DOPO IL LIBRO DI EMANUELE FELICE E L’INTERVENTO DI GALLI DELLA LOGGIA: LA SUBALTERNITA’ DELLA CULTURA E LA CULTURA DELLA SUBALTERNITA’

 

Salerno, 9 Marzo 2014

 

Ambrogio IETTO

 

Il Sud, De Luca e gli intellettuali

 

Ai primi  di gennaio il Mulino pubblicò un libro di un giovane meridionale, Emanuele Felice, che insegna storia economica in Spagna presso l’Università Autonoma di Barcellona. Il titolo del volume di 264 pagine è particolarmente espressivo: “ Perché il Sud è rimasto indietro “.

Tra le affermazioni più significative del testo si legge: “ I meridionali sono privati non soltanto della libertà di decidere; la libertà di poter decidere del proprio destino, che solo un reddito decente, una buona istruzione, la fruizione di diritti collettivi e personali consentono. Sono privati anche della verità, quella di poter capire perché sono a questo punto, quali le ragioni, le eventuali colpe e di chi”.

Secondo l’autore sono state le classi dirigenti meridionali a ritardare lo sviluppo, dirottando le risorse verso la rendita più che verso gli usi produttivi.

Ernesto Galli Della Loggia condivide questo assunto e se la prende con un’ampia parte dell’intellettualità diffusa, costituita dagli stessi insegnanti, convinta come sempre  che la colpa del ritardo storico del Mezzogiorno è dell’Italia con particolare riferimento a quella del Nord.

La tesi della ‘ innocenza meridionale’ e della conseguente polemica ‘antitaliana ’, secondo l’editorialista del ‘Corriere della Sera’, una volta fatta propria, come spesso è avvenuto, dagli ambienti significativi della cultura meridionale, rinuncia ai ‘ presupposti storico – teorici di una possibile funzione critica verso le miserabili, inefficienti e corrotte élite politiche e sociali che perlopiù reggono il Sud’.

Salerno, collocata dal Creatore e da madre natura in una privilegiata posizione strategica e paesaggistica, è parte integrante del Sud con non trascurabili velleità di leadership  eccessivamente enfatizzata mediante fantastiche ed ardite comparazioni con città mediterranee, europee e pian piano anche planetarie.

Più o meno da vent’anni è governata da una sola persona, l’onorevole Vincenzo De Luca, che, avvalendosi anche di una miriade di società miste a prevalente partecipazione pubblica, ha costituito una struttura organizzativa più efficiente, egemonica e controllabile delle peggiori forme del feudalesimo medioevale. Non c’è decisione importante, assunta anche da organismi collegiali, che non sia  conosciuta e legittimata preventivamente dal sindaco.

Senza entrare nel merito delle singole questioni, alcune delle quali sono ancora al centro della cronaca quotidiana, da anni, forse da sempre, se si esclude qualche rara individualità, non si ascolta e non si legge una considerazione severamente critica proveniente dal mondo universitario, da club incardinati in organizzazioni internazionali, da associazioni culturali, da ordini professionali, dalla realtà imprenditoriale. Se si escludono le posizioni ben note di aggregazioni  ambientalistiche e da gruppi spontanei, puntualmente destinatari di severe ed offensive espressioni verbali da parte del sindaco, per il resto  è silenzio assoluto. Così ritorna sempre il ritornello delle risorse finanziarie mancanti e delle avversità a concederle da parte delle istituzioni sovrapposte.

Di conseguenza Caldoro trasmette agli organi di stampa la lista degli interventi regionali operati a favore di Salerno mentre De Luca, inaugurando ieri alcuni spazi della futura Cittadella Giudiziaria, si sollazza, ricordando di avere strappato al governo Letta, all’ultimo minuto della sua fine, come un goal realizzato in zona Cesarini, altri 35 milioni di euro. Le autorità presenti gradiscono la metafora ed applaudono con piena soddisfazione.

E’ la cultura della subalternità che trionfa e alla quale Adolfo Scotto Di Luzio ha dedicato un  articolo ieri sul ‘ Corriere del Mezzogiorno’.

Una subalternità della cultura al pragmatismo sindacal – politico che a Salerno si verifica anche per cose da niente ma che assumono un significato e una rilevanza di grande respiro.

Ad esempio nei mesi scorsi la piazza antistante la sede del Dipartimento di Medicina e di Chirurgia al Campus di Baronissi è stata intitolata ad un compianto mio caro amico sindacalista, senza dubbio degno del ricordo ma in altro contesto spaziale dello stesso Ateneo.

Le autorità accademiche e gli organi istituzionali deputati alla valutazione di merito hanno preferito accogliere umane, comprensibili sollecitazioni di parte, escludendo di fatto ogni riferimento alla matrice storica e culturale dell’istituzione, vale a dire alla Scuola Medica Salernitana coi suoi molteplici personaggi, da Costantino l’Africano al vescovo Alfano, da Trotula de Ruggiero ad Abella Salernitana, Costanzella Calenda e così via.

Questo richiamo, puntualmente fatto dal ministro dell’epoca Letizia Moratti in sede di formalizzazione pubblica del decreto, nel salone dei ministri al Palazzo della Minerva al MIUR, risultò determinante. Ella, infatti, ebbe ad esclamare: “ Non concedo nulla di particolare alla città di Salerno che, per i motivi richiamati, aveva diritto di arricchire la propria Università della Facoltà di medicina e chirurgia”.

Eppure un video della cerimonia inaugurale dell’intitolazione, messo in rete dalla Cisl Università, consente di individuare il volto sorridente di qualche parlamentare che era presente alla citata cerimonia ministeriale. Un’ulteriore conferma della comoda posizione del lasciar correre, del non obiettare, del non alimentare dissenso che, nel mentre facilita il consenso e consente di sopravvivere politicamente, mette sotto i piedi la cultura e la storia.

 

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