Salerno, 26 Dicembre 2013
Ambrogio IETTO
Joseph Andreas Pausewang
Il trasferimento, dalla Francia alla fascia costiera immediatamente a sud di Salerno, del trentacinquenne soldato tedesco Joseph Andreas Pausewang inizialmente dovette risultare gradito al diretto interessato. Si era, infatti, ancora nel pieno di quell’estate del 1943. Trovarsi di fronte alle invitanti acque del mar Tirreno in giornate, contraddistinte a volte da una calura opprimente, poteva costituire un’opportunità unica per un uomo come Joseph, particolarmente sensibile al fascino della natura e cresciuto sotto le rare ombre della foresta circostante il piccolo, natio villaggio di Bobischau spesso innevato.
Molto probabilmente i suoi genitori avevano beneficiato di provvedimenti legislativi assunti tra il 1907 e il 1908 dal parlamento prussiano e finalizzati ad acquistare coattivamente, da proprietari polacchi, terreni da assegnare a coloni tedeschi. Pausewang venne alla luce proprio nel novembre del 1908 nel piccolo borgo rurale oggi denominato in lingua polacca Boboszów, frazione del comune di Mittelwald ( in polacco Mezilesi) nel distretto di Glatz ( oggi Klodzko ).
La sostituzione radicale dei toponimi di villaggi, paesi e città con la lingua polacca al posto di quella tedesca si verificò nel 1945, a conclusione del secondo conflitto bellico, quando la Bassa Slesia fu restituita alla Polonia, collocando, così, il territorio del comune di Mittelwalde – Mezilesi nella posizione di valico di frontiera ferroviaria tra la stessa Polonia e la Repubblica Ceca.
La restituzione di questi e di altri territori alla martoriata nazione polacca comportò contestualmente anche la migrazione della popolazione tedesca in località rientranti nel territorio consolidato della Germania. Così anche i congiunti di Joseph Andreas Pausewang, sua moglie Charlotte sposata nel 1933 ed i figli Barbara, nata nel 1939, e i gemelli Pietro e Joachim, nati nel 1942, furono costretti, insieme a migliaia di connazionali, a raggiungere la regione di Oldemburg, nel land della Bassa Sassonia, affacciata al mar del Nord. Qui, nella piccola città di Lohne che nel 1945 ospitava 8.000 abitanti, furono sistemati alla meno peggio, in locali di fortuna e con un vitto piuttosto precario, circa 3.700 sfollati tutti provenienti dalle località forestali della Bassa Slesia.
Joseph Andreas, da quanto si rileva da un’essenziale biografia disponibile su un sito internet a lui dedicato, doveva far parte della 16^ Panzer Division che, dopo la disfatta subita a Stalingrado nel novembre del 1942, in esecuzione del progetto di Hitler denominato ‘resurrezione’, venne ricomposta ed inviata prima in Francia e, quindi, in Italia meridionale, entrando concretamente in azione all’alba del 9 settembre 1943. Angelo Pesce, a pagina 46 dell’ottimo suo lavoro “Salerno 1943: Operazione Avalanche “, descrive nei dettagli il massacro che si verificò quella mattina, poco lontano dalla località di Magazzeno di Pontecagnano, con 5 ufficiali e 35 sottufficiali inglesi degli Hampshire uccisi ed oltre 300 prigionieri.
La storia ci ricorda che lo sbarco nel golfo di Salerno, da parte della Quinta Armata alleata, comandata dal generale Mark Clark, era cominciato poche ore prima, alle 3,30 di quello stesso 9 settembre. L’operazione ‘Avalanche’ , come ricorda nel sottotitolo del suo famoso libro “ Salerno ! ” Hugh Pond, ufficiale dell’esercito inglese e giornalista del ‘ Daily Express ‘, accumulò anche una ‘ valanga di errori e di morti ‘.
Nel pomeriggio del 10 settembre fu possibile conquistare l’aeroporto militare di Montecorvino ( l’attuale ‘Salerno – Costa d’Amalfi ‘ ) la cui piste, però, oltre ad essere ostruite da una quantità di fusti d’olio e da un paio di caccia lasciati abbandonati perché privi di motori, fino al 20 di settembre resteranno inutilizzate in quanto i tedeschi, dalle alture di Pugliano, Santa Tecla e Faiano le tenevano sotto tiro dei mortai.
Il giorno successivo la marina americana subì due gravi perdite: tra l’una e le due della notte fu affondato un cacciatorpediniere e a poco meno delle dieci del mattino fece la stessa fine l’incrociatore ‘Savannah’. Nonostante fossero state impiegate da parte anglo – americana tutte le riserve disponibili, i tedeschi continuavano a resistere con tenacia e determinazione. Il generale Clark, pertanto, considerava indispensabile chiedere rinforzi alla basi nordafricane e siciliane. Il 13 settembre 1943, infatti, ancora oggi viene ricordato come il giorno della crisi dell’intera, complessa ‘ Operazione Avalanche’.
Le difficoltà incontrate dagli uomini della Quinta Armata comportarono conseguenze gravissime per le popolazioni della Campania che furono sottoposte ad una serie di bombardamenti aerei avviata con molte vittime il 21 giugno precedente tra Battipaglia e Salerno.
Pond scrive che le truppe scaraventate nella zona di Salerno, dopo aver subito perdite immense, rischiarono di essere ricacciate in mare dai poderosi soldati tedeschi del feldmaresciallo Albrecht Kesserling. Aggiunge che se non ci fosse stato l’intervento diplomatico di Dwight David Eisenhower, all’epoca comandante in capo delle Forze Alleate nel Mediterraneo e, dal 1953 al 1961, 34° presidente eletto degli Stati Uniti, ‘ inglesi e americani si sarebbero trasformati in cani e gatti’.
Si sa bene, però, che la grande come la piccola storia si fa senza ‘se’ e senza ‘ma’. Per il granatiere tedesco Joseph Andreas Pausewang fortunatamente la sorte fu meno cattiva. Fu costretto a fermarsi per qualche anno ancora nell’area del conflitto tra Picciola e il Centro di raccolta dei prigionieri di Sant’Antonio di Pontecagnano ove dieci anni dopo, all’indomani della rivoluzione dell’autunno 1956, saranno accolte temporaneamente alcune centinaia di profughi ungheresi.
Nei pressi di Picciola, per iniziativa del comm. Carmine De Martino, direttore generale della SAIM ( Società Agricola Industriale Meridionale ) e, nel dopoguerra, deputato e Sottosegretario di Stato per la Democrazia Cristiana, furono realizzati una scuola dell’infanzia, un orfanatrofio e un’accogliente chiesa dedicata al Sacro Cuore. Al complesso fu dato il nome di Farinia in omaggio alla famiglia Farina ( Nicola, Mattia, il vescovo Fortunato Maria ) i cui componenti, originari di Baronissi, avevano promosso nella Piana del Sele una moderna e razionale trasformazione dell’agricoltura, introducendo nuovi procedimenti anche nel settore della zootecnia.
Nel 1942 aveva preso possesso della parrocchia del S. Cuore di Farinia padre Beniamino Miori anch’egli appartenente alla Congregazione dei Padri Stimmatini ed originario, come il suo indimenticabile confratello don Cesare Salvadori, della provincia di Trento. In una lettera del 30 dicembre 1942, indirizzata al fratello Enrico, don Beniamino descrive con realismo il contesto socio – culturale in cui è stato chiamare ad operare: “ la gente lavora sempre, quasi senza distinzione fra giorni feriali e giorni festivi e la massima fatica è sostenuta dalle donne. Tu puoi vedere, in questi campi senza limiti, donne vecchie e bambine di 12-13 anni con la zappa in mano per tutto il giorno, d’estate e anche d’inverno, perché qui continuano a lavorare, a seminare e a fare strapianti. Vivono molto male. Dalle nostre parti sono signore al confronto “.
L’incontro tra don Beniamino e Joseph Andreas fu innanzitutto un immediato atto di fraternità tra due credenti, il primo prete missionario della Chiesa Cattolica, il secondo fedele della Chiesa Evangelica. La guerra, il contatto frequente con ‘ sorella morte’, la sofferenza, la pratica quotidiana del sacrificio e della rinuncia uniscono e non dividono, ti spogliano di ogni alterigia, lasciano trasparire l’umanità di ciascuno e ti convincono che l’altro è figlio del tuo stesso Padre. Tra don Miori, dotato di profonda espressività e di straordinario intuito, e Pausewang, desideroso come un bambino impaziente di riprendere pennello e colori e scaricare il represso estro creativo sul telone disusato di un camion, l’intesa fu immediata.
Joseph Andreas scoprì che la chiesa del Sacro Cuore di Gesù in Farinia di Picciola lo riportava mentalmente alla delicata chiesetta di sant’Anna della natia Bobischau e che le sacre figure ‘ commissionategli ‘ da don Beniamino lo riconducevano agli inizi degli anni Trenta quando, frequentando a Dresda, la Firenze sull’Elba, case editrici e studi d’arte, ritornò più volte con la sua fidanzata Charlotte, poi diventata sua moglie, al
Gemäldegalerie, una delle maggiori pinacoteche del mondo. Qui ebbe modo di osservare con occhio competente e di ammirare il ‘ San Sebastiano’ di Antonello da Messina, la ‘Madonna Sistina’ di Raffaello, il ‘Cristo della moneta’ di Tiziano, ‘ La Madonna di San Francesco’ e la ‘Adorazione dei pastori’ di Correggio, la ‘Sacra Famiglia con Sant’ Anna e San Giovannino’ di Mantegna, la ‘ Madonna della Rosa’ di Girolamo Francesco Maria Mazzola detto il Parmigianino e tante altre significative opere pittoriche di altre scuole.
La mia età legittima qualche ricordo dei due personaggi richiamati. Anche don Beniamino, come l’intera mia famiglia, era stato costretto a lasciare la sua abitazione prossima alla chiesa di Farinia e a rifugiarsi, almeno di notte, a San Martino di Montecorvino Rovella, ospite della famiglia Mazzarella.
Nonostante i sessant’anni compiuti, al mattino di buonora scendeva ad andatura spedita con l’immancabile sua bici verso Picciola. Più problematica e faticosa la via del ritorno, dovendo affrontare la percettibile salita di Volta delle vigne. La sera dell’otto settembre 1943, alle 19.42, ci fu l’annuncio radio dell’amnistia firmata il precedente 3 settembre tra il Regno d’Italia e le Forze Armate Alleate. Anche a San Martino si festeggiò con mio padre in testa al corteo. Più tardi, però, l’ennesimo bombardamento aereo produsse non poche vittime. Don Miori fu tra i primi a soccorrere i feriti e a dare conforto ai parenti.
Per quanto riguarda Joseph Andreas egli fu uno dei tre prigionieri tedeschi che manifestarono particolare simpatia nei riguardi di me bambino di sette anni: Paolo, il soldato originario della Baviera, che spesso si rendeva disponibile, con l’approvazione di don Cesare, a trattenere noi ragazzini in giochi collettivi dinanzi la chiesa semidistrutta del sacro Cuore a Bellizzi, confermando le buone attitudini di maestro; Carlo, che donando a mia madre uno dei due teli bianchi di cotone della sua brandina, mi consentì di prendere la prima comunione coi pantaloni candidi il 15 agosto del 1944 e il pittore Andreas, amico di don Beniamino e di don Cesare, il quale, arrivando in quei giorni a Bellizzi dal vicino Centro di accoglienza di sant’Antonio di Pontecagnano, si dedicava con cura ai quadri oggi in dotazione della Parrocchia.
Ogniqualvolta che mi vengono in mente i versi che Luigi Mercantini dedica a Carlo Pisacane, il bel capitano de ‘La spigolatrice di Sapri ’, mi ‘riappaiono’ gli occhi azzurri ed i capelli d’oro di Joseph Andreas. Più volte, infatti, anche senza chiedere autorizzazione a mia madre, mi allungai da casa nostra verso i disadorni locali parrocchiali ove ero certo di trovare Joseph che mi accoglieva col sorriso e con una carezza, forse anche pensando ai figlioletti lasciati a Bobischau.
Anche per loro e per la moglie Charlotte la guerra non era finita. Li aspettava il lungo, sofferto esodo verso Lohne.