DUE RAPPRESENTANTI DELLE ISTITUZIONI AFFETTI DALLA SINDROME DELLA TESTARDAGGINE

Salerno, 23 Settembre 2014

Ambrogio IETTO

UN INSANABILE CONTRASTO TRA SINDACO E PRESULE
TRASFORMA SALERNO IN CITTA’ “ CAMORRISTICA”

Dove sono andate a finire la sobrietà, la morigeratezza, la temperanza, la consapevolezza di prender parte e di assistere ad un rito consolidatosi nel tempo a seguito di una religiosità , di un sentimento del sacro, se si vuole anche un po’ superficiale e contraddittorio, ma comunque di memoria secolare, trasmesso, nel corso dei decenni, in migliaia di famiglie da padre in figlio ?
Confuso tra centinaia di fedeli e curiosi schierati lungo il corso Vittorio Emanuele non ho avuto il piacere, da credente – peccatore, di ascoltare una sola persona, donna o uomo, giovane o di età avanzata, accogliere e compartecipare alle poste del rosario che un volitivo seminarista scandiva e diffondeva mediante un impianto microfonico itinerante.
Commenti e considerazioni, invece, si soprapponevano in relazione alle notizie che arrivavano, per il tramite dei cellulari, dall’atrio del duomo o lungo via Mercanti. Sapevamo già delle tensioni maturate in mattinata all’interno del duomo tra il sindaco De Luca, graffiante e sarcastico come sempre, e il paziente parroco don Antonio Quaranta. Al centro della discussione il posto assegnato al sindaco per partecipare alla messa/pontificale in onore di san Matteo.
La mediazione immediatamente svolta da parte della dr. ssa Pantalone,da tempo allenata a metter pace tra i contradaioli di Siena, contribuiva ad attutire l’entità del round iniziale cui, però, faceva seguito la non celata severità dell’intervento dell’Arcivescovo Mons. Moretti.
La forzosa fermata a Piazza Portanova e l’avvio delle trasgressioni da parte dei portatori, intenzionati a consolidare i giravolta della statua del Santo protettore, rendevano ancora più pesante il clima aggravato dalla decisione del sindaco De Luca di non partecipare alla processione, chiamando a sostituirlo dalla panchina la sorridente e pacata vice – sindaco Eva Avossa.
La puntuale cronaca della processione, redatta dai quotidiani e dalle emittenti locali , hanno informato curiosi e fedeli di una serie di insofferenze e di intolleranze esplose durante l’itinerario tra i portatori e lo stesso Arcivescovo. Nei primi si consolidava il principio di agire di testa propria nel solco della secolare tradizione, richiamata a volte anche strumentalmente, mentre Monsignor Moretti decideva di procedere, comunque, insieme con le rappresentanze del laicato cattolico.
Disorganizzazione e anarchia prendevano di fatto possesso della processione. Nonostante le disposizioni impartite la statua del Patrono si affacciava all’altezza della caserma della Guardia di Finanza, a Piazza Sant’Agostino le statue, con quella di San Matteo in testa, venivano sistemate a terra a mo’ di protesta e di insofferenza verso l’autorità vescovile; più avanti, a Palazzo di città, il portone, presidiato da vigili urbani, era aperto, pronto ad accogliere, secondo una molto probabile e subdola intesa, portatori e statue.
Così i reggitori entravano con le statue dentro l’edificio tra gli applausi dei presenti, pronti ad indirizzare anche fischi all’Arcivescovo.
Pure il finale della processione ha avuto poco di religione e molto di deliberata avversità nei riguardi della Chiesa e del suo pastore. Il sospetto di un piano ben programmato, all’insegna della disobbedienza e dell’intolleranza, era e rimane nel convincimento di molti.
Parte della comunità salernitana, alla vigilia ipocritamente preparata alla sobrietà e al culto, è esplosa in modo indegno, non raccogliendo alla fine nemmeno l’invito a segnarsi con la croce.
Ovviamente saranno le autorità di Polizia ad accertare l’ipotetica ideazione di un piano preordinato al dissenso e alla contestazione della Chiesa locale e dell’Arcivescovo mons. Moretti a cui onestà intellettuale non può non rilevare qualche ingenuità e alcuni non trascurabili errori.
Il divieto dell’entrata della statua del Santo a Palazzo di città va ampiamente condiviso tra quanti sono dotati di una sufficiente dose di autocritica. Sono vent’anni che la processione del Patrono è diventata passerella privilegiata per De Luca che l’ha sfruttata nel peggiore dei modi, attivando nella comunità un esercizio ludico finalizzato a valutare, con l’impiego dei naturali strumenti acustici, la comparazione degli applausi riservati all’Arcivescovo della diocesi e, quindi, all’effigie di san Matteo, con quelli riservati al sindaco.
La prima metà del mese di settembre, inoltre, viene riservata all’inaugurazione di opere da realizzare e di altre, tante volte inaugurate ma mai avviate e concluse. Si è consolidato, così, nell’opinione pubblica più ingenua e semplice, il convincimento che l’onorevole De Luca abbia ricevuto delega speciale da parte di San Matteo di essere lui, de facto, il protettore di Salerno.
Mons. Moretti, per risultare equidistante, ha espresso lo stesso parere contrario al ‘saluto’ della statua del Patrono nei riguardi del luogo ove soggiorna il Corpo speciale della Guardia di Finanza, eludendo quanto è puntualmente annotato nel sito dell’Ordinariato Militare in Italia che indica “Matteo santo Evangelista, Patrono della Guardia di Finanza ( 21 settembre )’ alla stessa maniera di ‘Francesco d’Assisi Santo, Patrono d’Italia ( 4 ottobre )’.
Lo stesso documento ‘Evangelizzare la pietà popolare’, votato l’anno scorso dalla Conferenza Episcopale Campana, ad avviso di chi scrive, è stato interpretato in termini straordinariamente restrittivi. Papa Giovanni Paolo II aveva definito la pietà popolare ‘un vero tesoro del Popolo di Dio, strumento di evangelizzazione e di liberazione cristiana’.
Nel documento vengono riconosciuti valori della pietà popolare la spontaneità, l’apertura alla trascendenza, il linguaggio totale, la concretezza, la saggezza, la memoria “ che porta a trasmettere il passato come ‘racconto’ e a vederlo come un fattore di identità per il gruppo e la collettività “.
Escluse le forme colorate e rumorose potevano essere partecipate ai portatori altre concessioni che non avrebbero compromesso la ‘interiorizzazione del culto’. Una graduale opera di garbata, tenera evangelizzazione del folto gruppo dei portatori avrebbe potuto elevare in loro la consapevolezza di essere coprotagonisti di un rito dalla profonda dimensione religiosa.
La rigidità, l’intransigenza, la ferma determinazione, ad avviso di chi scrive, hanno giocato un brutto scherzo a Monsignor Moretti, diventato cosi incolpevole destinatario dei lazzi dei seguaci dell’emulo locale di Enrico IV il quale, pur avendolo accolto festosamente più volte a Palazzo di Città come papa Gregorio VII a Canossa, non ha indugiato poi a rivelare la vera identità di Vincenzo I da Ruvo del Monte.

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