Archivio per settembre, 2013

PROTESTE PER GLI ORGANICI CONTENUTI, LAMENTAZIONI PER LE CARENZE STRUTTURALI: UN RITO CHE PUNTUALMENTE SI RIPROPONE PER LE SCUOLE DEL MEZZOGIORNO D’ITALIA

15 settembre 2013

Salerno, 15 settembre 2013

Ambrogio IETTO

Evviva la scuola, nonostante tutto

Domani lunedì si apre ufficialmente l’anno scolastico in Campania. E’ vero, anche a Salerno città alcune istituzioni scolastiche hanno dato già avvio alle lezioni avvalendosi delle norme che regolano l’autonomia didattica ed organizzativa. Al di là delle motivazioni addotte che, in prevalenza, riguardano motivi poco nobili quali i ‘ ponti ‘ e i ‘ viadotti ‘ da ‘ costruire ‘ per recuperare le giornate di anticipato inizio delle lezioni, collegandole con festività previste dal calendario nazionale , anche questa mania di differenziarsi per l’avvio dell’anno scolastico, nonostante la legge preveda da oltre un decennio la regionalizzazione del calendario, conferma una comoda e strumentale utilizzazione di quanto previsto dal DPR n. 275/99, cioè dal regolamento sull’autonomia.

Non si vuol comprendere che la gente semplice percepisce anche il diversificato inizio delle attività didattiche come una delle tante manifestazioni strane di un Paese in cui ‘si capisce poco o nulla ‘ perché ‘sono troppi i galli nel pollaio’.

I giornali locali ormai da giorni riempiono intere pagine, raccogliendo proteste e lamentazioni da parte delle diverse componenti che in modo diretto o indiretto hanno a che fare con la scuola. Protestano docenti e categorie del personale tecnico -amministrativo ed ausiliario per la diminuzione dei posti da coprire. Non pochi dirigenti scolastici evidenziano la carenza di aule e di laboratori mentre tacciono i rappresentanti degli enti locali, Comuni e Provincia, tenuti, almeno sulla carta, ad assicurare condizioni di funzionalità, agibilità e sicurezza agli spazi riservati al curricolo scolastico.

In verità anche sindaci, assessori e consiglieri hanno da partecipare le loro lamentazioni per il notevole contenimento delle risorse finanziarie necessarie per porre rimedio a disfunzioni e carenze dovute soprattutto ad un antico, consolidato disinteresse verso il ‘ problema scuola’.

Bambini, fanciulli, adolescenti e giovani inferiori ai diciotto anni non sono inseriti nella lista degli elettori. Quindi, anche se diretti interessati, non incidono in termini negativi sull’indice del consenso che rappresenta l’unico parametro che i pubblici amministratori prendono in considerazione.

Se c’è qualche euro da spendere non lo si dà alla scuola. Meglio foraggiare la squadra del cuore e i rispettivi tifosi che, oltre tutto, si fanno sentire mentre sono poco interessati a prendere in esame le troppe precarietà degli ambienti in cui si concretizza l’avventura verso la conoscenza da parte dei propri figli.

Le tante famiglie coinvolte in queste questioni, come gli stessi amministratori pubblici, si rendono conto soltanto agli inizi di settembre delle necessità avvertite e denunciate dalle istituzioni scolastiche.

Poi, anche esse cadranno nel letargo pedagogico.

La scuola costituirà la sede privilegiata per scaricare tensioni e frustrazioni e troppo frequentemente cadrà sotto accusa per presunte disfunzioni didattiche, carenze organizzative, comportamenti discutibili.

Solo una minoranza di genitori si interrogherà sulle proprie, dirette responsabilità, sullo scarso tempo quotidiano dedicato a relazioni e mediazioni significative coi rispettivi figli, sul clima familiare emotivamente instabile, sulle tante personali manifestazioni di egoismo e di insofferenza, sulla sostanziale indisponibilità a costruire coi docenti una collaborazione continua, costruttiva, cooperativa, funzionale ad un itinerario di apprendimenti significativi e ad una complessiva condizione di benessere del figlio – alunno. La scuola, nonostante internet ed iPad, rimane il luogo privilegiato in cui dei coetanei si ritrovano per intraprendere con sistematicità l’avventura verso i saperi e per scoprire ed applicare, strada facendo, le norme che regolano il quieto e civile vivere.

Malgrado tutto, evviva la scuola.

” INFANZIA DA AMARE ” NEL COMMENTO CRITICO DI ANTONIETTA CANTILLO

14 settembre 2013

“ INFANZIA da AMARE “

di Ambrogio Ietto

Riflessioni critiche di ANTONIETTA CANTILLO

Infanzia da amare “ è l’ultima ed appassionata consegna scientifica che l’autore Ambrogio Ietto, uomo di scuola, rende alla scuola tratteggiandone compiutamente e con inusuale perizia stilistica ed argomentativa, le tessere costitutive a cui conduce il lettore lasciandone intravedere tutti gli elementi strutturali.

Un testo corposo, attento, supportato da riferimenti e richiami alla letteratura di settore, quella delle scienze dell’educazione, che, nell’affrontare in maniera continua e sistemica gli argomenti oggetto dello studio circostanziato delle materie di esame per tutti coloro i quali si avviano alla delicata arte dell’educare significativo, ha in sé mille altri testi quasi a significare il continuum proprio del conoscere e dell’apprendere.

Articolato nella geometrica e didattica successione in parti[1], tre saggi contenitori ciascuno dei quali fascicola la capitolazione per argomenti, il testo conduce il lettore gradualmente e con scorrevole sapienza magistrale, tra i luoghi di maggiore interesse della contemporanea riflessione psico-pedagogica tesa all’analisi e alla comprensione dei processi costitutivi l’essere in sé del soggetto in formazione.

Protagonista del testo, che sotto la specie del manuale, cela un prezioso compendio di scienze umane strutturalmente conformate al tema di analisi, è la persona intesa nella sua accezione personalistica più alta e nel momento della vita più delicato, fragile e costruttivo: l’infanzia.

Il libro, con un’abile tecnica a spirale, presenta gli argomenti, dai contesti culturali e di vita dei piccoli discenti, le caratterizzazioni sociali ed antropologiche, l’evoluzione degli stessi, alle teorie di riferimento scientifiche atte ad affrontare i problemi della crescita e dell’apprendimento e poi le riprende richiamandone commenti e valutazioni di stampo nazionale ed internazionale con puntuali collegamenti alla documentazione normativa a supporto rispettandone, ovviamente, l’evoluzione cronologica.

Nell’organizzarsi della trama scientifica i cui temi di ancoraggio, partendo dall’analisi dei contesti fratti e complexi della contemporaneità cui fanno da sfondo le conclusioni moreniane o, ancor più, la sofferta liquidità su cui fluttua la scena disincantata delle grandi narrazioni ove si spegne la valorialità, sono il recupero del senso, della centralità del soggetto – persona nella tipologia dell’infanzia, la necessaria riflessività educativa tesa alla significatività dell’interazione adulto/educatore/genitore –bambino/discente/figlio, il ricorso alla narrazione sapiente e partecipata, ove vanno rintracciate le sfide a cui è chiamata la pedagogia contemporanea a partire dall’implosione dei linguaggi multimediali entro cui migrano anche i più piccoli, i cosiddetti nativi digitali.

A sostegno della tesi della centralità dell’infanzia e della sua cura pedagogica l’autore ripercorre tutti i non semplici archi temporali, le fasi nevralgiche e la loro analisi documentale che, da una forma non strutturata e formalizzata di insegnamenti, a partire dalle esperienze più ispirate italiane e straniere con riferimenti ai grandi precursori quali Froebel, Agazzi, Montessori, Aporti, solo per citarne alcuni, si perviene alle forme istituzionalizzate, prima della scuola materna e poi della scuola dell’infanzia.

L’opera si caratterizza nella sua unicità per la particolare ottica in cui prospetta le tematiche multiverse dell’infanzia e la cura che la stessa richiede entro il più ampio orizzonte dell’ educativo in senso lato declinato nelle forme più rigorose a cui perviene la ricerca pedagogica anche in chiave europea.

L’impianto generale dell’opera, nel richiamare le coordinate teoretiche della pedagogia inclusiva, con particolare riferimento alle problematiche delle diversità in senso lato partendo dall’irripetibilità del singolo, è teso ad illustrare, con linguaggio scorrevole, tutte quelle che, oggi, possono considerarsi le imprescindibili conoscenze su cui deve essere formato un mediatore culturale. Ne discende un’attenta disanima dell’istituzione scolastica ed, in un ottica costituzionalmente orientata, l’inscrizione della scuola dell’infanzia nel sistema, l’evoluzione della stessa alla luce della legislazione la cui centralità è data dalla legge n. 444/68 istitutiva della scuola materna di Stato, alla decretazione[2] che ne ha rappresentato l’evoluzione operativa.

Pur nell’affrontare le tematiche più squisitamente tecniche, quali il ruolo delle scuole dell’autonomia, la centralità della stessa norma e la regolamentazione del DPR 275/99, chiave di volta del processo decisionista a cui le scuole sono chiamate, il ruolo del docente e la caratterizzazione giuridica dello stesso, la peculiarità dell’opera resta il suo riferirsi sempre all’infanzia quale entità autonoma.

Un lavoro di studio di e per la conoscenza dell’uomo. Solo conoscendo è possibile amare. Da qui il senso forte sotteso dell’opera che, nel sezionare tutti gli aspetti trattati e nell’assegnare alla capacità progettuale delle scuole autonome la strutturazione dei curricoli inclusivi, calibrati e flessi con attenzione alle prime fasi della scolarizzazione nella visione dell’unitarietà e della continuità, rappresenta un’attestazione di amore per i più piccoli a cui indirizzare la più attenta e generosa delle cure.

Infanzia da amare, infatti.


SONO TRASCORSI SETTANT’ANNI MA QUEI RICORDI FLASH APPAIONO SEMPRE PIU’ NITIDI

8 settembre 2013

Salerno, 8 settembre 2013

Ambrogio IETTO

Quell’otto settembre del 1943

Oggi prima domenica di un settembre che, climaticamente, restituisce ai vacanzieri di agosto le non poche giornate di mare e di sole perdute a causa del boicottaggio prodotto da puntuali, brevi e non di rado violenti scrosci d’acqua e di vento, manifestazioni proprie della tropea meridionale.

Oggi ricorrono, però, ben settant’anni da quell’otto settembre del 1943 quando, alle 19.45, gli ascoltatori dell’emittente EIAR (l’odierna RAI ) furono informati della brusca interruzione dei programmi per apprendere l’annuncio, precedentemente registrato dal generale Badoglio, sull’avvenuta firma a Cassibile, popolosa frazione di Siracusa, dell’armistizio con i futuri alleati americani ed inglesi.

Dai primi giorni di luglio di quell’anno mio padre aveva deciso di trasferire il suo nucleo familiare, costituito da mamma e da noi cinque figli, il primogenito di nove anni e l’ultima nata di 12 mesi, dalla masseria condotta dal generoso Gennarino Cerra, collocata poco dopo l’attuale area commerciale – industriale di Bellizzi, alla frazione San Martino di Montecorvino Rovella.

L’abbandono di quella casa colonica, prima tappa del nostro esodo, era stato motivato dalla necessità di raggiungere una località più a monte dell’area che il 21 giugno precedente era stata destinataria del sanguinoso bombardamento centrato sul nodo ferroviario di Battipaglia.

Mio padre, che ascoltava di nascosto Radio Londra, da dove parlava spesso il salernitano Carlo Petrone, un cattolico fuoriuscito dall’Italia per ragioni politiche, aveva appreso del viaggio preparatorio del generale Castellano a Lisbona e dei vari contatti intessuti in precedenza con autorità anglo – americane nell’intento di porre fine alle ostilità. Così conservava in segreto una rara bottiglia di Asti Gancia che sarebbe stata sturata all’annuncio dell’avvenuta firma dell’armistizio. Il proposito fu rispettato.

Anzi, elevando al massimo il volume della radio Magnadyne col vecchio disco verdiano ‘Libiam ne’ lieti calici’, fu operazione spontanea raccogliere decine di persone, prevalentemente vecchi, donne ed adolescenti, che improvvisarono un corteo festoso lungo le stradine di San Martino contigue alle fornaci della vecchia fabbrica Mazzarella.

La festa, però, durò troppo poco. Alle primissime luci dell’alba anche nella frazione di Montecorvino Rovella aerei tedeschi, per rappresaglia nei confronti dei ‘ traditori ‘ italiani, lanciarono alcune bombe assassine che stroncarono una ventina di vite umane. Più o meno alla stessa ora, lungo la litoranea, navigli da sbarco, carichi di artiglieria aerea, di mezzi corazzati, munizioni ed armi pesanti cominciavano a toccare la terra di Picciola e di Magazzeno.

Anche per noi il capofamiglia dispose l’abbandono della seconda tappa dell’esodo, cominciato intorno alle 14 di quel 21 giugno, quando, in assenza di papà recatosi con mezzi di fortuna a Salerno per reperire medicine indispensabili per salvare la vita di Anna ed Ida, nostre sorelle molto ammalate, mamma ci fece nascondere dentro il campo dorato di grano le cui spighe, ancora non falciate, coprivano generosamente la chioccia coi suoi cinque pulcini.

L’esodo riprenderà senza meta quella stessa notte tra l’otto e il nove di settembre. L’umana solidarietà, però, non venne meno quando mamma, disperata, bussò al grande portone di un’altra casa colonica. Ci aprì gente amica che ci accolse con squisita ospitalità.

Apprendemmo, così, di trovarci ad Occiano, altro piccolo borgo rurale di Montecorvino Rovella.

Il coincidente digiuno di ieri, desiderato da Papa Francesco e praticato con convinzione da tante persone di idee e credi religiosi diversi , ha richiamato nella mente di chi scrive ricordi flash di un bimbo di meno di sette anni che da allora identifica la guerra con le bombe, il sangue, la fame, la distruzione, la disperazione e, purtroppo, anche con la morte.

L’INARRESTABILE SETE DI POTERE DI UN SINDACO COLTO MA AFFETTO DA ESASPERATO LOCALISMO

3 settembre 2013

Salerno, 3 settembre 2013

Ambrogio IETTO

Il tiremmolla di DE LUCA

Che l’onorevole De Luca sia dotato di intelligenza acuta e di spiccato acume politico idoneo a penetrare con l’intelletto oltre la superficie delle cose è qualità che gli viene da decenni riconosciuta da osservatori attenti e anche da avversari mentalmente attrezzati per valutare con una dose minima di terzietà doti che gli hanno consentito, comunque, di governare a modo suo la città capoluogo e di egemonizzare, anche con metodi molto discutibili per i convinti assertori del metodo democratico, una corte di esecutori acritici dei suoi desiderata e di subordinati in attesa di concrete gratificazioni identificabili con una nomina ad assessore o a componente del consiglio di amministrazione di una cosiddetta società mista che poi proprio mista non è.

A questi condivisibili riconoscimenti si aggiunge, da parte di chi scrive, anche il consolidato convincimento di avere a che fare con un leader politico dotato di un robusto retroterra culturale prodotto dagli originari studi classici e di filosofia e da ben selezionate letture che l’interessato riesce a concretizzare tuttora durante le marce di trasferimento da un sito all’altro della penisola o quando l’insonnia gli impedisce di lasciarsi accarezzare dalle tenerezze di Morfeo.

De Luca, però, ha anche difetti gravissimi. Tra questi una personale e molto opinabile idea di libertà e di democrazia, un egocentrismo catalogabile come vera e propria patologia, convinto come egli è di considerare il proprio modo di essere, di sentire e di giudicare come l’unico possibile e valido in assoluto, una sempre più marcata tendenza ad inventare frottole in particolare quando, in modo ossessivo, si diletta a compiere ardite comparazioni della nostra città con noti centri urbani del continente europeo e dell’intera mappa planetaria.

Ora con la storia della sua decadenza da sindaco De Luca sta dando proprio i numeri anche in rapporto a suoi colleghi di governo, come gli ex sindaci di Reggio Emilia e di Padova, i cui consigli comunali da quasi due mesi hanno provveduto a formalizzare la delibera nel rigoroso rispetto della procedura prevista dal legislatore.

In una delle ultime sue omelie è stata chiamata in causa, anche con documento presentato al consiglio comunale della città, la mancata formalizzazione delle relative deleghe da parte del ministro delle Infrastrutture e, quindi, l’assenza di una condizione considerata essenziale per pronunciarsi a favore dell’incompatibilità tra la carica di sindaco e quella di vice – ministro della Repubblica.

Alla lunga, iniziale manfrina si aggiunge ora un tiremmolla che sta producendo a De Luca giudizi molto severi da parte di tanta gente comune ormai portata a considerarlo vittima privilegiata e definitiva del virus andreottiano del legame patologico col potere.

In verità questa sindrome non è nuova. Né è nuovo il comportamento di un consiglio comunale, costituito dalla maggioranza e da quattro componenti della cosiddetta minoranza che, in posizione di irreversibile condizionamento sindacale, ha deciso ieri di chiedere alla Commissione permanente Statuto del consiglio comunale, una sorta di brutta copia locale di Corte di Cassazione, un ulteriore parere sulla vexata questio. De Luca avrebbe potuto decidere tranquillamente di dimettersi da vice ministro e continuare il suo percorso sindacale verso la desiderata candidatura a presidente della giunta regionale della Campania.

Non è stato sfiorato da questa tentazione perché evidentemente l’incarico di vice ministro gli consente di gestire un ‘ qualcosa’, di prendere delle decisioni, di ‘ fare dell’ulteriore bene’ per Salerno come ha avuto modo più volte di affermare nel corso di questi ultimi mesi.

E allora non prenda in giro quella parte della comunità salernitana che ha un po’ di sale in testa e che, pur non dimenandosi tra codici e pandette, non vuole essere abbindolata da manfrine e tiremmolla incompatibili con l’intelligenza deluchiana ma compatibili con la sua inarrestabile sete di potere.

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