ANTONIO GENOVESI: NON SOLO UNA GRANDE FILOSOFO ED ECONOMISTA

Intervento svolto da Ambrogio Ietto al convegno tenutosi a Castiglione del Genovesi

Il 28 settembre 2013 in occasione della celebrazione dei 300 anni dalla nascita del concittadino

‘ Riflessioni sul pensiero pedagogico di Antonio Genovesi ‘

Un rapido riferimento al contesto storico – culturale in cui viene a svolgersi e a realizzarsi la personalità di Antonio Genovesi aiuta a considerare nella luce dovuta l’apporto significativo offerto dal nostro conterraneo, in particolare, alla filosofia con l’assunzione, nel 1741, presso l’Università degli studi di Napoli, della cattedra di metafisica cui viene successivamente aggiunta anche quella di etica. Con Genovesi altri filosofi, come Galiani, Filangieri, Pagano, Galanti, si sentiranno impegnati a sostenere il rinnovamento del Regno, acquisito da Carlo III di Borbone, figlio del re di Spagna Filippo V, che ottiene, in forza del trattato di Vienna risolutore della guerra di successione polacca, di passare dal ducato di Parma e Piacenza al Regno di Napoli.

Giacomo Raccioppi, nel descrivere le condizioni della cultura generale del Napoletano nella prima metà del secolo XVIII, evidenzia che essa ‘ aveva preso dalla razza castigliana il concetto della nobiltà dell’ozio, della viltà del lavoro, del dispregio di ogni operosità, ed il fasto, la gonfiezza, la vacuità pomposa come l’ideale della vita vera’. Altre note distintive riguardavano ‘ il concetto dell’autorità prevalente sulla ragione, della tradizione sulla libertà, e una istruzione di termini astratti e di dottrine provate unicamente alla virtù del sillogismo, fuori i criteri dell’esperienza e della osservazione dei fatti ‘ ( Giacomo Raccioppi, Antonio Genovesi, Ristampa unica edizione del 1871, Morano, Napoli, 1958, pag. 36 ).

Pietro Colletta rileva che ‘ essendo il disordine maggiore ne’ codici e nei magistrati, doveva essere prima opera di Carlo comporre novello codice che togliesse dalla napoletana giurisprudenza l’ingombro di undici legislazioni. Ma facendo alla spicciolata, ei ne diede una dodicesima più adatta invero alle circostanze del popolo, ma imperfetta e incompiuta quanto le precedenti’. Così il monarca ‘ non osò abbattere i trovati errori: la feudalità, la nobiltà, le pretensioni del clero, i privilegi della città, erano intoppi attorno ai quali si aggiravano i provvedimenti per restringere o confinare i mali pubblici, che maggior sapienza o ardire avrebbe distrutti … La giurisprudenza civile non mutò. Le leggi criminali variarono, ma, dettate ad occasioni e nello sdegno, per delitti più frequenti o più crudeli, non serbavano le convenienti proporzioni, così che mancava la giusta e sapiente scala delle pene … Di nulla cambiò il processo criminale; restando in uso il processo inquisitorio, gli scrivani, la tortura, la tassazione degli indizi, le sentenze arbitrarie, il comando del principe ‘ ( P. Colletta, Storia del reame d Napoli, Edizioni S.a.r.a., pagg. 47/48 ).

Egualmente ‘ di istruzione elementare al popolo non esisteva germe: le facevano anzi ostacolo al nascere i pregiudizii e l’astio delle classi alte, la miseria del popolo, l’opinion pubblica stessa, che premeva immobili sull’antico solco così le classi sociali come le famiglie’ ( Raccioppi, opera citata, pag. 37 ).

Gli interventi e i provvedimenti attuati dal 1734 al 1759 nei suoi 25 anni di regno da Carlo di Borbone nel settore scolastico non suscitarono, nel complesso, un effettivo miglioramento negli studi né produssero modificazioni rilevanti.

L’avvio di profondi cambiamenti sul terreno dell’istruzione pubblica si ha, invece, a partire dal 1767, in seguito all’espulsione dei gesuiti dal regno di Napoli decisa da papa Clemente XIV. In quell’epoca la Compagnia di Gesù dispone nel Meridione di ben 29 Collegi dei quali 5 a Napoli.

Al fine di avviare la riforma degli studi in queste istituzioni e di riordinare l’istruzione pubblica sotto il controllo statale viene istituita dal re una commissione presieduta da Giacinto Dragonetti, uno degli allievi più capaci ed attivi di Antonio Genovesi. La commissione provvede in un primo tempo a stabilire contatti con le autorità provinciali per il reperimento di insegnanti medi laici destinati a prendere il posto dei religiosi della Compagnia. Contestualmente si aprono 21 scuole secondarie per i giovani di estrazione aristocratica e borghese nelle quali, accanto al leggere e allo scrivere, veniva impartito l’insegnamento del latino, del greco e della matematica. Oltre le scuole in ogni città sede di Regia Udienza ( capoluogo di provincia ) sono istituiti collegi – convitti statali per i rampolli dell’aristocrazia e per i più meritevoli e dotati tra i giovani di umile condizione.

Maggiori problemi e difficoltà s’incontrano nel settore dell’insegnamento primario, soprattutto per la sostanziale carenza di maestri laici. A differenza di quanto si era verificato per le scuole secondarie, l’espulsione dei gesuiti non comporta la laicizzazione dell’insegnamento elementare. Invece, di fatto, sono agevolati gli altri ordini religiosi, in particolare gli Scolopi e, successivamente, i Fratelli delle Scuole Cristiane.

Giuseppe Maria Galanti, attento ascoltatore in gioventù delle lezioni di economia tenute da Antonio Genovesi, sentì il dovere di difenderne la memoria e si dispose a scrivere l’Elogio storico del signor abate Antonio Genovesi pubblico professore di civil economia nella Università di Napoli ( Edizioni Istituto per gli Studi Filosofici, Ristampa, Bibliopolis, Napoli, 1977 ). In queste pagine si ha conferma che proprio in occasione dell’espulsione dei gesuiti dal regno di Napoli il re dispose che i beni appartenenti alla Compagnia di Gesù fossero convertiti in ‘ pubblico benefizio’ . Bernardo Tanucci, suo primo segretario e consigliere di Stato, propose al monarca di ‘ valersi dell’opera e del consiglio dell’Abate Genovesi nell’istituzione di una nuova Accademia che coi beni dei gesuiti s’intendeva fondare in Napoli ad istruzione della gioventù’.

Galati commenta che ‘ niente riusciva più adatto e confortevole allo spirito e alle inclinazioni dell’Abate Conforti, che un affare di quella natura. Egli, che riguardava le scienze e le lettere nel lor vero rapporto, cioè il bene pubblico, formò un piano di scuole da non esser obliato nel suo elogio ‘ ( opera citata, pagg. 144/145 ). Su questo piano di scuole lo stesso Galati precisava di aver trovato ‘ poche bozze e imperfettissime’ e che si era reso necessario metterle insieme ed ordinarle nel migliore modo possibile.

Ma, al di là delle proposte avanzate da Genovesi a Tanucci, sulle quali più avanti si ritornerà, va evidenziato che la sua produzione risulta articolata e complessa, centrata come è nella duplice dimensione etico – sociale e religiosa.

Egli, infatti, è profondamente convinto che sia la riforma della Chiesa sia quella riguardante l’uomo sono subordinate alla realizzazione di una nuova scuola di cui lo stesso Genovesi è stato testimone e modello significativo, dedicandosi alla formazione dei ‘ giovanetti ‘ in piena coerenza con l’esigenza riformatrice fondata sulla funzione pubblica dell’istruzione e sulla promozione civica della coscienza.

Gennaro Savarese, molto puntualmente, individua nel ‘ Discorso sopra il vero fine delle lettere e delle scienze’, composto nella villa di Bartolomeo Intieri a Massa Equana e a lui dedicato anche come manifestazione di gratitudine per l’istituzione a sue spese della cattedra di economia e per la conseguente assegnazione allo stesso Genovesi, il germe, tutto un programma di istruzione ed elevazione del popolo, che sarà ereditato ed approfondito dalla successiva cultura napoletana, dal Filangieri al Cuoco, nel cui ‘Rapporto sull’ordinamento delle scuole nel regno di Napoli’ si avvertono frequenti echi di questo scritto genovesiano ( Introduzione ad Antonio Genovesi, Autobiografia e lettere, Feltrinelli, Milano, 1962, pag. XXI).

Ed è proprio l’Abate a narrare che, durante le lezioni riguardanti questo nuovo insegnamento, egli cominciò ‘a dettare. Grande la meraviglia di sentir dettare in italiano. Sicché essendomene accorto, nell’incominciare la spiegazione dovetti cominciare dai pregi della lingua italiana, e urtar di fronte il pregiudizio delle scuole d’Italia ‘ ( Lettera del 23 novembre 1754 a Giuseppe De Sanctis in Penne ).

G. M. Galanti nel già citato Elogio ricorda che ‘ l’Abate Genovesi vivamente desiderava, che nella nostra Italia si proscrivesse l’uso barbaro e strano d’insegnar le scienze in lingua latina; imperciocché diceva egli, è sempre barbaro un paese, dove non la madre nodrisce i figli, ma una balia forastiera, la cui lingua si capisce da pochi’. Pieno egli sempre del desiderio di giovare al pubblico, intraprese negli ultimi tempi sotto più sicuri auspici di scrivere un corso di scienze filosofiche in volgar lingua ad istruzione della gioventù’ ( in Elogio, opera citata, pag. 141 ).

Raccioppi, nel ricordare che Genovesi fu primo nel suo paese a leggere dalle cattedre nella lingua del popolo, non per un ceto, ma pel popolo ’ tanto da risultare ‘ per questo stesso fatto il più seguito de’ professori de’ suoi tempi e il più autorevole propugnatore del nuovo indirizzo didattico contro la superbia e il pregiudizio dei dotti ‘, ribadisce come fosse in suo concetto l’insegnamento elementare e gratuito al popolo ( dovere finallora ignorato e cura negletta delle pubbliche potestà ) messo siccome a fondamento di tutto l’edifizio; era l’insegnamento secondario compiuto siccome anello a congiungere gli studii superiori dell’Università: era, per molti rispetti, complemento agli studii dell’Università medesima ‘ ( opera citata, pagg. 228 e 229 ).

E’ ben noto, del resto, come l’intero movimento illuminista considerasse l’insegnamento un’esigenza fondamentale e l’uso della lingua materna una delle condizioni sia per l’insegnamento elementare sia per svolgere attività formativo – educativa da promuovere tra le popolazioni ad ogni livello.

L’Abate Genovesi anche nelle sue Lezioni di commercio ritorna frequentemente sui temi dell’istruzione e della scuola a dimostrazione di una sua continua, insistente attività riflessiva su aspetti etico – politici e pedagogici riguardanti il percorso formativo dell’uomo e la migliore convivenza sociale.

Nello stesso testo della Diceosina o sia della Filosofia del giusto e dell’onesto sono affermati principi essenziali riguardanti gli effetti che l’educazione produce sull’itinerario formativo della persona: ‘ Ci debb’essere manifesto che, niun uomo potrebbe scampare la morte, se non fosse educato fino agli otto o dieci anni da coloro che l’han generato. Questa educazione porta seco de’ rapporti reciproci tra gli educatori, e gli allievi, a’ quali non si può corrispondere da nessuna delle parti, senza che ambedue abbiano di que’ rapporti idee chiaro – distinte o almeno chiaro – confuse.. . E’ impossibile dunque, che un fanciullo educato da’ genitori fino agli otto anni, non acquisti una lingua, non abbia una serie d’idee chiare, e non cominci a ragionare, a sentirsi libero ’( Tomo terzo, Libro secondo, Quarta Edizione Veneta, riveduta e purgata di molti errori, presso Isidoro Borgel, Venezia, pagg. 5 e 6, 1818 ).

L’intero capitolo III del libro II della Diceosina è riservato alla ‘ patria potestà’ e ai ‘diritti ed offici paterni’. Genovesi sottolinea come ‘ i doveri de’ genitori tutti nascono dal diritto di educare ‘ e che ‘ l’educazione nondimeno è assai più difficil arte, che non si pensa. La prima massima che vuole avere ogni educatore è che, per la legge dell’unione della mente e del corpo, guasto il corpo, sia guasto tutto l’uomo … ‘ ( ibidem, pag. 32 ).

Non sembra interpretazione forzosa riconoscere in questa e in altre affermazioni l’influenza delle appassionate letture, da parte dell’Abate, dei testi dell’inglese John Locke sull’indurimento del corpo quale presupposto necessario per il disciplinamento morale della personalità e sul suo empirismo metodologico che, però, non impedisce di individuare, come colonna portante della costruzione educativa, l’esito finale della libertà personale soggettiva.

Così Genovesi, sempre nella Diceosina, sottolinea che i fanciulli vanno sollecitati ‘ ad amar la temperanza, e vi si assoggettiscano per abito: a soffrir quando in quando la fame, la sete, il freddo, il caldo, il disagio, ad esser privi di certi piaceri, che più amano: a loro mettere in testa, che vengono in un Mondo, dove si ha a combattere perpetuamente col dolore, onde loro convenga armarvisi per tempo … Quanto all’educazione dell’animo dee studiarsi l’educatore di mettere in pratica tutto quel che sa, e può accrescerne le forze e indebolirne i bisogni … Il fine dell’educazione non può essere altro, che quel che è il fine di ogni uomo, quanto alla vita presente, cioè il minimo de malis. Questo fine non si ottiene che, o impiccolendo i bisogni, o accrescendo le forze, è detto di sopra ‘ ( ibidem, pagg. 32 e 33 ).

Nelle ‘ Lettere familiari ‘ è possibile cogliere, tra le tante, un’espressione del Genovesi di straordinaria importanza e di rilevante attualità: ‘ le scuole debbono servire a fare teste per la repubblica; non pedanti, né disputanti per gli caffè ‘ ( in G. Raccioppi, opera citata, pag. 124 ). Può darsi che l’Abate, conoscitore anche della lingua francese, avesse letto Montaigne e la sua affermazione sulla opzione a favore di ‘ una testa ben fatta’ e a danno di ‘una testa ben piena ‘. Ma è tutto il pensiero del nostro conterraneo orientato a valutazioni fortemente critiche nei confronti di ogni deteriore nozionismo ed enciclopedismo.

La scuola primaria italiana, però, troverà soltanto nei programmi del 1888 dettati da Aristide Gabelli questa illuminante proposizione : “Soltanto allora, quando l’istruzione sia tale che serva a formar la testa, potrà farsi sangue che si trasfonda nella vita del paese e la rinnovi in vigore giovanile “.

Molto più tardi, ai giorni nostri, sarà il vegliardo sociologo francese Edgar Morin a scrivere addirittura un testo dal significativo titolo “La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero”, dando questa chiarificazione: “ Cosa significa ‘ una testa ben piena’ è chiaro: è una testa nella quale il sapere è accumulato, ammucchiato, e non dispone di un principio di selezione e di organizzazione che gli dia senso. Una ‘ testa ben fatta’ significa che invece di accumulare il sapere è molto più importante disporre allo stesso tempo di un’attitudine generale a porre e a trattare i problemi ( e di ) principi organizzatori che permettano di collegare i saperi e di dare loro senso “ ( Raffaello Cortina Editore, pag. 15, Milano, 2000 ).

Sulle bozze del Piano delle scuole recuperate da Giuseppe Maria Galanti va detto che la proposta di Antonio Genovesi risultava finalizzata al perseguimento di due finalità: la gloria del re e, quindi, dello Stato e il ‘ vero e sodo bene pubblico ’.

Secondo il nostro le famiglie ordinariamente si orientavano verso gli studi del Foro, della Medicina, delle Arti e della Chiesa. Egli, però, era fermamente convinto che ‘ gli uomini non ricupereranno giammai i loro diritti, le nazioni non cesseranno d’essere misere ed avvilite, le leggi non avranno giammai il lor vigore, il mostro della superstizione non sarà mai abbattuto, se non quando saranno dissipate le tenebre dell’ignoranza, tra le quali vive ‘ ( Elogio, opera citata, pag. 148 ).

Genovesi concretamente propone l’istituzione di due scuole di letteratura greca, una di eloquenza e l’altra di poesia, una scuola in cui si insegnassero gli elementi della geografia, della cronologia e della storia universale, una scuola con una cattedra di logica, una di trigonometria e della sfera con la geografia, una di geometria con elementi di aritmetica, di dottrina generale delle proporzioni, di geometria piana e solida, una scuola di meccanica e di disegno, una serie di scuole delle professioni, un’Accademia delle Arti con un’annessa Società d’Arti con un fondo di premi, una cattedra di architettura teorica, una cattedra di agricoltura ‘coll’obbligo al professore di fare ogni anno il giro per una delle province del Regno, e di comunicare al pubblico in piccioli e facili Catechismi le principali dottrine, ed i più utili lumi pratici, sia delle macchine nuovamente inventate o migliorate ‘ ( ibidem, pag. 155 ).

Genovesi si pronuncia anche a favore di un intervento istituzionale a favore dell’educazione delle donne che ‘ possono più che ogni altra cosa cambiare le direzioni del costume; ma la legislazione dovrebbe aver cura della lor educazione “ ( ibidem, pag. 136 ).

Il suo leitmotiv ritorna, comunque, sul problema dell’ignoranza che è debolezza, miseria e inciviltà: ‘ gli uomini non ricupereranno giammai i loro dritti, le nazioni non cesseranno d’esser misere ed avvilite, le leggi non avranno giammai il loro vigore, il mostro della superstizione non sarà giammai abbattuto, se non quando saranno dissipate le tenebre dell’ignoranza, tra le quali si vive ‘ ( ibidem, pag. 148 ).

Giuseppe Maria Galanti recupera dalle ‘ bozze’ del ‘ Piano delle scuole ‘, redatto da Genovesi per il re, alcune indicazioni di prevalente carattere organizzativo:

° alle lezioni riservate alla lettura, alla scrittura e all’aritmetica ( abaco ) vanno dedicate due ore al mattino e due ore al tramonto ( vespro ); quindi ‘ i tre maestri delle scuole basse dovessero insegnare la mattina e la sera ‘;

° ‘ siccome il maestro di questa scuola è necessitato di far leggere, scrivere, e fare le operazioni de’ numeri a ciascuno degli scolari, così parve all’Abate Genovesi conveniente accrescerli il numero de’ maestri, per dare al pubblico più soddisfazione, interessando la plebe, ch’è sempre la meno discreta’ ( ibidem, pag. 158 );

° le lezioni di scienze possono essere svolte per due ore al giorno: la prima dedicata alla ripetizione della lezione precedente e alle relative esercitazioni e la seconda da riservare alla nuova lezione;

° è consigliabile destinare un giorno al mese per ‘ l’esame generale degli scolari ‘ ( verifica );

° l’inizio delle attività scolastiche può concretizzarsi all’inizio del mese di novembre, tenendo conto delle vacanze di Natale, Carnevale e Pasqua previste dal calendario predisposto per i Regi Studi;

° per le Scuole delle Scienze sembra giusto prevedere, quale termine delle attività, la metà del mese di luglio;

° per tutte le altre scuole si propone di far terminare le lezioni agli inizi di settembre, prevedendo, però, otto giorni di ferie estive agli inizi del mese di agosto.

Sempre secondo il Galanti Genovesi desiderava che, oltre la paga prevista, ai maestri si destinasse ‘ una conveniente somma di soprassoldo per coloro che si distinguessero con opere pubbliche ‘( ibidem 159 ).

Raccioppi, nel delineare un lusinghiero profilo della personalità di Genovesi e dei suoi scritti in campo economico, sociale ed etico, si sofferma anche sulle posizioni assunte contro l’ignoranza e a favore dell’istruzione: ‘ Istruzione a tutti; al colono sul suo campo; all’artiere presso al telonio; all’artista all’accademia; alla donna sì del ricco, sì del povero. Ma innanzi tutto riforma dell’istruzione generale: tutti i vizii della falsa cultura son qui. E cultura falsa, perché pietrificato l’indirizzo di essa, pietrificato e falsato l’indirizzo, perché lo Stato non ha ingerenza nella publica cultura. E’ tuo dritto, e riscattalo; è tuo debito, e adempilo. L’educazione è il seme delle teste; e le teste vengon su stordite, o frolle, pazze o vote, come il seme imbastardisce. Dalla ricchezza publica non basta non ritrarre altro che dazii; dalla publica cultura non basta non avere altri che forensi e teologi’ ( Raccioppi, opera citata, pag. 226 ).

Dalla rapida disamina compiuta del pensiero di Antonio Genovesi in materia di educazione e di scuola, a distanza di trecento anni dalla sua nascita nel borgo di Castiglione la cui municipalità ottenne, con Regio Decreto n. 935 del 1862, la modifica del toponimo in Castiglione del Genovesi in omaggio al proprio illustre concittadino, è possibile, senza strumentali forzature, recuperare una preziosa eredità culturale e civile anche in campo pedagogico – scolastico:

* l’amore nei riguardi della patria: Genovesi nella ‘ Diceosina ‘, dedicando uno speciale capitolo ai ‘doveri dei cittadini e dei magistrati’, più volte ribadisce il principio dell’amore del cittadino verso la propria patria e il dovere ‘d’impiegare per quella quanto sa e può, tutte le forze del suo ingegno, del suo corpo, dei suoi beni’ (Diceosina, Capitolo IX, pag.121 ). La nostra Carta Costituzionale, nel considerare all’art. 52, ‘ la difesa della patria sacro dovere del cittadino’, fissa tra i principi fondamentali, all’art. 4, il dovere, per ogni cittadino ‘ di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società ‘;

* la cultura dell’accoglienza e dell’integrazione: ‘ Finalmente se una famiglia forestiera venga tra noi per qual si è motivo e fini, vi fondi casa, e vi viva essa ed i suoi figli per lungo tempo, sapendolo e permettendolo la Repubblica, viene per un patto tacito ad esserla cittadina, e perciò partecipe di tutt’i diritti comuni della Città, come propri del suo ceto, tranne quei privilegi ed eccezioni che sono dette. E per questi modi una persona ed una famiglia viene a farsi cittadina d’un corpo politico ‘ ( opera citata, pag. 116 );

* l’importanza dell’educazione: ‘ Tutti gli uomini son più quel che si fanno per educazione che quel che nascono. E’ un errore il credere, che tutto in noi faccia il fisico ed il clima. La natura e il clima danno la pasta: ma l’educazione la figura. Ora l’educazione principale, che forma gli uomini negli stati politi, vien principalmente dal governo e dalle scuole’ ( Diceosina, opera citata, pag. 84 );

* Come e in quanto tempo per attivare una buona educazione ? A dirgliela neppure io credo che la soverchia severità giovi molto; e vorrei più tosto appoggiarmi di una savia e seria educazione. Ma in un paese corrotto, e dissoluto per lunga stagione, come, e in quanto tempo introdurre una buona educazione ? Quando i mali hanno attaccato i solidi, e i fluidi, bisognerebbe cambiar tutto prima di avere speranza di salute ( Lettera XVI ad Antonio Cantelli a Bologna in A. Genovesi, Lettere familiari, Tomo secondo, pag. 44 , Stamperia Raimondiana, 1774, Napoli );

* quattro i possibili errori di quanti si interessano di educazione: 1. Primariamente col non prendersi di noi cura veruna, e perciò col lasciarci crescere innanzi senno come piante selvatiche … 2. Aver con noi soverchia condiscendenza, e tenerci in troppa morbidezza per cui i ragazzi divengono imperfetti, altieri, e scostumati né giammai sottomessi ad arte veruna, o mestieri…3. Troppa severità, perché questa estingue il fuoco naturale dei ragazzi, e gli fa o stupidi o maligni…4. L’istruzione, quando è saviamente, e amorevolmente fatta, ancorché sembri ributtarsi per una certa elasticità di natura, lascia nondimeno sempre delle buone impressioni che a lungo andare operano molto su gli animi umani, purché non vengono guaste da contrarie impressioni ( A. Genovesi, ‘ La logica per gli giovanetti’, pagg. 21/23, Bassano, 1779, Napoli );

* le otto condizioni per una buona istruzione: 1. Non vuol essere contraria alla natura. 2. Debb’esser fondata sul vero, e ben ragionata. 3. Netta e chiara. 4. Energetica. 5. Corta. 6. Piacevole, e piena di umanità. 7. Che mostri chiaro l’utilità che ne risulta. 8. Frequente, non si però che cagioni noja ( A. Genovesi, ibidem, pag. 23 );

* l’essenziale organizzazione del curricolo: l’alfabetizzazione culturale di base: in prima il leggere, lo scrivere, l’aritmetica, arti necessarie a dirozzare, e ingrandire la ragione, e dirizzarla, o sono ancora ignote nel ceto civile medesimamente, o sono assai poca cosa. Imperciocché si converrebbe per la vera, general cultura, che non solo i gentiluomini, ma gli artisti eziandio, e i contadini i più comodi, e qualche parte delle donne ne sapessero un poco. Quelle arti largamente diffuse porterebbero seco quattro grandi utilità:1. Renderebbero universale un certo grado di spirito, di civiltà e di gentilezza di costume. 2. Metterebbero ordine ed economia nella maggior parte delle famiglie. 3. Darebbero forma all’educazione sì mal’intesa, e agl’ingegni di molti, e somministrerebbero loro il vero uso, che si può e dee fare dei talenti, che Dio ci ha dato. 4. Migliorerebbero le Arti, e le renderebbero più spedite, più diffuse e più utili. ( A. Genovesi, Lezioni di commercio o sia di economia civile, Parte Prima, Cap. XXII, Par. IX, Edizioni Simone, pag. 373, Napoli );

* la famiglia contro l’avarizia e la lussuria: ‘ Finalmente nel governo della famiglia si vuole astenere così dalla sordida avarizia, come dalla stolta lussuria. Quella genera animi piccioli, abbietti, avidi dell’altrui, furbi, fraudolenti, vizi i quali a lungo andare anzi di conservar la famiglia, siccome alcuni sciocchi genitori si credono, la distruggono. Questa fa svanire le forze così dell’ingegno, come del corpo; perché occupandosi la mente umana in vanità, viene a distogliersi dagli studi, e dalle arti sode: ed ammollandosi il corpo per la voluttà, viene a ridursi nello stato di non poter essere utile né a sé né agli altri ‘ ( Diceosina, tomo terzo, pag. 40, Porcelli libraio, 1794, Napoli );

* il comportamento di quanti sono impegnati nell’educazione: ‘ il loro principale dovere è d’insegnare la verità. .. Si studino di render l’uomo migliore, non di caricarlo di pedanterie e di sottigliezze scolastiche’… In particolare al filosofo si richiede ‘ grazia, gentilezza, urbanità …. Sia cortese, affabile, manieroso, unisca lo scherzo al serio, tempri l’austerità della Filosofia colla dolcezza dell’erudizione, e dica a sé quel che Simonide disse a Pausania: “ ricordati di essere uomo “ ( opera citata, pagg. 131/134 );

* l’istruzione da garantire a tutti: ‘ Gli uomini non recupereranno giammai i loro diritti, le nazioni non cesseranno d’esser misere ed avvilite, le leggi non avranno giammai il loro vigore, il mostro della superstizione non sarà giammai abbattuto, se non quando saranno dissipate le tenebre dell’ignoranza, tra le quali si vive’ ( G. M. Galanti, ‘ Elogio storico del sign. Abate Antonio Genovesi: pubblico professore di civil economia nell’Università di Napoli’, Edizioni Istituto per gli Studi Filosofici, Ristampa, Bibliopolis, Napoli, 1977, pag. 148 );

* il valore del sapere: ‘ Fate accoppiare allo studio del buon latino il buon italiano … Buon gusto, buon gusto. Ma si va avanti a poco a poco, e con pazienza. Non vi mettete in testa di far savi in due giorni. il sapere è abito e i migliori abiti sono quelli, che si imparano lentamente, ma continuamente’ ( Lettera ad Emilio Pacifico di Tricarico del 20 luglio 1765 in “ Lettere familiari dell’Abate Antonio Genovesi” – Tomo secondo, Stamperia Raimondiana, Lettera XX, pag. 55, 1765, Napoli );

* l’educazione della donna: per Genovesi i suoi tempi sono maturi per una partecipazione responsabile della donna sia in famiglia sia nella società civile. ‘ Rispetto alla seconda difficoltà, per chiarirci quanto è falsa, basta il considerare, che vi ha d’assai donne scostumate, senza che sappiano né leggere né scrivere: e di molte onestissime e costumatissime, tuttoché non ignorino le lettere. Dunque è da badare all’utile che ne può derivare per lo Stato, e non alle piccole frodi donnesche, a cui si vuol rimediare con una buona educazione. Nelle case dei privati Galantuomini, e in tutte le famiglie mezzane e comode, l’interna economia è in mano delle donne. Egli non è facile il comprendere, come una tale economia esser possa savia, dove le persone, che l’amministrano, non sanno che si voglia dire un libro di conti. Questa sola considerazione dovrebbe vincere tutta la ripugnanza del pregiudizio. In Olanda e in Parigi tutte le donne delle case mercantili sono fin da ragazze istruite ed esercitate nella scrittura e nel conteggio ( A. Genovesi, Lezioni di commercio o sia di economia civile, opera citata, pag. 373, 1765, Ed. Simone, Napoli );

* il primato della lingua italiana: Non è poi, che non siasi scritta qualche cosa in italiano riguardo al sodo sapere, e da mani maestre: ma con tutto ciò le scuole tuttavia all’orecchie italiane non si sentono suonare che lingue straniere. Sarò dunque il primo, dove la vita mi soverchi, a dare un corso compito delle cose filosofiche non in toscano, ch’io non saprei scrivere, ma in italiano ( A. Genovesi, Lettera XXV a N. N., a Bologna, del 4 ottobre 1765, in Lettere familiari – Tomo secondo, Stamperia Raimondiana, pag. 65, 1774, Napoli ).

* sui libri quando sono cattivi maestri: Quando io parlo di Maestri intendo parlare anco di libri, i quali non sono altro, che i maestri, che furono un tempo. Sicché, dunque, un libro oscuro, sciocco, pieno da capo a piedi d’errori, empio, scostumato, e rozzo, fa a sé simili tutti coloro, i quali li leggono, e tanto più quanto con maggiore attenzione. ( A. Genovesi, La logica per gli giovanetti, pag. 24, Bassano, 1779, Napoli ).

I commenti sono chiusi.

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fonire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o clicchi su "Accetta" permetti al loro utilizzo.

Chiudi