Archivio per marzo, 2013

SALERNO: CITTA’ CARENTE DI AUTENTICA DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA

28 marzo 2013

Salerno, 28 marzo 2013

Ambrogio IETTO

GLI INTELLETTUALI E LA CITTA’

Giorni fa il ‘Corriere del Mezzogiorno’, nel porsi responsabilmente il problema di una città che,  di tanto in tanto, diventa purtroppo  teatro di episodi di inaudita violenza, quale il recente accoltellamento dei fidanzati di ragazze precedentemente importunate, ha chiesto all’antropologo Paolo Apolito le ragioni di fondo che possono aiutare  a comprendere una situazione diventata piuttosto seria che annulla o attutisce di molto l’immagine di una città decantata come sicura, per niente aggressiva, luogo prescelto per un’esperienza di aggregazione giovanile che avrebbe dovuto esprimere almeno la brutta copia di quel fermento culturale ed artistico che consentì alla Spagna postfranchista di coniare il termine anche da noi abusato di ‘ movida’.

La risposta del docente universitario è andata ben oltre le attese considerazioni di una gioventù priva di orizzonte di senso, abbandonata a se stessa e stimolata in modo invasivo dalla subcultura di un edonismo dissennato e, quindi, di una spinta consumistica  che stravolge ogni limite. Apolito ha allungato il bisturi verso ‘ una città in cui mancano i cittadini e manca uno spirito civico in cui ci si senta protagonisti’, di una città che difetta anche della necessaria tensione morale indispensabile per ‘ darsi scadenze e costruire un progetto insieme’. E ancora: ‘ In questa città c’è una sorta di delega in bianco. Basta che noi campiamo tranquilli, ci pensa a tutto ‘lui’ che comunque fa il suo mestiere’.

Il pensiero  dell’antropologo, ovviamente, merita oltre il rispetto dovuto ad un intellettuale attento e puntuale studioso del modo di pensare e di affrontare la realtà da parte delle comunità e dei gruppi sociali, anche qualche considerazione scevra da schematismi di natura teorica  identificabili magari nell’auspicato recupero dello ‘spirito degli antichi comuni del tardo medioevo’.

Salerno, infatti, è un’aggregazione comunitaria costituitasi, in particolare dal punto di vista demografico, soprattutto all’indomani del ritardato dopoguerra e degli anni del cosiddetto boom economico. Decine di migliaia di famiglie sono approdate all’interno della cintura urbana per fruire di migliori condizioni di vita e, in particolare, per offrire ai propri figli opportunità di studio che la precaria rete scolastica periferica di quei tempi con garantiva. Il dato più significativo è offerto proprio dalla consistente comunità lucana, di cui il ‘ lui ‘ De Luca è espressione, e che rimane ancora oggi impegnata a tenere viva l’identità etnica e storica della propria terra d’origine con encomiabili iniziative di promozione culturale di quel territorio.

Se si dovesse procedere ad una ricognizione attenta e documentata dei salernitani doc probabilmente non si andrebbe oltre la quindicesima parte dell’attuale popolazione insediata in città. E’ un fattore questo  da non trascurare nel momento in cui si tende a rilevare la diffusa tendenza a concludere che a tutto pensa ‘lui’, cioè l’onorevole De Luca, sindaco della città, al quale va dato il merito di aver attentamente analizzato, anche dal punto di vista antropologico, la natura e la qualità della comunità da amministrare. Di conseguenza, determinato e severo nel suo portamento caratteriale, ha affermato in centinaia di occasioni di essere ispirato dalla mission di accompagnare la città e i suoi abitanti a diventare  comunità di cittadini liberi, responsabilmente compartecipi del sogno di rendere Salerno modello espressivo della cultura europea e mediterranea.

Per perseguire questo disegno che, probabilmente, ha anche una relativa autenticità di fondo, egli ha messo su un apparato di potere, fonte primaria del consenso elettorale ricevuto finora, ma ciecamente subordinato alla sua esclusiva volontà.

A doversi far carico del problema di tentare di modificare questa molto opinabile idea di falsa democrazia avrebbe dovuto pensarci soprattutto la cultura. Purtroppo il sistema scolastico del ciclo secondario di studi è rimasto imbrigliato tra prioritari condizionamenti di natura strutturale e da diffusi comportamenti contraddistinti dall’opportunità di lasciar correre.

Avrebbe potuto e dovuto farlo in modo efficace ed efficiente il mondo dell’accademia ufficiale con un’università dotata di oltre mille docenti di cui la metà appartenente all’area umanistico – giuridico – economica e residente, prevalentemente,  in città o nel più prossimo hinterland della valle dell’Irno. Questa realtà, pur vivace sul versante dell’elaborazione scientifica, ha preferito ignorare il problema anche rinunciando al tentativo di offrire, all’interno delle mura della ‘ hippocratica civitas’, del cui logo pur si fregia dichiarandosi ‘ studium salerni’, opportunità di promozione culturale e di crescita civile.

Degli stessi esiti dell’apporto scientifico del professore Apolito, destinatario delle delibere di giunta n. 893 dell’otto settembre 2006 che lo rende affidatario di ‘ incarico di collaborazione esterna’, n. 986 del 19 settembre 2008 che gli consente la gestione di 169.400 euro di risorse, di cui 118.685 sostenute dall’A.N.C.I. per l’iniziativa ‘ Salerno in vita’, n.1144 del 31 ottobre 2008 che gli rinnova il contratto di collaborazione esterna per altri due anni, eventualmente rinnovabili, con un compenso annuo lordo di euro 20.000, insomma dei dovuti risultati di questo impegno non si trova traccia nella rete informatica ove pur è stato possibile  reperire gli atti amministrativi sopra menzionati.

L’invocato spirito degli antichi comuni del tardo medioevo va alimentato, in prevalenza e ad avviso di chi scrive, da quella intellighenzia, rappresentata in prevalenza dagli operatori della cultura e delle libere professioni, che per sufficiente, essenziale autonomia economica e per connaturale vocazione culturale, dovrebbe essere portatrice di libertà di pensiero, di gratuito impegno civile e, soprattutto, di forte senso di cittadinanza attiva.

IN UN MOMENTO STORICO – CULTURALE IN CUI C’E’ IL RISCHIO DI CANTARE IL ‘ REQUIEM’ PER LA SCUOLA UNA QUERELLE CHE CONFERMA LA VETUSTA’ DELL’AMMINISTRAZIONE SCOLASTICA

23 marzo 2013

Salerno, 23 Marzo 2013

Ambrogio IETTO

GENOVESI – DA VINCI ACCOPPIATA VINCENTE

Dopo 47 anni di pieno, attivo  coinvolgimento all’interno del sistema scolastico e ancora affetto dal ‘ mal di scuola’ dal quale, ahimè, non riesco proprio a guarire, resto davvero stupito da questa querelle che sembra si sia aperta tra la comunità scolastica del liceo scientifico ‘ Da Vinci ‘ e, ritengo, un apparato burocratico di un’amministrazione scolastica ottusa ed autoreferenziale che fa fatica a recepire una richiesta ovvia, limpida, ampiamente condivisibile di salvare non solo il  nome del liceo scientifico  ma anche una tradizione maturata e consolidata negli anni.

Si sa che una serie di disposizioni legislative, dettate primariamente dall’esigenza di contenere la spesa pubblica, ha sollecitato gli enti locali a procedere finalmente ad una revisione della rete scolastica nel rispetto di parametri numerici più alti in rapporto al passato.

L’Amministrazione provinciale di Salerno e, successivamente, la Giunta Regionale hanno ritenuto opportuno procedere alla fusione dell’istituto tecnico ‘ Genovesi’ con il liceo scientifico ‘ Da Vinci’.  Sembra di capire che il buonsenso del dirigente scolastico e degli organi collegiali di questa seconda istituzione scolastica non contesti il provvedimento assunto dalla giunta regionale ma manifesti avversità ad una decisione unilaterale, assunta, credo, dalla Direzione Regionale Scolastica della Campania, di assegnare un nuovo codice informatico all’istituzione ‘ nascente ‘, recuperando solo la denominazione ‘ Genovesi ‘ e non anche quella di ‘ Da Vinci’.

L’indisponibilità dichiarata a procedere all’abbinamento delle due denominazioni costituisce una conferma ulteriore che forse dà ragione all’attento e competente osservatore elvetico di lingua italiana Norberto Bottani,  autore di  un recente libro dall’emblematico titolo ‘ Requiem per la scuola?’ ( Il Mulino, 2013 ).

La fusione delle due istituzioni, dunque, era necessaria e viene ampiamente condivisa. Essa, tra gli altri motivi, mette fine a rapporti abbastanza tesi tra le due scuole le cui strutture edilizie, molto contigue, venivano in parte utilizzate da entrambe.

Lo stesso dirigente scolastico del liceo scientifico ‘ Da Vinci’ risulta al momento reggente del ‘ Genovesi ‘. Allora, quale può essere il motivo dell’indisponibilità a conservare anche la denominazione ‘ Da Vinci’. Non mi risulta che ci sia una norma che vieti ad un’istituzione scolastica di essere dedicata a due personaggi. Qui a Salerno, tanto per offrire dei riferimenti,  funzionano due istituzioni non facenti parte della realtà scolastica, portatrici di un’accoppiata di nomi.

La neo – azienda sanitaria universitaria, infatti,  riporta i nomi di due antichi luoghi di accoglienza e di cura: San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona mentre, altro esempio, la parrocchia dei Padri Salesiani è dedicata a Maria Santissima del Carmine e a San Giovanni Bosco secondo la volontà del benefattore che aveva donato il terreno ove sorgono le opere salesiane.

L’abbinamento, poi, del nostro autorevole conterraneo Antonio Genovesi col grande Leonardo Da Vinci non sembra selvaggio dal punto di vista culturale e scientifico: il secondo, come si sa, fu insigne pittore, scienziato e filosofo. Il suo disdegno per le verbosità logico – dialettiche, il richiamo all’esperienza, le proposizioni asserenti la necessità della matematica ( ‘ nessuna certezza è dove non si può applicare una delle scienze matematiche, ovver che non sono unite con esse matematiche’ ) non sono poi  posizioni culturali tanto lontani dal filosofo, economista e pedagogista nostrano che sottolineava come educazione e cultura sostengono un  ruolo fondamentale nello sviluppo umano e sociale.

Egli, in contrasto con Rousseau, difendeva il principio assertore della necessità di impartire a fanciulli ed adolescenti una buona educazione sia familiare sia statale al fine di formare uomini in grado di contribuire al progresso sociale.

Infine: le nuove ‘ Indicazioni per i licei ‘ e le nuove ‘ Linee Guida’ per gli istituti tecnici, unificando i due attuali collegi dei docenti  in uno, offriranno la possibilità, anche grazie all’intelligente mediazione culturale e didattica del dirigente scolastico, di intraprendere e sperimentare curricoli unitari di base  che vedranno pienamente soddisfatti dall’al di là sia il creativo Da Vinci sia l’illustre nostro economista, autorevole esponente, insieme al Filangieri e al Galiani, del gruppo illuminista napoletano.

IERI ” GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA FELICITA’ “, OGGI AVVIO UFFICIALE DELLA PRIMAVERA: DUE EVENTI CHE POSSONO STARE INSIEME

21 marzo 2013

Salerno, 21 Marzo 2013 – Primo giorno di Primavera

Ambrogio IETTO

La felicità e la primavera

Non sono dotato di virtù divinatoria. Quindi mentre scrivo questo ‘ pezzo’ non so esattamente cosa si registri climaticamente stamani all’alba. Ho cercato, però, di informarmi ed ho cliccato su ‘MeteoLive’ che scandisce in termini lapidari: ‘ giovedì 21 marzo 2013 con ultime piogge sui settori più orientali e al sud, bello altrove’.

Se oggi proprio non piove, di certo il cielo non è quello desiderato per il giorno che, per noi incastonati geograficamente nell’emisfero boreale, dà ufficialmente avvio alla primavera.

Ma noi siamo al sud d’Italia e, in compagnia del nostro grande corregionale Salvatore Di Giacomo, ricordiamo bene quei versi che la brava e zelante maestra delle elementari inserì in quella che, secondo  l’odierno linguaggio tecnico, avrebbe dovuto chiamarsi  programmazione curricolare: ‘ Marzo: nu poco chiove e n’ato ppoco stracqua: torna a chiovere, schiove, ride ‘o sole cu ll’acqua. Mo nu cielo celeste, mo n’aria cupa e nera: mo d’ ‘o vierno ‘e tempeste, mo n’aria ‘e primavera ‘.

Diciamo la verità: il tempo è stato sempre un po’ pazzerello.

Allora salutiamo con gioia l’ avvio ufficiale della primavera  che segue immediatamente il 20 di marzo che le Nazioni Unite hanno codificato come ‘ Giornata Internazionale della felicità’. E’ il primo anno che si celebra questo evento e molti di noi non se ne sono resi conto perché la giornata di ieri è trascorsa nella cosiddetta normalità: mancavano le luci d’artista, per le strade non sono sfilate bande musicali né si sono visti in giro clown giocherellare coi nostri bambini.

Anzi il sindaco De Luca ha solennemente affermato, nell’austero Salone dei Marmi, che la cassa comunale non dispone di un solo euro e che è necessario svendere  piazza Mazzini con tutto il centro storico per tenere in piedi i carrozzoni delle aziende municipalizzate.

A Roma il suo compagno di merenda Bersani insiste nel corteggiare Grillo e i suoi ragazzi, facendo comprendere innanzitutto a D’Alema e all’universo intero che o sarà lui a ricoprire il ruolo di premier o sarà la dissoluzione dell’Italia.

A ben pensare non è forse proprio la normalità ad indossare la casacca della felicità ?  Francois-René de Chateaubriand, lo scrittore, letterato e politico francese, scriveva che ‘ la vera felicità costa poco; se è cara, non è di buona qualità’.

La testimonianza di questo novello pontefice che identifica il potere col servizio verso i poveri e i deboli e che ci sollecita a ‘ non aver paura della bontà e della tenerezza’ può concedere e garantire la dimensione della felicità agli atti migliori della nostra quotidianità: la disponibilità all’ascolto verso chi ci ritiene degni della sua confidenza, un’attenzione, se possibile anche materiale, nei riguardi di coloro che hanno bisogno del nostro aiuto, il nostro braccio offerto a chi ha difficoltà a deambulare o ad attraversare la strada, un sorriso autentico alle persone che incontriamo, delle parole di comprensione e di sostegno a chi ci partecipa le sue sofferenze, l’ennesima manifestazione di tenerezza al bimbo particolarmente vivace, il continuare a rispondere a telefono a chi confonde la nostra persona con lo psicoanalista.

Sono atti semplici, comuni ma che subito dopo ci fanno star meglio e ci spingono a considerarci se non proprio felici almeno più fortunati nei confronti del nostro prossimo.

Lo stesso avvio della primavera, al di là della pioggerella di marzo, è motivo di speranza e la speranza può costituire l’anticamera della felicità possibile. Congiungiamo, quindi, la ‘giornata della felicità internazionale’ con la primavera. E’ di buon augurio.

ALFONSO ANDRIA, POLITICO SERIO ED AFFIDABILE, LASCIA IL SENATO DELLA REPUBBLICA, PER VOLERE DEL DUO DE LUCA – BERSANI

19 marzo 2013

Salerno, 19 marzo 2013

Ambrogio IETTO

Le sommerse strategie all’interno del Partito Democratico

Ho piena consapevolezza che questo mio intervento non piacerà all’amico Alfonso Andria, abituato alla pratica del self – control che, per mia fortuna, riconosco di non possedere. Sono, però,  portatore del medesimo numero di anni di Papa Francesco che  proprio oggi prenderà ufficiale possesso del trono di Pietro alla presenza diretta di un milione di pellegrini giunti a Roma da tutti i continenti e di oltre 130 delegazioni ufficiali a cominciare dalla presidente del suo paese signora Cristina Fernandez de Kirchner ospitata ieri, a pranzo, nella residenza pontificia.

Ebbene Papa Francesco, parlando l’altro giorno ai giornalisti, ha richiamato l’apporto che i suoi coetanei e, in genere,  tutti gli anziani possono offrire alle più giovani generazioni: la sapienza. Confortato da questa legittimazione che viene da un prete semplice, ricco di umanità e di saggezza, con uno smisurato  atto di autostima mi approprio della libertà di ribadire alcune considerazioni già anticipate all’indomani del programmato allontanamento di Andria dal senato della Repubblica.

Le esprimo anche con amarezza in quanto l’altro giorno, in occasione dell’insediamento dei nuovi inquilini di palazzo Madama, ho davvero sofferto per la forzosa assenza dell’amico Alfonso. Ho letto anche le dichiarazioni che il senatore uscente ha rilasciato a ‘ ROMACronaca di Salerno ‘ giovedì 28 febbraio. Ovviamente condivido solo quelle che fanno riferimento all’insuccesso del PD su scala nazionale e locale. Per il resto ancora una volta considero l’ex presidente dell’amministrazione provinciale affetto da galantomismo eccessivo, dalla sindrome di una veterosignorilità da decenni estinta in quanti decidono di fare politica più o meno di professione.

Andria, per una volta in più, non ha avuto la determinazione di dichiarare pubblicamente che a cacciarlo da Palazzo Madama è stato il sindaco di Salerno onorevole Vincenzo De Luca che non ha mai assunto nei suoi confronti, anche in occasione di manifestazioni ufficiali,   espressioni facciali che autorizzassero l’osservatore occasionale a considerare l’incontro gradito e desiderato.

Anzi, al contrario, non è stato difficile cogliere in più di una circostanza chiare manifestazioni di insofferenza verso il collega di partito, confortate da inconfondibile movimento labiale.

La candidatura e lo spareggio tra i due, alle penultime consultazioni elettorali per la conquista della guida  della città capoluogo, furono solo un’occasione in più  per acuire l’avversità del collaudato uomo di fiducia di Botteghe Oscure nei confronti del pivello democristiano di un tempo, cresciuto all’ombra del compianto Roberto Virtuoso e di troppe sagrestie cittadine, approdato nientedimeno al ruolo di primo inquilino di Palazzo Sant’Agostino e sbarcato poi, insieme alla flaccida squadra della Margherita, all’interno del maniero locale contraddistinto dal più becero feudalismo, rigidamente rappresentato da un feudatario unico ed una serie di fedelissimi ed ossequiosi vassalli e valvassori.

Il patto De Luca – Bersani, oltre a prevedere per il sindaco una temporanea collocazione ministeriale per un successivo rilancio ad aspirante governatore della Campania,obiettivi che oggi si allontanano sempre più, presupponeva anche la radiazione di fatto dall’assise parlamentare di Andria e Vaccaro.

Le primarie, per il primo, costituirono la prima fase dell’operazione ‘ridimensionamento’; per Vaccaro rappresentarono, invece, il gradito incidente di percorso per ricorrere alla protezione del vice – segretario del PD Enrico Letta ed essere inserito tra i 130 parlamentari rientranti nel pacchetto Bersani.

Il probabile tutor di Andria, l’inetto Franceschini, aveva avuto già da Letta l’assicurazione di fare il presidente della Camera dei deputati, sogno, come si sa, svanito in un espace d’un matin.

Come avrebbe potuto proteggere validamente Andria se non è stato in grado di sostenere fermamente se stesso ? D’altro canto Bersani, impegnatosi con De Luca a far fuori Andria, non aveva interesse a raccogliere le perorazioni del duo Letta – Franceschini.

Per l’onorevole Iannuzzi e Valiante  – figlio i fatti sono andati diversamente. Il primo è stato considerato da De Luca  una persona disponibile al compromesso e più maneggevole verso la quale aveva anche della gratitudine da collegare all’aiuto offerto dal parlamentare nella fase di consolidamento del suo sindacato  a Palazzo di Città.

Nei riguardi, poi, del giovane rampollo dell’ex vice presidente della regione dell’era bassoliniana De Luca sapeva bene di non poter giocare a far male stante la consolidata penetrazione del duo- Valiante nel territorio cilentano e nell’ambiente sanitario, sempre così fertile di suffragi per Valiante padre.

Mi spiace profondamente per Alfonso Andria. Ognuno di noi si porta dietro difetti e virtù ed anche per lui vale questa regola, ma l’ex senatore ha avuto il merito di offrire alla gente una percezione positiva della politica per il suo serio impegno a favore del territorio, per la sua disponibilità all’ascolto e anche per la testimonianza di una sua presenza anche fisica molto assidua che significava rispetto verso le istituzioni e nei riguardi di tanti comuni cittadini che continueranno a stimarlo  e a volergli bene.

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