TESTIMONIARE UNA FEDE PROFONDA, AUTENTICA DAL PUNTO DI VISTA EVANGELICO, RICCA DI PIETA’ E DI CARITA’

 

Salerno, 30 Marzo 2014

 

Ambrogio IETTO

 

Monterisi: clero e laicato nuovi

 

Si concludono oggi le manifestazioni celebrative  del settantesimo anniversario della morte dell’arcivescovo Nicola Monterisi che  finì esattamente il 30 marzo 1944 presso la ‘Pia Casa di Ricovero dei Vecchi’. Qui il presule, rivolgendosi poco prima di spegnersi al suo prezioso e fedele segretario mons. Balducci, riuscì a proferire: “ dirai a chi volesse dissentire, dirai che per un vescovo è un grande onore morire in mezzo ai poveri”.

Coerentemente con le scelte operate in vita volle che sulla tomba venisse scritto: “ Non mi giovarono in morte tre mitrie e due pallii ma la divina speranza che, avendo il mio Salvatore preso sopra di sé i miei peccati, mi risusciterà seco nell’ultimo giorno”. Le tre mitrie, copricapo alto e rigido, facevano riferimento evidentemente alla tre sedi vescovili ricoperte ( Monopoli, Chieti e Salerno ) mentre i due palli (stola circolare lunga e stretta che si porta al collo )ricordavano quelli indossati nelle  arcidiocesi di Chieti e di Salerno.

Acute riflessioni, a volte anche molto severe di Monterisi,  sul modo di vivere l’impegno religioso in particolare nel Mezzogiorno d’Italia, ricorda Gabriele De Rosa, furono già anticipate in età giovanile sul periodico “ Buon senso “.

Egli insisteva molto sugli effetti prodotti sul popolo dal regalismo giurisdizionale, cioè dalle dottrine che sostenevano le pretese assolutiste del re col diritto del monarca ad esercitare autorità giuridica e teologica sul clero nazionale. Il regalismo risultava strettamente legato al giurisdizionalismo  che insisteva sulla potestà dello Stato nei rapporti con la Chiesa.

Il presule Monterisi fin da giovane non aveva perplessità nel combattere l’ingerenza delle entità municipali e delle famiglie benestanti nella vita della parrocchia. Denunciava anche  il consistente numero di preti antivaticanisti, abituati a ‘ ricevere commende e favori da Napoli, perdendo di vista così Roma’.

Studi ed approfondimenti, compiuti da Mons. Monterisi con caparbietà, lo convincevano sempre più che la Chiesa del Mezzogiorno non fosse la chiesa delle encicliche papali, ‘ anche quelle di argomento esclusivamente religioso’, che restavano sconosciute al clero e al popolo. Così la sua pastorale si schierò apertamente contro quel cristianesimo contraddistinto da stanche abitudini, da conformismo tradizionale, da un lassismo indulgente che tendeva a non riconoscere l’obbligatorietà di una legge morale, con diffusi comportamenti molto tolleranti verso costumi e pratiche di vita eticamente discutibili.

Grazie ad una certosina opera di raccolta di libri, di giornali di enti religiosi, di documenti acquisiti presso associazioni di laici a carattere religioso,  Monterisi individuò e denunciò le cause dirette ed indirette che determinavano un rilevante numero di preti. I seminari più che accogliere adolescenti e giovani autenticamente orientati alla vocazione sacerdotale si riempivano di ragazzi orfani, di appartenenti a famiglie numerose o , addirittura, di giovani dalla salute cagionevole. 

In un questionario redatto dal presule qualche anno dopo il suo arrivo a Salerno chiedeva ai parroci il numero di processioni che si organizzavano all’anno nell’ambito della parrocchia, desiderava conoscere ancora  il costo delle feste esterne, il numero delle chiese e delle cappelle di proprietà privata rientranti nel territorio parrocchiale, in che modo venivano conservate le reliquie dei santi, l’eventuale pratica di litanie e preghiere non approvate dalla chiesa.

La condanna del presule era netta verso gli abusi, la richiesta dei fedeli di amministrare il battesimo e il matrimonio in casa, l’ostentazione delle offerte attaccate alle statue in processione, i fragori assordanti che accompagnavano le processioni. Antesignano del suo successore mons. Moretti, Monterisi prese posizioni ferme contro i percorsi lunghi delle processioni e certi discutibili riti animati dai portatori dinanzi ben determinate case private.

Dalla sottoscrizione dei Patti Lateranensi   tra il cardinale Pietro Gasparri e il primo ministro Mussollini erano trascorsi pochi mesi quando il 5 ottobre 1929 Mons. Monterisi fu trasferito alla sede primaziale di Salerno. Pertanto feconda fu la sua opera di alfabetizzazione e di formazione del clero sui temi più delicati introdotti quali la competenza affidata ai tribunali ecclesiastici in materia di processi matrimoniali, l’amministrazione dei beni ecclesiastici, il controllo delle Confraternite fino ad allora sottoposte alla vigilanza delle prefetture, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali.

Il presule osava di tanto in tanto affermare: “ sarà pure un buon parroco di campagna: una frase usata per secoli che, però, ha mutato di contenuto e di senso”. Egli si impegnò molto anche nella riorganizzazione dell’Azione Cattolica.

Nel 1935 così scriveva: “ Il popolo cristiano e in particolare le famiglie dovrebbero in altro modo concorrere a reclutare un degno clero. Bisogna permettere che il Sacerdote, nella Teologia cattolica, è l’uomo che si offre in olocausto a Dio, si offre ma è anche offerto dalla Chiesa, dal popolo, dalla famiglia da cui esce”. Per il presule, ricordato oggi anche nella santa messa concelebrata in mattinata al duomo, con la presenza del nipote cardinale Francesco Monterisi, fondamentale fu l’impegno a lavorare e a testimoniare una fede profonda, autentica dal punto di vista evangelico, ricca di pietà e di carità in alternativa alle lunghe e pessime abitudini contratte, in particolare nel Mezzogiorno d’Italia, a seguito del secolare processo di privatizzazione della vita ecclesiastica nei suoi rapporti coi fedeli.

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