MINORI VITTIME A PALMA CAMPANIA ( NAPOLI ) DI INSEGNANTI IRRESPONSABILI ED INADEGUATI AD UNA SIGNIFICATIVA RELAZIONE EDUCATIVA

Salerno, 5 settembre 2014

Ambrogio IETTO
Violenze a scuola

Commenti, interviste, interventi di esperti si susseguono sulla stampa e sulle emittenti radiofoniche e televisive locali e nazionali da quando sono stati resi noti i tristissimi fatti accertati presso la scuola dell’infanzia di Palma Campania.
Chi scrive, che per hobby fa l’editorialista su un quotidiano di provincia e, per la presunzione di veder circolare in rete qualche sua opinabile idea, ha la testa fresca di curare e gestire, con evidenti limiti soprattutto dal punto di vista tecnico – informatico, un blog personale, non può consumare un peccato di omertosa, voluta complicità, evitando di entrare nel merito di quanto accaduto in quell’aula anche alla luce delle dichiarazioni del procuratore capo della Repubblica di Nola e delle considerazioni espresse sul ‘Corriere del Mezzogiorno ‘ di ieri da Vincenzo Spadafora, già presidente per un triennio del Comitato Italiano per l’Unicef e dal 2011 primo titolare dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, originario di Afragola, centro distante pochi chilometri da Palma Campania.
Chi scrive, dunque, è stato maestro di scuola primaria, ha compiuto studi di taglio psico – pedagogico, ha insegnato per un quinquennio didattica presso un vecchio istituto magistrale che abilitava alla funzione docente nelle scuole primarie e favoriva l’accesso anche alle scuole materne del tempo; per oltre un trentennio ha svolto le funzioni di direttore didattico e, quindi, di dirigente scolastico per poi sottoscrivere un contratto da dirigente tecnico ( ex ispettore scolastico ).
Per oltre un decennio, a seguito di speciale autorizzazione del Ministero dell’Istruzione, è stato chiamato ad insegnare, presso il corso di laurea dell’Università di Salerno che abilita alla funzione docente presso le scuole primarie e dell’infanzia, discipline quali docimologia, metodologia e tecnica del lavoro di gruppo e tecniche di osservazione del comportamento infantile.
Tra le particolari esperienze professionali, riguardanti la scuola dell’infanzia, nel 1980 fu chiamato a presiedere a Napoli un concorso a posti di insegnante di scuola materna ( questa la denominazione dell’epoca ) con 15.045 candidati presenti alla prova scritta di cui soltanto 2.770 ammessi alla prova orale. Il concorso, articolato in ben 31 sottocommissioni, coinvolse direttamente chi scrive e 92 donne in quanto i commissari, per legge, dovevano essere solo docenti di scuola materna statale il cui ruolo all’epoca era costituito, a seguito della norma istitutiva n. 444/68, solo da appartenenti al genere femminile.
Il numero molto contenuto di ammessi alla prova orale ( 18,41 % ) costò allo scrivente ricorrenti minacce alla vita ed un’assistenza permanente da parte degli organi di Polizia sia di Salerno sia di Napoli.
La lunga premessa, della quale si chiede doverose scuse al lettore, si considera utile per esprimere alcune essenziali considerazioni. La prima riguarda il meccanismo di reclutamento di questi docenti: al momento, per acquisire il titolo abilitante ad insegnante di scuola dell’infanzia, dopo la conclusione di un corso quinquennale di studi secondari, è necessario affrontare test preselettivi in quanto il corso previsto di laurea magistrale è a numero chiuso ed ha una durata di cinque anni.
Successivamente occorre vincere il concorso a cattedra che periodicamente il Ministero dell’Istruzione bandisce. In sostanza il docente di scuola dell’infanzia oggi segue un percorso di studi di durata simile a quello completo ( 3+2 ) di un laureato in chimica o in legge oppure in ingegneria o economia. Quindi, nulla da eccepire sulla volontà del nostro legislatore di dare dignità e spessore culturale e specialistico anche ai docenti della scuola primaria e dell’infanzia.
Il problema, dunque, è nella oggettiva difficoltà ad accertare, anche in sede di esame di concorso, aspetti distintivi della personalità del candidato rispondenti al profilo ideale dell’insegnante preposto ad una delicatissima relazione educativa finalizzata alla conquista, da parte di bambini della fascia 2 anni e mezzo/sei anni, di un livello di autonomia che consenta loro di avere fiducia in sé e negli altri, mirata anche al consolidamento della personale identità e alla conquista di competenze che consentano di ‘ muoversi, manipolare, curiosare, domandare, imparare a riflettere sull’esperienza attraverso l’esplorazione, l’osservazione e il confronto tra proprietà, quantità, caratteristiche, fatti ‘ ( Indicazioni Nazionali 2012 ). Quella sezione di scuola dell’infanzia di Palma Campania, invece, con la prova dei 66 video acquisiti dall’autorità inquirente, purtroppo si caratterizzava quale ambiente strutturato sulla pratica della violenza, della prevaricazione e della ricorrente offesa dell’identità sacra dei bambini.
Le espressioni sofferte partecipate alla stampa dal dirigente scolastico e riascoltabili in rete, purtroppo, sconcertano anche un ex addetto ai lavori come chi scrive. Con la concessione, da parte del legislatore, dell’autonomia organizzativa, didattica, di sperimentazione, di ricerca e di sviluppo alle singole istituzioni scolastiche, si va consolidando il convincimento, tra molti dirigenti scolastici, della immobilità della loro funzione, della permanente loro collocazione al di dietro della scrivania del proprio ufficio per il disbrigo di compiti sicuramente delicati ed a volte complessi che contraddistinguono la quotidianità del loro lavoro. Nessuna norma, però, impedisce di far visita alle classi e alle sezioni della scuola dell’infanzia. Non ci si può sentire tranquilli per la delega assegnata a collaboratori di plesso o a responsabili di funzioni.
L’attività dirigenziale nella scuola si esprime anche nei ricorrenti incontri con bambini e fanciulli e coi loro insegnanti al fine di manifestare l’attenzione e l’interesse dell’istituzione al percorso formativo tracciato, al livello di coinvolgimento delle scolaresche alle attività didattiche ed educative, al clima generale che si percepisce del gruppo organizzato in sezioni o classi, al grado di gioiosità e di complessiva serenità che traspare da episodiche interlocuzioni con gli alunni.
Questa frequente presenza, che ha un’essenziale funzione anche preventiva sul comportamento professionale degli insegnanti, si traduce, inoltre, in un messaggio di sicurezza per le famiglie.
Nel caso specifico il dirigente, da quanto da lui dichiarato, accompagna in auto ogni mattina una sua bambina frequentante la scuola primaria dello stesso plesso. Di tanto in tanto una visita agli insegnanti e agli alunni delle classi e delle sezioni del plesso avrebbe offerto la possibilità di porre domande ai bambini, di chiedere del grado di benessere raggiunto all’interno della propria comunità educativa, di verificare il livello di inclusione raggiunto dagli stessi.
L’occhio attento di chi ha compiuto studi di natura psico-pedagogica, riferiti agli stadi evolutivi attraversati dalle scolaresche operanti nell’ambito della propria circoscrizione amministrativa, consente di cogliere atteggiamenti, manifestazioni comportamentali, reazioni dei bambini che possono lasciar ipotizzare situazioni di disagio e di difficoltà.
Infine non può essere ignorata la subcultura del silenzio omertoso tra i genitori, così diffusa nei nostri ambienti scolastici. Essa esprime anche la consolidata, brutta abitudine di tante madri e di tanti padri a non dar vita quotidianamente ad un’interazione comunicativa coi propri figli, finalizzata a dare significato alla frequenza scolastica e alle attività che si svolgono all’interno delle pareti dell’aula e negli spazi riservati alle attività ludiche e comunitarie.

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