nella centrale agorà Flavio Gioia. Qui, fino a domenica, si ballerà il tango, la popolare danza argentina da ballare rigidamente a coppia, si ascolteranno canti popolari  ispirati ovviamente dall’amore e si assisterà anche ad un contestuale recupero storico dell’arte del corteggiamento, quell’insieme di comportamenti con cui si esprime il desiderio amoroso per qualcuna.

Di san Valentino si sa con certezza che fu decapitato il 14 febbraio 273 a 97 anni di età per mano di un soldato romano su disposizione dell’imperatore Aureliano. L’agiografia del Santo recupera alcune leggende che lo vedrebbero particolarmente sensibile ad alimentare l’amore tra due giovani o a celebrare matrimoni avversati dai genitori di uno dei due contraenti.

Al di là delle più o meno attendibili motivazioni che giustificano l’identificazione della giornata del 14 febbraio con la festa degli innamorati  è particolarmente significativo che ci sia un giorno dell’anno dedicato a questo sentimento intenso, assiduo, tenero, fortemente radicato in chi l’avverte e lo vive.

Sembra giusto, però, estendere questa particolare dinamica emotivo- affettiva anche al rapporto  forte che lega due persone da non inserire nella catalogazione dei comunemente detti amanti ed innamorati. Alludo all’amore madre – figlio, al legame particolare nonni – nipoti, all’intesa radicata, forte ed autentica tra fratelli.

Ma c’è anche un amore unico che vincola una persona all’istituzione che ha servito per l’intera sua esistenza.

Non sembra forzoso né dissacrante, quindi, l’accostamento all’amore davvero unico  che sta manifestando tuttora papa Benedetto XVI verso la Chiesa.

L’invito suo a riflettere su come il volto della Chiesa  ‘ venga a volte deturpato da colpe contro l’unità e da divisioni del corpo ecclesiale’ e su come si debbano superare ‘ individualismi e rivalità’ testimonia, oltre ogni limite, quanto sia forte e sofferto il legame che lo vincola ad un’istituzione bimillenaria, segnata ora dall’evento davvero straordinario ma di alta valenza pedagogica delle sue dimissioni.

Quel ‘ Mercoledì delle Ceneri’ in Vaticano registra, infatti, la più alta testimonianza umana della forza dell’Amore.

L’ANNUNCIO DI PAPA BENEDETTO XVI SULLE SUE DIMISSIONI: UNA DECISIONE MAI ASSUNTA DA UN PONTEFICE NEGLI ULTIMI SETTECENTO ANNI

11 febbraio 2013

Salerno, 11 febbraio 2013

Ambrogio IETTO

Un esempio da imitare per quanti amano il potere

Un annuncio davvero shock quello proferito questa mattina da papa Benedetto XVI durante il Concistoro per la canonizzazione dei martiri di Otranto. La storia della Chiesa richiama pochissimi precedenti di pontefici dimissionari. Si ricordano san Ponziano ( 230 – 235 ), Benedetto IX ( 1032-1045 ), Pietro da Morrone (Celestino V – 1294 ) e Gregorio XII ( 1406 – 1415 ). Su Giovanni XVIII ( 1009 ) si esprimono forti dubbi sulle sue dimissioni  anche perché in quell’epoca erano i capi delle fazioni nobiliari di Roma che si arrogavano il diritto di imporre ai romani e al clero il nominativo del papa da eleggersi. Anche su Benedetto IX, figlio di Alberico, capo della fazione dei Tuscolo, diversi storici manifestano molte riserve sulla sua condotta. Egli, infatti, detronizzato e poi reintegrato, avrebbe ceduto la tiara, copricapo papale usato un tempo nelle occasioni ufficiali, per denaro ad un arciprete suo padrino di battesimo.

Di particolare rilievo anche letterario la figura di papa Celestino V dichiarato santo nel 1313 e destinatario di critica severa da parte  di Dante nella terza cantica dell’Inferno: “ Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto, vidi e conobbi l’ombra di colui che fece per viltate il gran rifiuto”.

A dargli un segnale di particolare attenzione fu proprio il pontefice dimissionario Ratzinger che, all’indomani del disastroso terremoto de L’Aquila,  si recò il 28 aprile 2009 presso la basilica di Santa Maria di Collemaggio,  ove sono conservate le reliquie di  Celestino V, e pose, sulla teca di cristallo che funge da urna cineraria, il suo pallio, la stola circolare di lana bianca, lunga e stretta, che portava al collo.

La ‘decisione di grande importanza per la vita della Chiesa ‘, puntualmente espressa in latino da Papa Benedetto XVI ( ‘ Conscientia mea iterum atque iterum coram Deo explorata ad cognitionem certa ‘ ), è stata partecipata durante il Concistoro per la canonizzazione dei martiri di Otranto. Personalmente sono convinto che papa Ratzinger, da autorevole teologo qual è, abbia valutato attentamente a chi e quando dovesse essere dato l’annuncio delle sue dimissioni che, senza lanciare ombra di dubbio, sono effettivamente determinate dalla piena consapevolezza di vivere  in un mondo ‘ soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede’ ( ‘ in mundo nostri temporis rapidis mutationibus subiecto et quaestionibus magni ponderis pro vita fidei perturbato’ ) e dalla presa d’atto di non essere più portatore del necessario vigore del corpo  e dell’animo per ‘ governare la barca di san Pietro e annunciare il vangelo’ ( ‘ ad navem Sancti Petri gubernandam et ad annuntiandum Evangelium’).

Destinataria dell’annuncio è stata, infatti,  l’Assemblea dei cardinali prevalentemente costituita dai 117 alti prelati che, non avendo compiuto ancora ottant’anni, entreranno in conclave per eleggere il successore di Benedetto XVI. Ma il Concistoro di oggi aveva all’ordine del giorno la canonizzazione dei martiri di Otranto, una delle attribuzioni specifiche dell’organo collegiale cardinalizio.

Vale la pena, quindi, di ipotizzare che anche l’ufficiale pronunciamento sulla santificazione degli 800 abitanti della cittadina di Otranto, tutti maschi di età superiore ai 15 anni, abbia un suo significato rilevabile dal rapido richiamo di cosa avvenne nel lontano 14 agosto 1480 nella suggestiva cittadina in provincia di Lecce situata, quale comune più ad oriente d’Italia, sulla costa adriatica lungo la penisola salentina.

Qui, alla vigilia di ferragosto dell’anno richiamato, la flotta turca, agli ordini di Gedik Ahmed Pasha, commise l’eccidio di Antonio Primaldo e degli altri compagni martiri per aver rifiutato la conversione all’islam dopo la caduta della loro città.

Mentre gli uomini più grandi d’età furono massacrati le donne e i bambini furono ridotti in schiavitù.

La canonizzazione dei martiri di Otranto avverrà il 12 maggio 2013. Non sembra arbitraria forzatura  ipotizzare che Benedetto XVI abbia voluto simbolicamente far percepire la particolare sua sofferenza nel considerare il processo di islamizzazione in atto anche in Europa come uno dei problemi più delicati e difficili da gestire anche da parte della Chiesa cattolica.

Non è nemmeno da escludere che il suo ritirarsi in meditazione e l’affidamento esplicitamente pronunciato della ‘ Santa Chiesa alla cura del suo Sommo Pastore, Nostro Signore Gesù Cristo’ vogliano costituire una sofferta ma ferma raccomandazione ai cardinali elettori di fruire pienamente dell’assistenza dello Spirito Santo, bandendo logiche di natura geopolitica nella scelta del suo successore e valutando esclusivamente l’autorevolezza spirituale e l’ autentico bene verso la Chiesa del prossimo successore di Pietro.

Due altre considerazioni sulla valenza pedagogica dell’atto compiuto da papa Ratzinger: la presa di coscienza di non possedere più il vigore fisico e spirituale per reggere adeguatamente alle responsabilità proprie richieste ad un pontefice in un tempo in cui una società ‘ liquida ‘ e sempre più priva di richiami valoriali forti impone un approccio da pensiero complesso ai problemi dell’esistenza umana. Trattasi di un monito, anche per quanti come me  che presumono di  poter ancora interpretare, con la giusta ottica, radicali trasformazioni di prevalente taglio antropologico che investono i comportamenti dei singoli e della stessa odierna comunità.

Ed ancora, una severa testimonianza a quanti perseverano nel mantenere e nel ricercare tuttora incarichi di potere presso le istituzioni pubbliche e le mille e più aggregazioni che fanno parte integrante del sottobosco correntizio. Insomma un avvertimento ai tanti che persistono nel cogliere, in questi giorni di vigilia elettorale, la favorevole opportunità per conservare la medaglietta parlamentare o, in prospettiva, un incarico di sottogoverno.

Papa Ratzinger col suo annuncio ha voluto ricordare a tutti che esiste anche l’istituto delle dimissioni. La sua, pertanto, non è una scelta solo di grande valore storico.

E’ anche una delicata rampogna a quanti soffrono da decenni della sindrome della poltrona a tutti i costi.

DOVE SONO I COMIZI DI UN TEMPO ? LA PIAZZA HA UN SOLO PROTAGONISTA NEL COMICO BEPPE GRILLO. FORSE LA POLITICA SI E’ RIDOTTA IN UN’INFINITA BARZELLETTA CHE, PURTROPPO, NON FA NEMMENO RIDERE!

7 febbraio 2013

Salerno, 7 febbraio 2013

Ambrogio IETTO

C’ERANO UNA VOLTA LE ELEZIONI

Ma è mai possibile che debba emergere tra la gente della mia età un sentimento profondo di nostalgia per le campagne elettorali cui si partecipava da curiosi spettatori a partire dal primo, grande evento di questo genere, rappresentato dall’ indizione delle prime elezioni generali per la designazione dei membri dell’Assemblea Costituente e per la scelta di fondo da esprimere tramite referendum per la conferma dell’istituto monarchico o per l’ipotetico  ‘ salto ‘ nell’incertezza della repubblica?

Avevo appena compiuto dieci anni in quel di Bellizzi quando ci si preparava alla storica consultazione del 2 giugno 1946. Il nostro Sud, romantico e sognatore, era apertamente schierato per la monarchia. Il re Vittorio Emanuele III, che era stato di casa da noi, insieme alla bella e pia regina Elena di Montenegro, presso Villa Guariglia in quel di Vietri sul Mare durante il governo Badoglio, il 10 maggio 1945 aveva abdicato in favore del figlio Umberto II, chiedendo ospitalità al re d’Egitto.

Anche nel piccolo borgo rurale della Piana del Sele si tennero comizi soprattutto da parte di importanti personaggi dell’avvocatura salernitana come Mario Jannelli, già sottosegretario di Stato nel periodo fascista, e il grande eccentrico Mario Parrilli, congiunto del già ministro dell’istruzione Giovanni Cuomo.

Per contadini, operai e coltivatori della zona i comizi in piazza, molto spesso affrontati dal relatore di turno alla stessa altezza degli ascoltatori e senza microfono, costituirono, più che un evento – spettacolo, un’occasione preziosa per comprendere meglio, pur nella parzialità dei contributi offerti dai rappresentanti delle diverse fazioni in campo, la situazione drammatica del Paese impegnato nella difficile stagione della ricostruzione dopo il disastroso epilogo del secondo conflitto mondiale.

Sia pure timidamente, in piazza si affacciavano anche delle donne ammesse per la prima volta nella storia d’Italia a partecipare con l’elettorato attivo e passivo ad una consultazione elettorale.

La monarchia uscì battuta secondo i contestatissimi risultati, ma nella delicatissima consultazione politica del 1948 tentò di rivitalizzarsi soprattutto perché comunisti e socialisti si coalizzarono nella lista unica del Fronte democratico popolare.

Da Battipaglia ogni sera partiva un’autocolonna di auto ‘ balilla’ con un chiassoso altoparlante che trasmetteva un motivo popolare napoletano dal titolo ‘ Torna’. I versi originali erano stati sostituiti e il cantante supplente di turno scandiva: “ Torna, torna, casa Reale e ‘O Rre”. La Democrazia Cristiana chiedeva il necessario aiuto ai Comitati Civici di Luigi Gedda mentre lungo le nostre strade si riproponevano processioni dell’effige della Madonna e di Santi venerati  al fine di alimentare tra i cattolici il dovere di votare contro il massimalismo comunista.

In città Piazza Portanova si riempiva ad ogni arrivo di big nazionali. Un’attenzione particolare veniva manifestata nei riguardi del concittadino ‘Fonzo ‘a patana’ candidatosi per il movimento indipendentistico siciliano ‘ Trinachia’.

Poi vennero le grandi adunate di Piazza Amendola e di Piazza della Concordia con Giorgio Almirante inimitabile trascinatore di grandi folle.

Ora, a causa di internet e delle mille reti  televisive, tutto è finito. Arrivano in città i grandi nomi e si fa fatica a riempire una sala come l’Augusteo. E’ vero, è colpa anche del Porcellum e della mancata competizione tra i tanti candidati in gara per la conquista dell’agognata preferenza personale.

Il miracolo della piazza gremita è riproposto soltanto dal comico Beppe Grillo come a conferma che  la politica odierna si è trasformata proprio in una barzelletta non sempre generatrice di una risata rasserenante.

L’OSPEDALE ‘ SAN GIOVANNI DI DIO E RUGGI D’ARAGONA ‘ DI SALERNO FINALMENTE E’ ” AZIENDA UNIVERSITARIA OSPEDALIERA ” SCUOLA MEDICA SALERNITANA “

2 febbraio 2013

Salerno, 2 febbraio 2013

Ambrogio IETTO

MEDICINA SALERNO : UN TRAGUARDO SOFFERTO

La notizia che arriva da Palazzo Chigi è quella attesa da tempo , messa in discussione da tensioni emerse tra istituzioni compartecipi del problema, da polemiche strumentali attivate da gruppi partitici contrari, da molto opinabili posizioni assunte all’interno della variegata comunità medico – ospedaliera e da deliberate resistenze provenienti da ambienti accademici di settore operanti nel capoluogo di regione.

Per lunghi mesi il cittadino attento alle dinamiche socio – culturali che si attivano nell’ordinaria realtà quotidiana non è riuscito a comprendere l’esatta natura della contesa e dei contrasti prodotti da ‘ protocolli d’intesa’ regolarmente siglati ma giudicati non validi o redatti in modo imperfetto oppure non considerati rispondenti al linguaggio dei vertici burocratici della regione e dei ministeri coinvolti, indisponibili o strumentalmente incapaci di utilizzare un glossario tecnico – giuridico condiviso.

Finalmente cosa fatta, capo ha. Il comunemente denominato ospedale ‘ San Leonardo’, frazione del comune capoluogo ove la struttura è insediata, da ieri  è ‘Azienda Ospedaliera Universitaria San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona – Scuola Medica Salernitana’ nel rispetto di quanto previsto dal Dlgs n. 517  del 21 dicembre 1999 che disciplina i rapporti tra Università e Servizio Nazionale Sanitario.

Storia, Cultura, Munificenza di antiche famiglie si saldano in un provvedimento politico – burocratico che riconosce all’Università di Salerno e alle comunità istituzionali,  che con essa hanno collaborato meritoriamente, la dignità di una vera, propria  Facoltà di Medicina. Richiamare le difficoltà che uomini politici, istituzioni, gente di cultura hanno dovuto superare per raggiungere il traguardo siglato ieri è atto doveroso anche se affrontarlo in sede giornalistica impone essenzialità di riferimenti e di linguaggio.

Il mio pensiero va, così, al preside – avvocato Giovanni Cuomo al quale è giusto riconoscere l’originario merito di avere redatto e fatto approvare dal governo Badoglio insediatosi a Salerno il Regio Decreto n. 149 del 9 marzo 1944, concernente l’istituzione   del Magistero cui va collegata l’odierna nostra Università. Quella del neo ministro salernitano fu impresa non facile a causa dell’esplicita opposizione delle autorità accademiche napoletane.

Infatti il suo successore Adolfo Omodeo, rettore in carica dell’Università di Napoli, non appena insediatosi come ministro dell’istruzione nel successivo Gabinetto Badoglio, tentò di abrogare  il decreto voluto da Cuomo. Per fortuna Omodeo fu solo per qualche mese ministro dell’istruzione. Il suo successore, l’esimio filosofo Guido De Ruggiero, non diede corso alla legittimazione di quel provvedimento giudicato punitivo per Salerno e frutto soltanto della consolidata avversità di una parte del mondo accademico napoletano.

Il mio maestro Roberto Mazzetti, uno dei più autorevoli pedagogisti del ventesimo secolo, nella qualità di direttore del Magistero fu al centro di un’intera seduta della Camera dei Deputati, svoltasi il 7 dicembre 1960, per la ferma, provocatoria, lucida decisione da lui assunta di ammettere allieve di sesso femminile al Magistero salernitano che, per deliberata azione di contrasto delle autorità dell’Istituto partenopeo ‘ Suor Orsola Benincasa’, poteva essere frequentato soltanto da maschi.

Il decreto col quale il Ministro Moratti legittimò il 27 ottobre 2005 l’istituzione della Facoltà di Medicina rappresentò la conclusione felice di una volontà unanime espressa da tutte le istituzioni locali ( Comune, Provincia e Regione ), rette all’epoca da esponenti del centrosinistra, e da una deputazione parlamentare trasversale con alla testa senatori e deputati salernitani del centrodestra.

Il resto è storia recente e non è il caso di riprenderla in considerazione del risultato finalmente raggiunto. Il merito principale va attribuito a Raimondo Pasquino, determinato, sempre lucido nei passaggi procedurali ma anche disponibile ad accettare e a mediare posizioni istituzionali incomprensibili pur di raggiungere l’obiettivo.

Accanto al rettore sembra corretto accomunare in sentimenti di gratitudine  Bruno Ravera, presidente dell’Ordine dei Medici ed equilibrato cucitore di comportamenti fortemente segnati da prevalenti posizioni personali, e Tino Iannuzzi  che sulla questione ha svolto un prezioso ruolo di osservatore – verificatore di quanto avveniva tra le carte degli alti funzionari di ben tre ministeri  ( Istruzione – Università, Economia , Salute ) e di palazzo Chigi dove ieri, con la firma apposta dal presidente del Consiglio Monti, si è conclusa la lunga querelle.

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