Archivio per febbraio, 2014

DAL ROTTAMATORE RENZI AL SALTIMBANCO DE LUCA

14 febbraio 2014

 

Salerno, 14 Febbraio 2014

 

Ambrogio IETTO

 

IL DUO RENZI – DE LUCA

 

Tutto come da copione programmato. Nella mattinata di stamani, dopo una formale riunione del Consiglio dei ministri di fatto sfiduciato, il premier Letta, bevendo la classica cicuta del fratello – coltello Renzi, sarà dal Presidente della Repubblica per formalizzare le dimissioni.

L’Italia sarà salva, l’economia migliorerà sensibilmente, il debito pubblico calerà, migliaia di giovani disoccupati finalmente potranno mangiar pane col sudore della propria fronte e, fatto davvero storico, ci sarà la nuova legge elettorale e, al posto del senato, avremo – senza oneri aggiuntivi  – l’assemblea dei governi e delle autonomie locali con l’aggiunta di altre significative modifiche dell’attuale Carta Costituzionale.

Tra i 136 voti pro – Renzi non poteva mancare quello di Vincenzo De Luca, saltimbanco abilissimo e pronto a salire sul carro del vincitore.

Si ricorderà, infatti, che  mentre la partita delle primarie era ancora in svolgimento, dimentico, ovviamente, della sceneggiata che ebbe ad  ideare qualche tempo fa nel faccia a faccia costruito ad arte, all’interno del grande hotel Salerno, col credulone Bersani, vecchio compagno di merenda, strizzò l’occhiolino  di triglia a Renzi.

Ad onor del vero il sindaco di Salerno non è stato mai tenero col governo di cui faceva parte. La querelle del doppio incarico e delle mancate deleghe è stato il Leitmotiv conduttore della sua critica tanto è vero che, intervenendo ieri nel dibattito della suicida direzione del Partito Democratico, tra le altre considerazioni espresse ha aggiunto: “ Ho guardato con grande preoccupazione a quello che è accaduto nel settore delle infrastrutture. E’ stato consegnato nelle mani dei nostri avversari – alleati. Non possiamo continuare in questo modo “.

Ora si è in fase di attesa e l’entourage del sindaco non solo pronostica la promozione di De Luca a ministro ma osa anche avanzare ipotesi sul dicastero che gli verrà assegnato.

E’ evidente che Renzi dovrà pagare il prezzo del passaggio della folta truppa deluchiana nel suo esercito. Tanto il primo cittadino di Firenze è amico delle frottole e delle sceneggiate un po’come il nostro sindaco. Non fu lui qualche mese fa ad incaricare la deputata casertana Pina Picerno a richiamare il nostro sindaco, nel transatlantico di Montecitorio, per la rigida posizione assunta sulla questione della decadenza ?

Ma De Luca sa anche dimenticare ed ora spera nella promozione a ministro. Frattanto la sua posizione resta ferma sui contenziosi attivati: il secondo grado dell’Appello in contestazione con la sentenza assunta nel merito dal Tribunale salernitano e il ricorso al Tar laziale contro la decisione dell’Authority. Il terzo suo interlocutore non conta perché rappresentato, in buona parte, da un consiglio comunale acritico, esecutore, prevalentemente costituito da yes man.

Tra le pochissime eccezioni quella molto dignitosa del giovane amministrativista avv. D’Alessio, presidente dell’assise cittadina. Le cronache parlano di una sorta di duello tra lui novello Davide e il Golia nostrano. Che l’onorevole De Luca sia legato al potere soltanto per il grande amore che avverte per Salerno lo si dava per scontato.

Però l’attuale suo leader Renzi gli ha dato dei punti. Ha il coraggio, da quasi quarantenne, di lasciare Palazzo Vecchio di Firenze per Palazzo Chigi di Roma.

Mica si accontenta di poco il ragazzo!

 

IOSEPH ANDREAS PAUSEWANG, IL PRIGIONIERO – PITTORE TEDESCO, E I PADRI STIMMATINI: UNA PAGINA D’AMORE E DI RICONCILIAZIONE NELLA DOLOROSA STORIA DELLO SBARCO DI SALERNO

9 febbraio 2014

Salerno, 9 Febbraio 2014

 

Ambrogio IETTO

 

Bellizzi e la Germania

 

Questa sera , presso l’aula consiliare del municipio di Bellizzi, incontro a più voci tra referenti istituzionali, l’Arcivescovo Primate di Salerno mons. Luigi Moretti, la Comunità religiosa dei Padri Stimmatini, il console onorario di Napoli della Repubblica Federale della Germania ing. Giovanni Caffarelli e Geremia Paraggio, presidente dell’associazione culturale ‘ Feudo Ron Alfrè’.

Si discuterà sulla produzione pittorica di Joseph Andreas Pausewang, un giovane militare tedesco probabilmente appartenente alla 16^ Panzer Division, che prese parte alla disperata difesa del litorale da Magazzeno a Foce Sele dall’attacco della Quinta Armata anglo- americana, guidata  dal generale Mark Clark, nel corso della ben nota ‘ Operazione Avalanche’.

Tra gli interlocutori invitati al tavolo dei relatori ci sarà anche chi scrive che, per semplici motivi d’anagrafe, ebbe modo di conoscere e di restare catturato, da ragazzino ovviamente privo di ogni potenzialità artistica , dall’estro creativo del bel giovane trentaseienne ‘ dagli occhi azzurri e dai capelli d’oro ‘, nato in un piccolo villaggio della Bassa Slesia non molto lontano da Dresda, la ‘ Firenze della Germania’, che Pausewang frequentò dall’età di 15 anni e dove ebbe modo, visitando spesso la locale pinacoteca, di ammirare tele di Raffaello, Antonello da Messina,Tiziano, Giorgione, Correggio, Veronese.

Fatto prigioniero dagli anglo – americani Joseph Andreas, in attesa del rimpatrio come tutti i suoi commilitoni, fu accolto, in condizione di semilibertà, da don Beniamino Miori, sacerdote stimmatino parroco della chiesa di Picciola – Farinia.

L’intuito, il carisma missionario e la favorevole predisposizione ai rapporti umani del sacerdote agevolarono la relazione tra i due. Pezzi e strisce di vecchi teloni, utilizzati in precedenza per la copertura di camion militari, e pennelli con colori racimolati alla meglio dal dinamico sacerdote consentirono a Pausewang di realizzare tele particolarmente  espressive dell’identità cristiano – cattolica del prete stimmatino.

A Bellizzi, sfuggito  più volte alla repressione tedesca, svolgeva le sue funzioni di parroco della chiesa del Sacro Cuore don Cesare Salvadori, conterraneo più giovane di don Beniamino di ben 25 anni, sacerdote anch’egli della stessa Congregazione delle Sacre Stimmate di N. S. Gesù Cristo, fondata da San Gaspare Bertoni, promotore di scuole popolari, formatore del clero, carismatico predicatore,  canonizzato da Papa Giovanni Paolo II nel 1989.

Trasferito al vicino campo di accoglienza di Sant’Antonio di Pontecagnano il pittore, accreditato al confratello da don Beniamino, realizzò importanti opere sempre di ispirazione religiosa che volle donare alla chiesa del Sacro Cuore e, quindi, ai padri Stimmatini cui tanto deve la comunità di Bellizzi per la meritoria opera di evangelizzazione e di promozione sociale del vecchio borgo rurale minacciato all’epoca dal morbo della malaria tipico delle aree paludose.

L’iniziativa di questa sera tende a coinvolgere la comunità locale e le istituzioni per una razionale e competente opera di restauro delle preziose tele. Si aspira anche, grazie alla presenza del console onorario ing. Caffarelli , a costruire rapporti organici con la comunità tedesca di Lohne nella Bassa Sassonia, nel Nord Ovest del Paese, ove nel locale museo sono esposti altri importanti lavori del pittore – prigioniero, morto precocemente d’infarto a 46 anni, e dove vivono i suoi figli.

Nello stesso museo è possibile reperire  una breve frase scritta da Pausewang: ‘ Ma la memoria resta’. L’incontro a più voci di questa sera consente di recuperare una pagina non bella della memoria che, però, alimentò, nel rapporto denso di emozioni tra  Joseph Andreas di religione evangelica e i due preti stimmatini, il senso dell’appartenenza ad un Padre comune, il valore dell’arte quale mezzo di comunicazione e di elevazione spirituale, la dimensione umana della sofferenza e la cultura della riconciliazione e della pace.

IL NECESSARIO, ESSENZIALE APPORTO DELLA SCIENZA E DELLE STRUMENTAZIONI TECNOLOGICHE NON PUO’ INDEBOLIRE O ANNULLARE LA DIMENSIONE DELL’UMANITA’, PREROGATIVA PRIMARIA DELLA PROFESSIONE MEDICA

6 febbraio 2014

 

Salerno, 6 Febbraio 2014

 

Ambrogio IETTO

 

Il rapporto medico – paziente in piena crisi

A tutti noi capita di aver bisogno di una visita medica ospedaliera o di recarci nelle strutture sanitarie pubbliche per testimoniare ad un congiunto o ad una persona amica la nostra solidale partecipazione ad un’esperienza di sofferenza e di privazioni. In questi casi è piuttosto diffusa la consapevolezza di accedere in un luogo non di rado contraddistinto da carenze strutturali, da strumentazioni deficitarie, da richieste avanzate da un pubblico numeroso e, a volte, anche irritato per la lunghezza esasperante delle attese o per la ricorrente disfunzione dei servizi.

A tanti succede anche di recarsi per un consulto presso lo studio privato di un medico specialistico a cui si affida il compito di confermare  o meno una diagnosi o una terapia. In ogni caso si ripropone il rapporto tra medico e paziente che, oggettivamente, oggi risulta essere sempre più in crisi.

Le cause sono molteplici soprattutto se riconducibili a strutture e servizi fatiscenti. Sul piano più generale la letteratura di settore attribuisce lo stato critico di questa relazione allo sviluppo delle scienze e delle tecnologie che orientano l’attenzione del medico più sulla malattia che sul paziente, incidendo in misura rilevante sulle interazioni cliniche, sulla dimensione colloquiale del rapporto, sulla stessa formulazione della diagnosi.

Così non di rado il paziente, grazie alla biomedicina, scienza pur preziosa per la pratica medica,  è ridotto ad una comune cartella clinica con la conseguente depersonalizzazione della relazione, la parcellizzazione delle conoscenze e il ridimensionamento notevole dell’ascendenza e del carisma del medico.

Insomma siamo in un’era in cui il tecnicismo clinico, la strumentalizzazione elevata a sostituti della pratica medico – clinica, la ricostruzione piuttosto asettica di dati, di valori numerici e di risultati oggettivi fanno soccombere la personalità dello stesso medico che, di fatto, si ritrova espropriato della visuale globale del caso, dell’organismo e, soprattutto, della persona del paziente  considerato come sintesi unitaria di un patrimonio cognitivo, di inevitabili condizionamenti antropologici e di  prevalenti dinamiche emotivo – affettivo – relazionali.

La carenza di empatia, la prevalente e disagiata percezione di estraneità, il personale stato di smarrimento invadono la psiche del paziente mentre la figura del medico appare sempre più scissa tra scienza e burocrazia, tra risultanze degli esami clinici e strumentali effettuati  e il conseguente, meccanicistico e molto probabile quadro diagnostico.

La personale salute di ognuno di noi non può essere tutelata soltanto dal punto di vista strettamente scientifico. La coppia medico- paziente ha un essenziale bisogno di recuperare il meglio delle capacità relazionali e comunicative di entrambi i soggetti  che la costituiscono.

La disponibilità all’ascolto, pertanto,  si ripropone come qualità fondamentale di ogni attività professionale che presuppone l’incontro tra persone. Il rapporto tra medico e paziente assume, in dimensione laica, una dignità confessionale contraddistinta dal bisogno di comunicare del secondo e dalla paziente apertura alla pratica  dell’ascolto da parte del primo. Certamente entrambi sono terribilmente condizionati da una vita frenetica, contraddistinta da rapidi spostamenti, da un ricorrente accumulo di tensioni e da un inevitabile, ragionieristico calcolo del fattore tempo.

La ricomposizione di una pedagogia del dialogo e dell’interlocuzione intelligente, pur segnata dalle inevitabili emozioni, è condizione essenziale per tentare di umanizzare l’approccio clinico. Se poi l’incontro si chiude anche con  un sorriso non di convenienza e da un’espressività facciale orientata alla fiducia e alla speranza tanto meglio.

UNA COMUNITA’ PRIVA DI SENSO DI APPARTENENZA E NON EDUCATA ALLA PRATICA DELLA CITTADINANZA ATTIVA

2 febbraio 2014

 

Salerno, 2 Febbraio 2014

 

Ambrogio IETTO

Ma dov’è la città ?

 

L’editoriale di ieri, ospitato da questo giornale, molto opportunamente definiva ‘ Salerno città declinante’, richiamando, in particolare, la misera storia ventennale dell’aeroporto, oggi denominato enfaticamente ‘Salerno – Costa d’Amalfi ‘ ma al tempo della mia infanzia, vissuta in quei paraggi, definito piuttosto semplicemente ‘ aeroporto militare di Montecorvino’ nella cui circoscrizione amministrativa cadeva quell’accettabile pista di atterraggio e di decollo.

Il declino cui faceva riferimento l’editorialista riguarda l’inarrestabile percorso digradante di una troppo decantata città ‘ europea e mediterranea’.

L’odierna mia riflessione si interroga sulla possibilità o meno di identificare la comunità urbanizzata che va da Fuorni a via Indipendenza e dalle colline al mare con una città antropologicamente considerata come polis e, quindi, come contesto socio – culturale contraddistinto dall’attiva partecipazione degli abitanti alla vita politica mediante diversificate opportunità di incontro, di approfondimento dei problemi comuni, di comparazione e di eventuale contrapposizione di tesi e di proposte, di ricerca della mediazione da partecipare ai responsabili espressi dalla comunità attraverso il consenso elettorale.

Ma una prassi di questo tipo o comunque prossima all’idea veicolare della partecipazione la nostra città non l’ha mai avuta sia perché il dopoguerra l’ha demograficamente accresciuta, accogliendo concittadini provenienti da tante località diverse dell’entroterra cilentano, lucano, picentino e del Vallo di Diano sia perché è mancata del tutto, da parte delle aggregazioni politiche e delle amministrazioni comunali che si sono avvicendate, un progetto culturale orientato all’obiettivo di alimentare il senso dell’appartenenza e del fare comunità.

La stessa esperienza fallimentare dei consigli di quartiere, boicottata nettamente dai reggitori della cosa pubblica degli ultimi venti anni, conferma un preciso disegno funzionale al perseguimento e al conseguimento di una leadership istituzionale egemone, strutturata secondo la logica feudale a sistema  tra vassallo, valvassori e valvassini.

E’ vero, sono fioriti tanti, forse troppi corpi intermedi rappresentati da associazioni culturali e ricreative,  da diramazioni locali di club di rilievo planetario impegnati, nella specificità dei rispettivi progetti, a perseguire l’essenziale obiettivo di portare cambiamenti positivi e duraturi nella comunità in cui si vive e nel mondo.  La nostra città di cambiamenti positivi in senso antropologico, cioè come assunzione di comportamenti individuali e collettivi funzionali ad una cultura della partecipazione, della cittadinanza attiva e della corresponsabilità, non ha prodotto quasi nulla.

Per carità, si moltiplicano sempre di più tante belle iniziative di natura filantropica, assistenziale, solidale ma comunque in uno spirito di convivialità e di tacito assenso alle decisioni del responsabile di turno.

Mai dibattiti significativi sul destino della città, mai posizioni ferme e determinate su scelte che non convincono.

Le piccole aggregazioni sopravvivono se tra gli aggregati è consolidata la cultura dell’autonomia e della compartecipazione al sostegno concreto alle iniziative programmate e realizzate. Non poche di esse sono di copertura a questo o a quel personaggio legato alla politica.

Gli stessi pochi spazi disponibili di aggregazione giovanile, vale a dire le palestre degli edifici scolastici, costituiscono una fonte privilegiata di ricerca e di consolidamento del consenso elettorale.

Infine un consiglio comunale di trenta persone suddivise in tredici gruppi di cui ben otto espressivi di un solo consigliere. Ognuna di queste sottoaggregazioni è dotata di un impiegato comunale comandato a far da segretario, di un ambiente proprio e di regolare collegamento telefonico. Altro che revisione della spesa pubblica. E’ solo vergogna.

La stessa data dell’ennesima seduta comunale è disposta con la consueta determinazione dal vassallo leader.

E a chi scrive fa tanta tenerezza il presidente del consiglio, giovane ed intelligente professionista, costretto ad esporre ancora una volta le procedure di una decadenza ad una comunità cittadina che, tutto sommato, si diverte seguendo la manfrina attivata dal De Luca pensiero e manifesta la propria incapacità ad esprimere un corretto dissenso ad un modo di gestire la cosa pubblica esclusivamente ispirato al proprio credo personale.

 

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