Archivio per settembre, 2014

LA STRAGE DI SILLA DI SASSANO E GLI INEVITABILI INTERROGATIVI DEL DOPO

29 settembre 2014

Salerno, 29 settembre 2014

Ambrogio IETTO

Quanti interrogativi sulla tragedia di Sassano

La tragedia di Silla di Sassano per il numero e l’età delle vittime e, soprattutto, per come essa è stata generata non può porsi soltanto come oggetto di cronaca dal rilievo nazionale e di sconcerto più o meno generale.
Essa si accompagna ad una serie di domande che possono avere anche uno spaccato di stampo sociologico ma che riguardano essenzialmente la personalità del conduttore della potente auto e il contesto in cui la sua identità è maturata e si è consolidata.
La considerazione ovvia riguarda, in primo luogo, il comprensibile modo di trascorrere il pomeriggio di una domenica di settembre in una delle borgate più vivaci del Vallo di Diano per spirito di iniziativa dei suoi abitanti e per il fiorente sviluppo che nel tempo ha contraddistinto, in particolare, il comparto della produzione casearia.
Che un simpatico gruppo di ragazzi, tutti appassionati di calcio, si soffermi dinanzi ad un accorsato bar di paese e discuta sui risultati delle partite che arrivano man mano per il tramite dei canali televisivi, è spettacolo consueto in un mite pomeriggio di settembre e anche suggestivo soprattutto perché alimentato da diversità di opinioni e da vivacità giovanile. Ma che in quelle stesse ore un loro coetaneo scorazzi con una Bmw 520 con innestata la quinta marcia e, quindi, a velocità intollerabile in un centro abitato e a ridosso di un’isola spartitraffico, è chiara manifestazione di folle ed incosciente protagonismo.
Già il conducente. La tragedia si essenzializza proprio nella personalità contorta e per niente affidabile del ventiduenne Gianni Paciello.
a sua identità è pregna di dati negativi: ubriaco inzuppato di alcool, vita spericolata, un gravissimo, precedente incidente con l’inevitabile morto.
Le immancabili domande:
se una Bmw 520 a chilometri 0 è valutata oggi 48.900 euro e l’impegno produttivo del Paciello si limita alla compartecipazione nella gestione di un bar nella stessa Sassano, queste consistenti disponibilità finanziarie da dove arrivano ?
Chi scrive non è a conoscenza della situazione patrimoniale della famiglia d’origine né del reale stato economico del diretto interessato ma non può sottrarsi ad un altro incombente interrogativo: ammesso che si disponga di una simile somma è tollerabile o condivisibile che un’entità così consistente di euro venga impegnata per motivi sostanzialmente futili come va considerato l’infantile protagonismo di esibirsi per le giravolte e le piroette al fine di acquisire l’ammirazione delle coetanee e l’invidia di qualche immaturo coetaneo ?
Di certo i suoi genitori, che nella circostanza hanno perduto anche un proprio altro figlio di appena 15 anni, sicuramente non poche volte hanno cercato di dissuadere Gianni, manifestando ferma non condivisione dei suoi folli desideri. I loro tentativi, così, sono passati puntualmente nel dimenticatoio di una comoda ma offensiva scrollata di spalle.
In una situazione del genere la piccola comunità di Silla e di Sassano di fatto si è venuta a trovare in una precaria situazione di assoluta carenza di difesa. Gianni Paciello avrebbe avuto bisogno, oltre che di uno specifico trattamento psicologico finalizzato al debellamento della sua condizione di incallito alcoolista, facilitata dalla diretta gestione di un esercizio pubblico in cui si vendono bevande alcoliche, anche di una vigilanza ricorrente, puntuale da parte delle istituzioni pubbliche preposte al controllo del traffico.
Se la gente del posto sottolinea oggi l’ abitudinaria esibizione del Paciello in scorribande ed incursioni automobilistiche pericolose c’è da chiedersi: cosa si è fatto per togliere dalla strada un così pericoloso soggetto, minaccioso della pubblica incolumità ?
Le stesse dichiarazioni rilasciate dal sindaco Pellegrino ad un’emittente televisiva non smentiscono la presenza in zona di ragazzi che danno vita ad improvvisate gare automobilistiche mentre la coraggiosa decisione della Procura di Lagonegro di imputare Gianni Paciello di omicidio volontario sottolinea di fatto la presa in carico di alcuni fattori che confermerebbero il gusto ludico-sadico del Paciello di giocare con la morte altrui e propria.

UNA DONNA AL SERVIZIO DELLO STATO E DELLA SCUOLA

28 settembre 2014

Salerno, domenica 28 Settembre 2014
Ambrogio IETTO
IL SERVIZIO RESO ALL’ITALIA E ALLA SCUOLA
DA FRANCA FALCUCCI

Nei primi giorni di questo mese di settembre è scomparsa Franca Falcucci. Docente di filosofia e storia nei licei aveva militato attivamente nella Democrazia Cristiana, ricoprendo per molto tempo anche compiti e responsabilità di primo livello sia all’interno del partito di riferimento sia, in particolare, nei diversi governi succedutisi da luglio 1976 ( l’Andreotti III ) a luglio 1987 ( il Fanfani VI ).
Per ben sei legislature, dal 1968 al 1992, eletta al Senato della Repubblica, otto volte sottosegretario di Stato alla Pubblica Istruzione ( governi Andreotti III, Andreotti IV, Andreotti V, Cossiga I, Cossiga II, Forlani, Spadolini I e Spadolini II ), quattro volte ministro dell’istruzione dall’uno dicembre 1982 ( governo Fanfani V) al 28 luglio 1987 ( governi Craxi I, Craxi II e Fanfani VI ).
La notizia della sua dipartita è stata ripresa dai quotidiani nazionali che, tenendo conto di quanto diffuso dalle agenzie, si sono soffermati con particolare attenzione sul documento conclusivo della Commissione presieduta da Franca Falcucci, riservato al delicato tema dell’integrazione scolastica degli allievi con difficoltà di prevalente natura psicofisica.
La diffusione della relazione finale di questo lavoro collegiale avviene nel 1975, quando la prof. ssa Falcucci è semplice componente, dal giugno 1968, dell’assemblea di Palazzo Madama.
Il Palazzo della Minerva di viale Trastevere e le sedi universitarie sono da tempo nel mirino di centinaia di cortei di studenti che danno forza al movimento internazionale di protesta e di lotta contro la società capitalista. Dal 12 dicembre 1968 è ministro dell’istruzione l’irpino Fiorentino Sullo che, insofferente ed indisponibile alla contestazione dei giovani, dà l’incarico di visitare le scuole secondarie della penisola e di incontrare gli studenti a Carlo Buzzi, deputato parmense, suo sottosegretario alla pubblica istruzione, dirigente dell’Associazione Italiana Maestri Cattolici e, quindi, idoneo, anche per la precedente esperienza di docente, ad attutire, sia pure in parte, i fermenti contestativi.
Sullo si dimetterà da ministro dopo poco più di due mesi dal giuramento. A Mario Ferrari Aggradi, Riccardo Misasi e Oscar Luigi Scalfaro, che nell’ordine subentrarono nell’incarico, succede poi Franco Maria Malfatti rimasto in carica quasi cinque anni a viale Trastevere con governi diversi presieduti, nell’ordine, da Rumor, Moro ed Andreotti.
Malfatti si dimostra puntuale interprete delle motivazioni poste a fondamento delle proteste giovanili ed attento osservatore dei processi di cambiamento in atto anche nella società italiana.
Accompagna, così, in Parlamento, con particolare attenzione ed equilibrio, la legge di delega n. 477 del luglio 1973 sullo stato giuridico del personale direttivo, ispettivo, docente e non docente e sugli organi collegiali. Si adopera per l’affidamento a Maria Badaloni, già sottosegretario di Stato all’istruzione per ben nove volte e presidente storico dell’Associazione Italiana Maestri Cattolici, dell’incarico di coordinare i difficili lavori della Commissione cosiddetta dei ‘ trentasei ’, un consesso costituito da sindacalisti, rappresentanti di associazioni professionali, parlamentari delle diverse componenti politiche, e incaricato di predisporre i testi dei decreti delegati derivanti dalla legge n. 477/1973 e datati 31 maggio 1974.
A Franca Falcucci, altra autorevole esponente della realtà scolastica eletta al Senato della Repubblica, è affidato , come già accennato, l’incarico di coordinare i lavori della Commissione preposta a delineare indicazioni socio – pedagogiche e didattico – metodologiche per l’integrazione scolastica degli allievi handicappati.
Dopo un’essenziale ‘ premessa’ l’attenzione si concentra su ‘ un nuovo modo di essere della scuola, condizione della integrazione scolastica ‘, sul ‘ prototipo di scuola comune per l’integrazione’, sulle ‘strutture edilizie’ e su alcuni consigli di natura operativa riguardanti la scuola dell’infanzia.
Trattasi di un documento di particolare interesse che aprirà la strada ad importanti provvedimenti legislativi e che sarà ripreso anche in epoca recente nell’ambito della vincente pedagogia dell’inclusione.
Il quinto governo Moro e il successivo terzo governo Andreotti avviano il percorso parlamentare per due significativi provvedimenti legislativi: il DPR n. 616 del 24 luglio 1977, riguardante l’attuazione della delega di cui all’articolo 1 della legge 22 luglio 1975 e contenente ‘ norme sull’ordinamento regionale e sull’organizzazione della pubblica amministrazione’ e la legge n. 517 del 4 agosto 1977 che apporta modifiche significative all’ ordinamento scolastico.
Accanto al ministro Malfatti operano due straordinari sottosegretari, Franca Falcucci e Carlo Buzzi, che contribuiscono a dare una spinta significativa al prezioso lavoro avviato in precedenza dallo stesso ministro Malfatti. Il DPR n. 616/77 richiama nei dettagli i principi e i criteri direttivi da osservare nell’emanazione, su delega, dei conseguenti decreti governativi. Tra le disposizioni riguardanti il sistema scolastico assumono particolare interesse l’istruzione artigiana e professionale, la collaborazione in materia tra regione, enti locali e Stato, l’assistenza scolastica con la soppressione dei patronati scolastici e la contestuale attribuzione ai Comuni delle relative funzioni amministrative, i musei e le biblioteche degli enti locali, le attività di promozione educativa e culturale, il personale statale assegnato alle regioni.
La legge n. 517/1977 introduce una serie di innovazioni all’ordinamento scolastico: l’abolizione degli esami di passaggio dal primo al secondo ciclo della scuola elementare e quelli di riparazione e di seconda sessione nella scuola media,l’introduzione della scheda personale dell’alunno con i dati relativi alla formazione e al personale processo di apprendimento, la possibilità di sostituzione del libro di testo, nelle scuole elementari sperimentali, con altro materiale librario, la programmazione educativa comprendente attività scolastiche integrative organizzate per gruppi di alunni della stessa classe oppure di classi diverse, l’attivazione di forme di integrazione e di sostegno a favore degli alunni portatori di handicap da realizzare mediante l’utilizzazione di docenti in possesso di particolari titoli di specializzazione, il contenimento a 20 allievi delle classi che accolgono alunni portatori di handicap, la possibilità di utilizzare gli edifici e le attrezzature scolastiche, fuori dell’orario del servizio scolastico, per attività che realizzino la funzione della scuola come centro di promozione culturale, sociale e civile.
Franca Falcucci è la prima donna in Italia a ricoprire la carica di ministro della Pubblica Istruzione. Durante l’attività del primo Governo Craxi ella è molto attenta nel seguire i molteplici, delicati principi correlati con l’Accordo che lo Stato italiano sottoscrive con la Chiesa cattolica e riguardanti la scelta dell’insegnamento della religione da parte delle famiglie, la designazione dei docenti, le eventuali attività alternative, la possibilità per la Chiesa cattolica di istituire liberamente scuole di ogni ordine e grado e istituti di educazione.
Nel corso della permanenza della senatrice romana a viale Trastevere un altro importante documento è definito: l’approvazione del testo dei nuovi programmi per la scuola elementare la cui redazione, avviata dopo la costituzione della speciale Commissione da parte del ministro Bodrato, è risultata particolarmente laboriosa nonostante presidenza e coordinamento dei lavori siano affidati al compianto Mauro Laeng, pedagogista di prestigio internazionale.
Un punto particolarmente delicato riguarda proprio l’insegnamento della religione cattolica: riconoscimento dei valori religiosi nella vita dei singoli e della società, rispetto e garanzia della libertà di coscienza dei cittadini, impegno dello Stato ad assicurare nelle scuole lo svolgimento di specifici programmi di religione costituiscono principi essenziali dell’intesa. Soprattutto ai genitori è garantito, per i loro figli, il diritto di avvalersi o meno dell’insegnamento della religione cattolica.
Al ministro Falcucci compete l’onere di favorire l’applicazione delle norme contenute nei diversi decreti delegati : stato giuridico del personale ( n. 417/74 ), istituzione degli organi collegiali ( n. 416/74 ), sperimentazione e ricerca educativa, aggiornamento culturale e professionale, istituzione dei relativi istituti ( n. 419/74 ).
Un’attenzione particolare è rivolta all’aggiornamento del personale docente, direttivo ed ispettivo sui nuovi programmi della scuola primaria, alla definizione e al fiorente contenzioso delle norme regolative dei diversi organi collegiali, l’approvazione degli statuti degli Irrsae (Istituti Regionali di Ricerca, Sperimentazione ed Aggiornamenti Educativi ), del Centro Europeo dell’Educazione di Frascati ( Cede ), attuale Invalsi, della Biblioteca di Documentazione Pedagogica ( BDP ) di Firenze, attuale Indire. L’esperienza di governo probabilmente più sofferta per la senatrice Falcucci rimane la mancata approvazione della riforma della scuola secondaria secondo un disegno di legge contrastato, in dirittura d’arrivo, dai socialisti alleati di governo.
Nel deputato salernitano Michele Scozia alcuni anni prima si era prodotta la medesima delusione: la sua proposta di legge, presentata nel dicembre 1979, era stata approvata da un solo ramo del Parlamento a causa dell’anticipato scioglimento delle Camere.
Alla senatrice Falcucci, è doveroso ricordarlo, non mancavano senso dell’umorismo e battuta facile. Il redattore di queste note ricorda una lunga seduta, nel salone del Palazzo della Minerva a viale Trastevere, della Conferenza dei presidenti degli Irrsae.
Era stata concordata una breve interruzione per consumare un tramezzino e un caffè presso un bar vicino. Al rientro per la ripresa, testimone curioso l’amico Luciano Corradini, all’epoca presidente dell’Irrsae della Lombardia, allo scrivente venne la tentazione di acquistare, presso una signora seduta lungo gli scaloni del Palazzo, un fascio di gladioli di colore giallo scuro, unico colore disponibile. I fiori furono regalati al ministro accompagnati da un baciamano.
La senatrice Falcucci proferì con immediatezza: “ Caro Ietto lei è campano ed accompagna l’atto di per sé gentile con un segnale di galanteria. Però non mi dica che conosce anche il linguaggio dei fiori “.
“ No, senatrice, non conosco il linguaggio dei fiori “ fu la risposta. “ Allora la perdono. Infatti sappia che il giallo scuro simbolizza slealtà, tradimento, ambizione, gelosia, inganno, perfidia. Non credo proprio di essere portatrice di tutte queste deteriori qualità! ”.
L’episodio si chiuse così ma a chi scrive, nel ricordare di questa donna l’intelligenza vivace, la forte spiritualità, la coerenza nelle idee che esprimeva, la determinazione nelle scelte, il prezioso servizio offerto all’Italia e alla scuola, piace anche richiamare l’ironia e la vivacità di spirito, l’espressione pungente, la favorevole disposizione d’animo nei riguardi dell’occasionale interlocutore.

LA PROCESSIONE DI SAN MATTEO A SALERNO: LA RESPONSABILITA’ OGGETTIVA DEL SINDACO DE LUCA

25 settembre 2014

Salerno, 25 Settembre 2014

Ambrogio IETTO

LE NON POCHE DOPPIE FACCE DELLA CITTA’

Molte biografie di Michelangelo Naccherino, fiorentino di nascita ma artista particolarmente attivo nel Regno di Napoli e di Sicilia, non riportano tra le sue realizzazioni migliori la statua di San Matteo conservata nella cripta del duomo di Salerno. Nell’ottimo lavoro ‘ La cattedrale di Salerno’del compianto Roberto Di Stefano, professore emerito di ‘Restauro dei monumenti’ presso la facoltà di Architettura di Napoli, si legge che Naccherino esegui nel 1606 “ le due belle statue di S. Matteo per l’altare bifronte, posto al centro del succorpo, al di sopra della tomba del Santo fondatore “.
Nel medesimo volume, all’inizio della prefazione redatta dal compianto arcivescovo Guerino Grimaldi, si fa riferimento alla lettera di felicitazione che papa Gregorio VII faceva pervenire all’Arcivescovo Alfano I per avergli subito comunicato la notizia del ritrovamento delle reliquie di S. Matteo tra le rovine della vecchia cattedrale. In questa nota, redatta il 18 settembre 1080 dal pontefice che, successivamente, avrebbe raggiunto in esilio Salerno ove morì il 25 maggio 1085, veniva sollecitato Alfano I a convincere Roberto il Guiscardo e sua moglie Sichelgaita “ a mostrarsi degni di un così grande Patrono, che a loro si è compiaciuto rivelarsi; a lui portino riverenza e devozione e, con l’ossequio profondo, cerchino di assicurarsi per sé e i loro sudditi la grazia e la protezione“.
Il sindaco De Luca, da qualcuno denominato Vincenzo I da Ruvo del Monte, convinto da sempre che la storia della città cominci con la sua ascesa al potere, cioè da quel 22 maggio 1993, quando occupò ad interim, per la prima volta, il seggio di primo cittadino, intuì già molti anni fa che la ricorrenza della festa del Patrono costituisse un’occasione da non farsi sfuggire per accreditarsi sempre di più presso la componente della città più espressiva della cosiddetta religiosità popolare.
Egli, maturato all’ombra del populismo più redditizio, quello dell’agitatore di professione dei contadini e degli operai della Piana del Sele, riuscì ad accreditarsi, col medesimo stile e con la stessa metodica, presso gli ambienti della città più attenti e sensibili al carisma di una persona percepita come decisionista, caparbia, cocciuta.
Questo stile di conduzione della cosa pubblica, col tempo, ha fatto proseliti anche in comparti non propriamente popolari: nell’archivio di qualche emittente televisiva locale, ad esempio, è di certo conservato un video in cui il direttore didattico pro-tempore delle scuole primarie di Medaglie d’Oro s’inchina e bacia la mano a De Luca nel giorno di inizio dell’anno scolastico; così come non sono pochi i tanti ex parroci della città che, a seguito di interventi comunali di ripristino dei sagrati e di altro delle loro chiese, sono entrati nei ranghi di grandi moltiplicatori del consenso elettorale del sindaco; mons. Pierro, predecessore di Mons. Moretti, nel periodo quaresimale della Pasqua 2006, volle che la lettera da lui redatta per i fedeli venisse presentata presso il Salone dei Marmi di Palazzo di Città e non nel più austero Salone degli Stemmi. Sindaco dell’epoca era De Biase ma l’unico uomo politico presente in prima fila fu il parlamentare De Luca.
Sono tanti gli episodi, compresi la concessione della cittadinanza onoraria allo stesso Mons. Pierro e i positivi rapporti per la compravendita di qualche bene immobiliare della Chiesa da parte dell’ente locale, a rendere in quell’epoca armoniche le relazioni tra Palazzo di Città e Via Roberto il Guiscardo.
Marco Demarco sul ‘Corriere del Mezzogiorno’ di ieri non ha perplessità nello scrivere che “ quello di De Luca è stato un atto di guerriglia, mai esplicito, ai danni dell’arcivescovo Luigi Moretti”.
La sceneggiata avviata in mattinata dal sindaco in duomo prima del pontificale, mediatrice non una cittadina qualsiasi ma il prefetto di Salerno della Repubblica Italiana, il linguaggio ipocrita della vigilia finalizzato ad anticipare il carattere sobrio e spiccatamente religioso della processione, il portone di ingresso al municipio lasciato aperto con la presenza decorativa dei vigili urbani, la mancata partecipazione alla processione, costituiscono manifestazioni inconfutabili di quanto, in realtà, De Luca desiderasse effettivamente da mons. Moretti.
La doppia scultura raffigurante San Matteo si giustificava con la presenza dell’altare bifronte. L’attribuzione delle due facce ai salernitani è comoda operazione di volgarizzamento anche se, in verità, non mancano personaggi, imbottiti di particole di farina azzima, cui piace da sempre attivare il doppiogioco tra Dio e Cesare, tra la realtà curiale e palazzo di Città.
Monsignor Moretti, estraneo alla storia e all’antropologia della comunità salernitana, è risultato la vittima designata da umiliare e mortificare per dare puntuale riscontro alla ‘ voce del padrone’.

DUE RAPPRESENTANTI DELLE ISTITUZIONI AFFETTI DALLA SINDROME DELLA TESTARDAGGINE

23 settembre 2014

Salerno, 23 Settembre 2014

Ambrogio IETTO

UN INSANABILE CONTRASTO TRA SINDACO E PRESULE
TRASFORMA SALERNO IN CITTA’ “ CAMORRISTICA”

Dove sono andate a finire la sobrietà, la morigeratezza, la temperanza, la consapevolezza di prender parte e di assistere ad un rito consolidatosi nel tempo a seguito di una religiosità , di un sentimento del sacro, se si vuole anche un po’ superficiale e contraddittorio, ma comunque di memoria secolare, trasmesso, nel corso dei decenni, in migliaia di famiglie da padre in figlio ?
Confuso tra centinaia di fedeli e curiosi schierati lungo il corso Vittorio Emanuele non ho avuto il piacere, da credente – peccatore, di ascoltare una sola persona, donna o uomo, giovane o di età avanzata, accogliere e compartecipare alle poste del rosario che un volitivo seminarista scandiva e diffondeva mediante un impianto microfonico itinerante.
Commenti e considerazioni, invece, si soprapponevano in relazione alle notizie che arrivavano, per il tramite dei cellulari, dall’atrio del duomo o lungo via Mercanti. Sapevamo già delle tensioni maturate in mattinata all’interno del duomo tra il sindaco De Luca, graffiante e sarcastico come sempre, e il paziente parroco don Antonio Quaranta. Al centro della discussione il posto assegnato al sindaco per partecipare alla messa/pontificale in onore di san Matteo.
La mediazione immediatamente svolta da parte della dr. ssa Pantalone,da tempo allenata a metter pace tra i contradaioli di Siena, contribuiva ad attutire l’entità del round iniziale cui, però, faceva seguito la non celata severità dell’intervento dell’Arcivescovo Mons. Moretti.
La forzosa fermata a Piazza Portanova e l’avvio delle trasgressioni da parte dei portatori, intenzionati a consolidare i giravolta della statua del Santo protettore, rendevano ancora più pesante il clima aggravato dalla decisione del sindaco De Luca di non partecipare alla processione, chiamando a sostituirlo dalla panchina la sorridente e pacata vice – sindaco Eva Avossa.
La puntuale cronaca della processione, redatta dai quotidiani e dalle emittenti locali , hanno informato curiosi e fedeli di una serie di insofferenze e di intolleranze esplose durante l’itinerario tra i portatori e lo stesso Arcivescovo. Nei primi si consolidava il principio di agire di testa propria nel solco della secolare tradizione, richiamata a volte anche strumentalmente, mentre Monsignor Moretti decideva di procedere, comunque, insieme con le rappresentanze del laicato cattolico.
Disorganizzazione e anarchia prendevano di fatto possesso della processione. Nonostante le disposizioni impartite la statua del Patrono si affacciava all’altezza della caserma della Guardia di Finanza, a Piazza Sant’Agostino le statue, con quella di San Matteo in testa, venivano sistemate a terra a mo’ di protesta e di insofferenza verso l’autorità vescovile; più avanti, a Palazzo di città, il portone, presidiato da vigili urbani, era aperto, pronto ad accogliere, secondo una molto probabile e subdola intesa, portatori e statue.
Così i reggitori entravano con le statue dentro l’edificio tra gli applausi dei presenti, pronti ad indirizzare anche fischi all’Arcivescovo.
Pure il finale della processione ha avuto poco di religione e molto di deliberata avversità nei riguardi della Chiesa e del suo pastore. Il sospetto di un piano ben programmato, all’insegna della disobbedienza e dell’intolleranza, era e rimane nel convincimento di molti.
Parte della comunità salernitana, alla vigilia ipocritamente preparata alla sobrietà e al culto, è esplosa in modo indegno, non raccogliendo alla fine nemmeno l’invito a segnarsi con la croce.
Ovviamente saranno le autorità di Polizia ad accertare l’ipotetica ideazione di un piano preordinato al dissenso e alla contestazione della Chiesa locale e dell’Arcivescovo mons. Moretti a cui onestà intellettuale non può non rilevare qualche ingenuità e alcuni non trascurabili errori.
Il divieto dell’entrata della statua del Santo a Palazzo di città va ampiamente condiviso tra quanti sono dotati di una sufficiente dose di autocritica. Sono vent’anni che la processione del Patrono è diventata passerella privilegiata per De Luca che l’ha sfruttata nel peggiore dei modi, attivando nella comunità un esercizio ludico finalizzato a valutare, con l’impiego dei naturali strumenti acustici, la comparazione degli applausi riservati all’Arcivescovo della diocesi e, quindi, all’effigie di san Matteo, con quelli riservati al sindaco.
La prima metà del mese di settembre, inoltre, viene riservata all’inaugurazione di opere da realizzare e di altre, tante volte inaugurate ma mai avviate e concluse. Si è consolidato, così, nell’opinione pubblica più ingenua e semplice, il convincimento che l’onorevole De Luca abbia ricevuto delega speciale da parte di San Matteo di essere lui, de facto, il protettore di Salerno.
Mons. Moretti, per risultare equidistante, ha espresso lo stesso parere contrario al ‘saluto’ della statua del Patrono nei riguardi del luogo ove soggiorna il Corpo speciale della Guardia di Finanza, eludendo quanto è puntualmente annotato nel sito dell’Ordinariato Militare in Italia che indica “Matteo santo Evangelista, Patrono della Guardia di Finanza ( 21 settembre )’ alla stessa maniera di ‘Francesco d’Assisi Santo, Patrono d’Italia ( 4 ottobre )’.
Lo stesso documento ‘Evangelizzare la pietà popolare’, votato l’anno scorso dalla Conferenza Episcopale Campana, ad avviso di chi scrive, è stato interpretato in termini straordinariamente restrittivi. Papa Giovanni Paolo II aveva definito la pietà popolare ‘un vero tesoro del Popolo di Dio, strumento di evangelizzazione e di liberazione cristiana’.
Nel documento vengono riconosciuti valori della pietà popolare la spontaneità, l’apertura alla trascendenza, il linguaggio totale, la concretezza, la saggezza, la memoria “ che porta a trasmettere il passato come ‘racconto’ e a vederlo come un fattore di identità per il gruppo e la collettività “.
Escluse le forme colorate e rumorose potevano essere partecipate ai portatori altre concessioni che non avrebbero compromesso la ‘interiorizzazione del culto’. Una graduale opera di garbata, tenera evangelizzazione del folto gruppo dei portatori avrebbe potuto elevare in loro la consapevolezza di essere coprotagonisti di un rito dalla profonda dimensione religiosa.
La rigidità, l’intransigenza, la ferma determinazione, ad avviso di chi scrive, hanno giocato un brutto scherzo a Monsignor Moretti, diventato cosi incolpevole destinatario dei lazzi dei seguaci dell’emulo locale di Enrico IV il quale, pur avendolo accolto festosamente più volte a Palazzo di Città come papa Gregorio VII a Canossa, non ha indugiato poi a rivelare la vera identità di Vincenzo I da Ruvo del Monte.

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