Archivio per marzo, 2013

PAPA FRANCESCO I IN CONTINUITA’ CON PAPA BENEDETTO XVI

14 marzo 2013

Salerno, 13 Marzo 2013

Ambrogio IETTO

Il papa desiderato

Il papa che desideravamo un po’ tutti è arrivato. Viene da Buenos Aires, la capitale argentina con quasi tre milioni di abitanti, in un’area di circa 13 milioni di residenti. Si chiama Jorge Mario Bergoglio. Non era dato tra i possibili successori del grande, umile, coraggioso Benedetto XVI ma proprio il neo pontefice era stato considerato uno dei candidati più in vista per l’elezione a successore di Pietro nel conclave del 2005 che, invece, scelse Joseph Ratzinger. Indiscrezioni partecipate da ambienti curiali indicarono Bergoglio come il secondo votato in quell’occasione.

Da questa sera egli è il nuovo vescovo di Roma e, soprattutto, si colloca nella storia come il 266° papa della Chiesa Cattolica Apostolica Romana. Discendente da famiglia piemontese, originaria di Portacomaro Stazione, una delle numerose frazioni di Asti, distante circa 7 chilometri dal comune capoluogo.

Si sa che sono circa tre milioni i piemontesi emigrati in Argentina, residenti, in particolare, nelle province di Cordoba, Santa Fè, Mendoza e Buoenos Aires dove il neopontefice nacque il 17 dicembre 1936.

Non è un caso che egli abbia scelto il nome di Francesco I.  Non era mai accaduto che uno dei 265 predecessori di  Bergoglio scegliesse il nome del figlio di Pietro Bernardone, ricco proprietario e commerciante di stoffe.

Forse perché Francesco d’Assisi non solo non era sacerdote né chierico ma perché, pur rispettando la chiesa storica, egli non la prendeva come fonte primaria della morale pratica.

Le biografie sul nuovo papa riferiscono di un pastore umile, particolarmente vicino all’enorme sacca di povertà residente nell’intera area metropolitana di Buenos Aires e nelle periferie degli altri grandi centri urbani dell’Argentina. L’emblematica opzione a favore del nome di  Francesco è motivata, quindi, dallo straordinario sposalizio con ’madonna povertà’ da parte del poverello d’Assisi, un modo inconfondibile di fare l’ultimo e per esprimere la sua teologia sociale secondo la quale la  povertà fu un volontario e personale limite al consumo dopo aver distribuito, seguendo le leggi dei vasi comunicanti, il prodotto del lavoro o del capitale finanziario. Come è ben noto il principio sovrano che Francesco derivava dal Vangelo era questo: ‘ ciò che abbiamo non è nostro, lo abbiamo soltanto in prestito e fino a quando non troviamo uno più bisognoso di noi’.

Le poche parole, espresse dal neopontefice subito dopo la proclamazione,  ad una piazza San Pietro e ad una via della Conciliazione straordinariamente gremite di popolo festante, sono state pronunciate da vescovo di Roma.

Visibilmente commosso,  ha sollecitato le centinaia di migliaia di persone presenti ad esprimere,  in meno di un minuto di silenzio assoluto, una preghiera per lui, per il loro neopresule. Papa Bergoglio, francescanamente, ha invocato senso di fratellanza tra gli uomini.

Generale la commozione sul volto dei presenti. Una parola ripetuta, in particolare, dai tanti intervistati: speranza.

Un papa desiderato proprio perché rafforzi la speranza in un mondo migliore, un mondo più giusto ed equo, lontano dalle ruberie e dalla malvagità, un pontefice dalla semplicità francescana, arrivato al sacramento del sacerdozio a 33 anni dopo aver svolto per un po’ anche il lavoro di tecnico chimico, un tenace assertore della famiglia tradizionale, costituita da un uomo e una donna.

La sua ben nota avversità alla  legittimazione delle nozze gay in Argentina  è stata confermata questa sera sul tardi, quando, soltanto ad oltre due ore dalla sua proclamazione, è arrivato il formale augurio della pimpante e progressista Cristina Elizabeth Fernàndez de Kirchner, presidente della Repubblica d’Argentina.

SOVRINTENDENTE SCOLASTICO DELLA CAMPANIA, PROVVEDITORE AGLI STUDI DI SALERNO E DI NAPOLI

9 marzo 2013

Salerno, 9 marzo 2013

Ambrogio  IETTO

Capezzone il galantuomo

E’ andato via in silenzio Benedetto Capezzone, nello stesso modo col quale, nei momenti particolarmente vivaci e difficili del suo impegno istituzionale, osava comportarsi per poi assumere,  nella fase di redazione e di svolgimento degli atti, le decisioni che la norma e il buonsenso gli suggerivano. Nella sua silenziosa fase di passaggio dalla realtà terrena all’entità soprannaturale egli ha confermato di essere portatore di un abito mentale e di uno stile di vita che, di solito, convergono nel galantomismo, cioè nella probità, nell’integrità, nella rettitudine.

Salerno e Napoli furono le sedi in cui svolse, una volta designato ai vertici dell’amministrazione scolastica, le funzioni di provveditore agli studi e di sovrintendente regionale scolastico, un’attività che ebbe inizio nella delicata fase storica della post- contestazione giovanile e, quindi, in sede di applicazione delle norme delegate sulla gestione sociale della scuola.

Come spesso accade in Italia, anche gli organi collegiali furono percepiti dalle diverse aggregazioni partitiche come l’occasione preziosa per un’opera di infiltrazione delle ideologie all’interno delle istituzioni scolastiche, in quell’epoca prive di autonomia.

‘ Don Benedetto’, pur prestando doverosa attenzione al fenomeno, non si allarmò più di tanto. Egli, che amava molto la funzione docente, era convinto che la scuola, sede primaria di trasmissione dei saperi e di elaborazione della cultura, costituisse il luogo ove allievi, insegnanti e famiglie dovessero stringere e  portare avanti con coerenza un forte patto di corresponsabilità educativa a prescindere dai presunti steccati ideologici che componenti esterne avevano interesse ad erigere.

La mia elezione a presidente del Consiglio scolastico provinciale di Salerno, votata all’unanimità da tutte le componenti presenti all’interno del pletorico organismo, fu l’occasione fortunata  per conoscere meglio la personalità del provveditore Capezzone e per incanalare nel migliore dei modi l’attività elaborativa e propositiva dell’organismo.

I nostri percorsi di impegno professionale ed istituzionale si rafforzarono ulteriormente nel momento in cui egli, assegnato alla prestigiosa sede del capoluogo regionale nella qualità di sovrintendente scolastico, fu tenuto a dare temporanea ospitalità all’istituendo Istituto Regionale di Ricerca, Sperimentazione ed Aggiornamento Educativi ( IRRSAE ) della Campania del quale ero stato eletto primo presidente. La nostra fu una collaborazione intensa, qualificata, orientata a dare un senso ed un’identità ad un organismo di cui il legislatore aveva dato soltanto essenziali tratti distintivi.

La presenza all’interno del consiglio direttivo di autorevoli accademici, quali la psicopedagogista Clotilde Pontecorvo, ordinaria all’Università degli Studi di Salerno, il sociologo Giovanni Bechelloni, docente alla ‘Federico II’, il filosofo del diritto Antonio Villani, all’epoca rettore dell’istituto Universitario Suor Orsola Benincasa, il compianto Arturo Arcomano,  docente di pedagogia all’Istituto Universitario Orientale e cantore della cultura contadina lucana, consentì di apprezzare ulteriormente lo spessore culturale che caratterizzava l’identità professionale di un burocrate dello Stato qual era di fatto Capezzone.

Il passaggio a provveditore agli studi di Napoli lo mise a contatto con una realtà non solo complessa ma mortificata dalla presenza di un tasso elevato di dispersione scolastica, alimentato dalla diffusa precarietà socio – culturale dei quartieri storici della città e dall’uso strumentale dei minori, da parte della malavita organizzata, a sostegno dello spaccio minuto della droga. Inoltre il terremoto del 1980 aveva ulteriormente messo in ginocchio la metropoli, costringendo le attività scolastiche ai doppi e ai tripli turni e, in qualche caso, anche alla fruizione, a giorni alterni, degli ambienti scolastici lasciati indenni dalla furia devastatrice del sisma.

Il provveditore agli studi Capezzone si adoperò al meglio per affrontare questa fase drammatica che riduceva all’osso l’offerta formativa da parte dello Stato. In questo stesso anno egli mi chiamò a presiedere un concorso pubblico a centinaia di posti disponibili per la docenza nella scuola materna statale. Ministro dell’istruzione il compianto salernitano Salvatore Valitutti, veniva finalmente ripristinata, dopo circa un decennio, la pratica dell’assunzione nei ruoli degli insegnanti statali  tramite regolari prove scritte ed orali. Nel sollecitarmi all’accettazione dell’incarico aggiunse: ‘ Io di te posso fidarmi perché, come me, vieni da una famiglia  educata all’etica della rinuncia e del sacrificio e al rigore dell’onestà ‘.

Questo il mio ricordo più caro di un funzionario integerrimo dello Stato e di un galantuomo cui ho voluto davvero tanto bene.

PER I CAMORRISTI NEMMENO L’INFANZIA HA CITTADINANZA

7 marzo 2013

Salerno, 7 marzo 2013

Ambrogio IETTO

La Città della Scienza e i bambini

Fu tra il 1998 e il 1999 che il compianto  amico Renato Nunziante Cesaro, all’epoca sovrintendente scolastico della Campania, mi sollecitò a partecipare ad un incontro promosso dal suo ufficio per ascoltare Vittorio Silvestrini, ideatore e tenace sostenitore della Città della Scienza che delinquenti senza scrupolo l’altra notte hanno deciso di distruggere, attivando un incendio che, molto probabilmente, è di origine dolosa.

In quella sede mi resi conto che quella istituzione andava sostenuta e che, in particolare, il mondo della scuola avrebbe ricavato benefici significativi da quel meraviglioso ed interattivo ‘libro di testo ‘.

Silvestrini illustrò , con dovizia di particolari, l’ambito della ‘Città’ riservato alla didattica. Ci rendemmo conto che sarebbe stato un luogo particolarmente gradito dai nostri fanciulli  così desiderosi di osservare, di far ravvivare la scintilla della meraviglia, di non riuscire a contenere l’incalzante curiosità contraddistinta da un’indefinita catena di ‘ perché ‘, di non accontentarsi delle lucide chiarificazioni dell’esperto ma di volere andare oltre, magari provando e verificando di persona la procedura dell’esperimento.

Da direttore didattico delle scuole primarie di Cava de’ Tirreni partecipai al collegio dei docenti e al consiglio di Circolo l’opportunità che si presentava per i nostri bambini di vivere un’esperienza accattivante, gioiosa, partecipata.

Fu così che alla prima spedizione verso Bagnoli volli prendere parte anch’io, replicando più di una volta questa mia visita sempre in compagnia degli alunni.

Aveva ragione Confucio, straordinario elaboratore di una suggestiva proposta per una concezione etica dell’uomo, che 2500 anni fa  ammoniva: ‘se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco ‘.

Questa massima alla Città della Scienza era particolarmente seguita dagli ottimi animatori preposti al ‘planetario’, alla ‘palestra della scienza’ e, soprattutto, alla ‘ officina della scienza’.

Qui i piccoli della scuola dell’infanzia e della scuola primaria apprendevano la scienza giocando, dando ragione anche in questo caso ad un quasi contemporaneo di Confucio, il grande Platone, che nel settimo libro de ‘ La Repubblica’, scriveva: ‘ non educare i fanciulli negli studi a forza, ma in forma di gioco: in questo modo saprai discernere ancora meglio le propensioni naturali di ciascuno ‘.

Se si considerano i modesti risultati che, secondo le periodiche rilevazioni dell’Ocse, i nostri ragazzi acquisiscono nell’area scientifico – matematica, la Città della Scienza  costituiva un importantissimo Centro di Altra Formazione ( CAF ) anche per tanti docenti di ogni ordine e grado di scuola desiderosi di abbandonare una didattica logocentrica e trasmissiva per arrivare ad un’ipotesi di processo di insegnamento – apprendimento idoneo a rendere l’allievo primo protagonista dell’avventura intrapresa verso la conoscenza.

Ma si sa, a Napoli tutto è possibile. Si spara ad un esponente  del clan avversario all’ingresso di una scuola dell’infanzia.

Figuriamoci se non si toglie di mezzo la Città della Scienza se essa è considerata un ostacolo all’attività speculativa di gruppi camorristici direttamente interessati alle aree contigue.

La cultura riceve da questo atto criminale un brutto colpo. Ma non lo avevano già dato in parte le istituzioni pubbliche, privando la Fondazione di quel tanto necessario per non far accumulare un ritardo di undici mesi nell’erogazione degli stipendi ai dignitosi dipendenti ?

UN PAPA EMERITO CHE, SOFFRENDO E PREGANDO, FA RIFLETTERE LA COMUNITA’ MISCREDENTE

1 marzo 2013

Salerno, 1 Marzo 2013

Ietto Ambrogio

La pedagogia dell’umiltà

28 febbraio 2013, ore 20: Benedetto XVI è entrato nella storia della Chiesa e dell’umanità come pontefice dimissionario. I nostri nipoti, ora non pienamente consapevoli di questo straordinario atto compiuto dal 265° successore di Pietro, avranno modo di analizzare questa decisione alla luce degli eventi che si succederanno per caratterizzare, speriamo in meglio, questo primo secolo del terzo millennio.

Non ci sarà un secondo Dante Alighieri disponibile a collocare nell’Antinferno Joseph Aloisius Ratzinger e a dedicargli quel ‘ colui che fece per viltade il gran rifiuto ‘,  concesso, così si ipotizza, al suo predecessore Celestino V, elevato poi a santo da papa Clemente V. Sono trascorsi oltre sette secoli dalla rinuncia al papato da parte di Pietro da Morrone che si imbatté in difficoltà proprie di quel periodo storico.

Il papa emerito Ratzinger  ha dato l’annuncio della straordinaria e sofferta decisione al Concistoro  convocato per canonizzare gli ottocento abitanti di Otranto uccisi il 14 agosto 1480 dai turchi per essersi rifiutati di convertirsi all’Islam. In quello stesso giorno la Chiesa Cattolica celebra Nostra Signora di Lourdes ma anche la ricorrenza dei Patti Lateranensi, gli accordi che sancirono l’avvenuta conciliazione delle relazioni tra Santa Sede e Stato italiano, ponendo così fine alla cosiddetta questione romana.

Tra l’11  febbraio scorso ad oggi centinaia sono stati i contributi redatti da vaticanisti, storici, filosofi, giornalisti, politici che hanno cercato, alla luce di eventi anche straordinariamente gravi per la stessa Chiesa, di trovare più fondate motivazioni giustificative dell’eccezionalità dell’atto compiuto.

Molto umilmente, senza essere tentato dal collocarmi nelle categorie richiamate, ritengo che a fondamento della decisione ci sia stata la serena consapevolezza, che scaturisce soltanto dalla sorgente fresca e generosa della Fede, della sproporzione oggettivamente verificata tra la complessità dei problemi che investono l’umanità planetaria del nostro tempo e della stessa comunità ecclesiale e la sofferta constatazione della fragilità del proprio corpo.

La verifica è avvenuta nel corso di un lungo, travagliato dialogo tra l’uomo Ratzinger e l’entità soprannaturale del divino, reso sicuramente forte e partecipato grazie al collante unico della Fede. La scelta compiuta, di certo coraggiosa e sofferta, supera decisamente  il migliore  trattato possibile di pedagogia dell’umiltà.

Ha segnato le nostre coscienze più dell’ipotetica  dipartita fisica del pontefice tedesco e, ne sono certo, ha fatto un  gran bene alla Chiesa, ai credenti e, soprattutto, ai non credenti.

Da qualche giorno leggiamo ed ascoltiamo le espressioni amare dei tanti politici non riconfermati nel mandato parlamentare ricoperto in precedenza.

Traspaiono accuse, delusioni, risentimenti. Nessuna dichiarazione che lasci percepire serena accettazione del responso delle urne e disponibilità a comprendere che ‘ sic transit gloria mundi’.

Papa Ratzinger, invece, potenzierà la sua Fede con la preghiera che costituisce la più alta espressione dell’umiltà e della fragilità umana.

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