A SALERNO IL CONVEGNO NAZIONALE ORGANIZZATO DALLA CEI SUL TEMA ” NELLA PRECARIETA’, LA SPERANZA ”

Salerno. 26 ottobre 2014

Ambrogio IETTO

EDUCARE ALLA SPERANZA

Oggi, presso il Grand Hotel Salerno, si concludono i lavori del Convegno Nazionale sul tema “Nella precarietà, la speranza”, voluto da ben tre commissioni operanti all’interno della Conferenza Episcopale Italiana: quelle per il laicato, per la famiglia e la vita e, infine, la commissione per i problemi sociali e il lavoro.
Il programma, particolarmente nutrito, è stato illustrato, prima dell’apertura dei lavori, venerdì scorso al Palazzo Arcivescovile di Salerno da mons. Giancarlo Maria Bregantini, vescovo di Campobasso e presidente della stessa Commissione Episcopale per il lavoro. Ieri, al centro del dibattito, l’intervento di Giuliano Poletti, ministro del lavoro e delle politiche sociali, centrato sull’esigenza di andare oltre le drammatiche cifre riguardanti il numero dei giovani disoccupati per impegnarsi responsabilmente nella ricerca di credibili soluzioni.
La scelta di Salerno e, quindi, di un territorio del Mezzogiorno particolarmente provato da un tasso di disoccupazione giovanile piuttosto grave non è casuale.
Le oggettive difficoltà che quotidianamente si consolidano sempre di più e impediscono di fatto l’avvio della tanto attesa fase della ripresa e della crescita, pur individuando nelle potenzialità cognitive e creative dei giovani delle possibili, sommerse risorse per un’effettiva uscita dall’attuale situazione di stagno, trovano da noi non trascurabili ostacoli soprattutto sul versante psicologico.
Ci sono giovani, più consapevoli del personale patrimonio di competenze acquisite nel corso degli studi di secondo grado e universitari, dotati anche di spiccata intraprendenza, i quali non hanno indugi sul da farsi, prendono la via del Nord Italia e, in non pochi casi, si dirigono anche verso quei Paesi europei che offrono effettive prospettive occupazionali.
Molti dei loro coetanei, invece, restano nei luoghi di residenza in attesa che la situazione generale migliori. Soprattutto per questi ragazzi comincia una dura, logorante esperienza di vita, contraddistinta da promesse, delusioni, tentativi di adattamento, frustrazioni che incidono pesantemente sulla propria identità diventata sempre più fragile e traballante.
Amarezza profonda, perdita del senso di autostima, umiliazione, sfiducia nelle proprie capacità, impossibilità di dare concretezza alle legittime aspettative riguardanti la realizzazione lavorativa e il personale progetto di vita, s’impossessano, così, della personalità di molti di loro.
Spesso la famiglia di appartenenza, che ha già affrontato sacrifici enormi per consentire al proprio figliolo di conseguire un titolo di studio superiore o un profilo professionale spendibile sul mercato, non è nelle condizioni di sostenerlo concretamente.
Disagio e disadattamento sociale, pertanto, si collocano dietro l’angolo della propria sofferta esperienza di vita.
Educarli alla speranza resta l’impegno primario che famiglia, chiesa locale, istituzioni pubbliche sono tenute ad assumere. Un impegno che si accompagni anche ad iniziative concrete idonee ad alimentare, nella quotidianità, il seme della fiducia verso il prossimo e nei riguardi di quanti hanno la responsabilità nella gestione della cosa pubblica.
Iniziative quali ‘ il progetto di Policoro’, collocato al centro del dibattito, possono riproporre il messaggio di una gioventù che, supportata dal dono della fede nelle proprie capacità -possibilità e dalla fiducia verso il prossimo e le istituzioni pubbliche, diventa protagonista del proprio domani e, di conseguenza, della comunità di appartenenza.
Famiglia e chiesa restano gravate di una responsabilità maggiore: quella di sostenere i nostri ragazzi nel consolidamento di un messaggio di fiducia e di speranza, indispensabile per impegnarsi al massimo delle proprie potenzialità ed assumere nella comunità un ruolo attivo, funzionale alla costruzione di un domani migliore.

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