LA PROCESSIONE DI SAN MATTEO A SALERNO: LA RESPONSABILITA’ OGGETTIVA DEL SINDACO DE LUCA

Salerno, 25 Settembre 2014

Ambrogio IETTO

LE NON POCHE DOPPIE FACCE DELLA CITTA’

Molte biografie di Michelangelo Naccherino, fiorentino di nascita ma artista particolarmente attivo nel Regno di Napoli e di Sicilia, non riportano tra le sue realizzazioni migliori la statua di San Matteo conservata nella cripta del duomo di Salerno. Nell’ottimo lavoro ‘ La cattedrale di Salerno’del compianto Roberto Di Stefano, professore emerito di ‘Restauro dei monumenti’ presso la facoltà di Architettura di Napoli, si legge che Naccherino esegui nel 1606 “ le due belle statue di S. Matteo per l’altare bifronte, posto al centro del succorpo, al di sopra della tomba del Santo fondatore “.
Nel medesimo volume, all’inizio della prefazione redatta dal compianto arcivescovo Guerino Grimaldi, si fa riferimento alla lettera di felicitazione che papa Gregorio VII faceva pervenire all’Arcivescovo Alfano I per avergli subito comunicato la notizia del ritrovamento delle reliquie di S. Matteo tra le rovine della vecchia cattedrale. In questa nota, redatta il 18 settembre 1080 dal pontefice che, successivamente, avrebbe raggiunto in esilio Salerno ove morì il 25 maggio 1085, veniva sollecitato Alfano I a convincere Roberto il Guiscardo e sua moglie Sichelgaita “ a mostrarsi degni di un così grande Patrono, che a loro si è compiaciuto rivelarsi; a lui portino riverenza e devozione e, con l’ossequio profondo, cerchino di assicurarsi per sé e i loro sudditi la grazia e la protezione“.
Il sindaco De Luca, da qualcuno denominato Vincenzo I da Ruvo del Monte, convinto da sempre che la storia della città cominci con la sua ascesa al potere, cioè da quel 22 maggio 1993, quando occupò ad interim, per la prima volta, il seggio di primo cittadino, intuì già molti anni fa che la ricorrenza della festa del Patrono costituisse un’occasione da non farsi sfuggire per accreditarsi sempre di più presso la componente della città più espressiva della cosiddetta religiosità popolare.
Egli, maturato all’ombra del populismo più redditizio, quello dell’agitatore di professione dei contadini e degli operai della Piana del Sele, riuscì ad accreditarsi, col medesimo stile e con la stessa metodica, presso gli ambienti della città più attenti e sensibili al carisma di una persona percepita come decisionista, caparbia, cocciuta.
Questo stile di conduzione della cosa pubblica, col tempo, ha fatto proseliti anche in comparti non propriamente popolari: nell’archivio di qualche emittente televisiva locale, ad esempio, è di certo conservato un video in cui il direttore didattico pro-tempore delle scuole primarie di Medaglie d’Oro s’inchina e bacia la mano a De Luca nel giorno di inizio dell’anno scolastico; così come non sono pochi i tanti ex parroci della città che, a seguito di interventi comunali di ripristino dei sagrati e di altro delle loro chiese, sono entrati nei ranghi di grandi moltiplicatori del consenso elettorale del sindaco; mons. Pierro, predecessore di Mons. Moretti, nel periodo quaresimale della Pasqua 2006, volle che la lettera da lui redatta per i fedeli venisse presentata presso il Salone dei Marmi di Palazzo di Città e non nel più austero Salone degli Stemmi. Sindaco dell’epoca era De Biase ma l’unico uomo politico presente in prima fila fu il parlamentare De Luca.
Sono tanti gli episodi, compresi la concessione della cittadinanza onoraria allo stesso Mons. Pierro e i positivi rapporti per la compravendita di qualche bene immobiliare della Chiesa da parte dell’ente locale, a rendere in quell’epoca armoniche le relazioni tra Palazzo di Città e Via Roberto il Guiscardo.
Marco Demarco sul ‘Corriere del Mezzogiorno’ di ieri non ha perplessità nello scrivere che “ quello di De Luca è stato un atto di guerriglia, mai esplicito, ai danni dell’arcivescovo Luigi Moretti”.
La sceneggiata avviata in mattinata dal sindaco in duomo prima del pontificale, mediatrice non una cittadina qualsiasi ma il prefetto di Salerno della Repubblica Italiana, il linguaggio ipocrita della vigilia finalizzato ad anticipare il carattere sobrio e spiccatamente religioso della processione, il portone di ingresso al municipio lasciato aperto con la presenza decorativa dei vigili urbani, la mancata partecipazione alla processione, costituiscono manifestazioni inconfutabili di quanto, in realtà, De Luca desiderasse effettivamente da mons. Moretti.
La doppia scultura raffigurante San Matteo si giustificava con la presenza dell’altare bifronte. L’attribuzione delle due facce ai salernitani è comoda operazione di volgarizzamento anche se, in verità, non mancano personaggi, imbottiti di particole di farina azzima, cui piace da sempre attivare il doppiogioco tra Dio e Cesare, tra la realtà curiale e palazzo di Città.
Monsignor Moretti, estraneo alla storia e all’antropologia della comunità salernitana, è risultato la vittima designata da umiliare e mortificare per dare puntuale riscontro alla ‘ voce del padrone’.

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