Archivio per dicembre, 2014

ECCESSO DI PERSONALISMO E DI AUTOREFERENZIALITA’ CON SCARSI RISULTATI

31 dicembre 2014

Salerno, 30 Dicembre 2014

Ambrogio IETTO
Bilancio di casa nostra

Il passaggio da un anno all’altro rappresenta già per l’uomo comune un obbligato momento di verifica della propria esistenza, dei traguardi acquisiti, delle sconfitte e delle amarezze subite. L’esame introspettivo dell’essere umano può risultare ostinato, severo, implacabile se a compierlo è persona sensibile, caratterialmente portata ad interrogarsi senza concedersi alibi di sorta.
Al contrario il soggetto superficiale, facilone, leggero è portato a dribblare dubbi, incertezze, domande e, corroborato da inguaribile ottimismo, si spinge a delineare, per il nuovo anno, progetti apparentemente inediti ma che ripropongono mete in precedenza non raggiunte.
Il politico di professione, invece, appartiene ad una particolare specie umana. Preoccupato di conservare e consolidare il consenso di cui ha bisogno per sopravvivere, consapevole di non essere portatore di un’espressione facciale gradevole, aperta ad un motivato e credibile ottimismo, richiama motivi antichi riproposti decine di volte, amplifica le difficoltà, ribadisce con caparbia determinazione che tutto sarà fatto e completato nel corso del prossimo anno.
A grandi linee questo è stato il senso della unidirezionale esposizione partecipata dal sindaco De Luca ai rappresentanti degli organi di informazione.
Il cittadino comune come chi scrive, educatosi ad una corretta e discreta partecipazione alla vita della comunità di appartenenza, non rinuncia a redigere un bilancio di massima che consenta di ricavare quanto di significativo, in positivo o in negativo, si è verificato nel capoluogo e nel territorio provinciale di pertinenza.
Il dibattito politico si è concentrato prevalentemente sulla vicenda personale di De Luca, sull’ipotesi di decadenza, sugli sconsolanti pronunciamenti di un consiglio comunale incapace o a lui subordinato, sui rinvii di competenza giurisdizionale.
A questa vicenda si aggiunge lo stato comatoso del suo partito di appartenenza che sta facendo del tutto per boicottare il primo cittadino, ostacolando di fatto lo svolgimento delle primarie al fine di poter designare da Roma una candidatura condivisa in un contesto politico ed umano così variegato e disintegrato qual è, al momento, il partito democratico.
Se De Luca fa ombra per il peso elettorale di cui può disporre e per l’indiscutibile carisma che riesce ad esprimere a Salerno e in non poche aree della Campania, è anche vero che il sindaco persiste in atteggiamenti che non possono essere giustificati solo con oggettivi limiti caratteriali.
Arroganza, determinazione, presunzione di poter pronunciare giudizi severi a destra e a manca, eccesso di autostima, uso ricorrente di un codice linguistico offensivo e spregiudicato, autocelebrazione della propria identità e delle decisioni assunte sono fattori ormai non secondari che pesano negativamente sulle sue aspettative e sul suo sogno di guidare la giunta regionale della Campania, Caldoro permettendo.
Il panorama politico – amministrativo del centrodestra non è migliore di quello denunciato per i democratici. Lacerazioni, scontri personali, frammentazioni interne, carenza assoluta di leadership significative rendono assolutamente fragili le prospettive elettorali future.
La città di Salerno è test significativo per valutare al momento improponibile ogni prospettiva di successo per questa area politica che, anche quando ha retto istituzioni importanti, quale l’Amministrazione Provinciale, non ha saputo esprimere il senso di una proposta politico – amministrativa costruttiva, rispondente ai reali bisogni della comunità salernitana.
Del cosiddetto Centro è meglio non scrivere, trattandosi di un’esperienza aggregativa che, una volta ridimensionata dal sostanziale tramonto politico di Ciriaco De Mita, è alla ricerca di un’identità difficile da delineare.
Ad un bilancio sostanzialmente negativo per quanto riguarda idee e persone si aggiungono, ovviamente, lacune molto gravi per quanto riguarda le cose da fare e gli obiettivi economico – sociali da perseguire. Di aeroporto, interporto e rete ferroviaria regionale, di disoccupazione giovanile, di aziende produttive in crisi, di commercio in difficoltà, di agricoltura da valorizzare, di edifici scolastici cadenti, di cultura quasi inesistente si continuerà a scrivere.
Lo si farà senza entusiasmo e nella consapevolezza di trasformarsi sempre più in vox clamantis in deserto.

COME PROMUOVERE IL FUTURO RISANAMENTO DELLE ‘TERRE DEI FUOCHI’? AFFIDANDO LA COMUNICAZIONE A SQUADRE DI CALCIO OPERANTI ANCHE NEI CAMPIONATI MINORI! COSI’ AD ESSERNE INFORMATI SARANNO ANCHE CITTADINI CHE DALLE ” TERRE dei FUOCHI ” HANNO RICEVUTO IN DONO IL CANCRO…

29 dicembre 2014

Salerno, 29 dicembre 2014

Ambrogio IETTO

TERRA DEI FUOCHI E SPORT

La riflessione odierna da offrire ai lettori muove da un dato di fatto incontrovertibile: il gravissimo danno generato in Campania dall’assurda vicenda della cosiddetta ‘Terra dei fuochi’, causa prima del diffuso crollo della produzione agricola e dell’industria agro-alimentare costretta a pubblicizzare anche sulle etichette una provenienza geografica diversa dei prodotti agricoli contenuti o utilizzati nella fase trasformativa.
La Regione Campania, anche grazie all’apporto di fondi europei, ha elaborato un progetto di spesa di 150 milioni di euro finalizzato a contrastare, in particolare, la crisi economica prodottasi in questo settore e, contestualmente, a sostenere uno specifico piano di azione per supportare i produttori dei settori agricolo e agroalimentare della Campania del valore di 65 milioni di euro.
Le iniziative progettate per effettuare servizi reali di affiancamento alle imprese, per svolgere in proprio azioni di certificazione e di rilancio commerciale, per analizzare i terreni ed investire in sistemi tecnologici di tracciabilità dei prodotti, secondo la ‘Sviluppo Campania’, società partecipata della stessa regione, vanno sostenute con una coordinata regia di comunicazione, accompagnata da un marchio riconoscibile ed individuato nel logo ‘ Campania SiCcura’.
Al fine di rendere rigorosa ed incisiva questa azione la ‘ Campania Sviluppo ’ si rivolge anche allo sport professionistico campano come “ veicolo utile per trasmettere l’immagine di una Campania che è ‘ sicura’ e ‘ si cura ‘ , puntando sullo sport come attività sociale strettamente connessa alla salute”.
Così si è pensato di destinare 4,5 milioni a questa operazione promozionale riguardante le squadre professionistiche campane di calcio che hanno un seguito significativo.
Nei giorni scorsi il quotidiano economico ‘ItaliaOggi’, attingendo ad un’informativa considerata attendibile, dà notizia che nel piano di ripartizione la parte del leone è assegnata, per la visibilità nazionale ed internazionale raggiunta anche recentemente, al Calcio Napoli al quale andrebbero ben 3 milioni e 546mila euro.
Avellino e Salernitana dovrebbero accontentarsi rispettivamente di 163 mila e 139mila euro mentre per il Sorrento Calcio, oggi militante in serie D, e per la Nocerina, impegnata in Eccellenza, sarebbero disponibili, nell’ordine, un budget di 24.075 e di 26.550 euro.
Anche per l’Arzanese, squadra che occupa il fanalino di coda nella sere D, ci sarebbe una disponibilità di 21.600 euro.
Un’attenzione particolare verrebbe manifestata nei riguardi del Circolo Canottieri Napoli (euro 19.537), dello Sporting Club Fregreo ( euro 15.825 ) e del Circolo Nautico Posilipo ( euro 21.187 ). Alle 12 squadre di calcio selezionate si aggiungerebbero 6 compagini di pallacanestro, 6 di pallanuoto ed una di rugby.
La scelta operata dagli organi politici della regione sta ricevendo non poche critiche. I motivi di contestazione sono molteplici.
Il più comune: possono essere queste compagini portatrici di un messaggio che consenta di rivalutare in modo significativo la produzione agricola della cosiddetta Terra dei Fuochi ?
Non erano forse da preferirsi altri veicoli e strumenti di promozione davvero idonei a partecipare all’opinione pubblica nazionale e internazionale l’impegno corale delle istituzioni a bonificare in profondità quelle terre, restituendo alle stesse l’originaria fertilità e ai prodotti in esse coltivate la tanto auspicata innocuità ?

POVERA NOSTRA SCUOLA. DOVE ANDRA’ A FINIRE ?

24 dicembre 2014

Salerno, 24 Dicembre 2014

Ambrogio IETTO
SCUOLE TRA AUTOGESTIONE E OCCUPAZIONE

Il rito si ripropone con puntualità cronometrica. Fin da novembre molte scolaresche degli istituti secondari di secondo grado ( licei, tecnici e professionali ) sono chiamate dalla rete informatica, particolarmente estesa e ramificata in Italia, a prendere il timone della gestione della scuola di appartenenza.
Gli allievi più spigliati, cioè quelli che sono nelle capacità cognitive ed espressive di assumere la leadership della platea, dopo pochi slogan scanditi con stancante ripetitività, costituiscono una sorta di direttorio che, legittimato in sede assembleare, assume i compiti normalmente di pertinenza del dirigente scolastico, del consiglio di istituto e del collegio dei docenti.
Il primo adempimento riguarda la lista delle lamentazioni e delle richieste da rivendicare. Internet rappresenta la fonte privilegiata per arricchire il dossier. Si riprendono, più o meno acriticamente, slogan ed espressioni ad effetto che il ‘ movimento ’ nazionale ha coniato e ha lanciato. Il condimento è costituito da bisogni riguardanti carenze e limiti da sempre presenti nell’istituto frequentato ma quasi mai fatti propri dall’ente deputato a provvedervi che, per le secondarie di secondo grato, è rappresentato dalle ex Amministrazioni provinciali: mancanza o precarietà dell’impianto di riscaldamento, barriere architettoniche non rimosse, laboratori ed atelier promessi ma non realizzati, palestre prive di attrezzi, tecnologie obsolete. Quindi il direttorio è chiamato a prendere una delle decisioni più importanti: limitarsi all’autogestione oppure procedere all’occupazione?
La prima soluzione è subordinata, in prevalenza, alla trattativa da avviare e da concludere col dirigente scolastico. La possibile richiesta di un curricolo alternativo a quello ordinario offre al direttorio l’occasione per socializzare la propria insoddisfazione nei confronti di una scuola che, ad avviso dei protagonisti della protesta, alimenta scarso interesse, non motiva alla ricerca e dispone gli allievi alla noia e al disimpegno. Quasi sempre i docenti sono spettatori passivi , per niente, mortificati da considerazioni critiche e da valutazioni piuttosto severe. Anzi non manca il sornione di turno che, con atteggiamento svagato e bonario, fa finta di annuire e di captare la benevolenza dei giovani.
Il dirigente scolastico cerca di barcamenarsi e di condurre alla ragione i coordinatori della protesta. Si consiglia telefonicamente col collega che da giorni assiste, nella scuola diretta, ad una rassegna di didattica alternativa insulsa, piena di luoghi comuni e di scopiazzature.
Non mancano chitarre e strumenti a percussione. I linguaggi che rendono gaie e coinvolgenti le esperienze di autogestione riguardano le canzoni più ascoltate della musica rap italiana e i repertori significativi del patrimonio coreutico nazionale ed internazionale. Le danze espresse dalle compagne più audaci, nell’indugiare in sinuosità ed ondulazioni, offrono al capo di turno del direttorio l’occasione per proclamare il passaggio dall’autogestione all’occupazione dell’istituto frequentato.
Egli quest’anno è più fortunato dei suoi predecessori. Dalla parte sua ha un certo Davide Faraone che Matteo Renzi, l’anticipatore della buona scuola, ha ritenuto opportuno mandarlo il 14 novembre scorso a Viale Trastevere a fare il sottosegretario all’istruzione.
Egli ha referenze più che pertinenti: non si conoscono i titoli di studi conseguiti né la professione che ha svolto o conta di svolgere quando non sarà più ospite della Camera dei deputati.
Ha fatto sapere che ha avuto un padre lavoratore indefesso tanto da svolgere a pieno tempo l’attività di sindacalista per conto della Cgil.
Una delle prime iniziative assunte, una volta diventato uomo di governo, è stata quella di scrivere ad un quotidiano nazionale per pronunziarsi sul problema dell’occupazione delle scuole. Le ha giudicate pedagogicamente significative in quanto contribuiscono ad elevare il senso di autostima e di responsabilità dei giovani.
Egli, che ha 39 anni, non ha indugiato nel manifestare una viva nostalgia per le occupazioni da lui concretizzate poco più di vent’anni fa nelle scuole di Palermo. Grazie alle quali ha consumato molti amori all’interno dei sacchi a pelo che sostituivano le fredde coperte di casa.
Mala tempora currunt.

DON GIULIO CIRIGNANO: OGNI TENTATIVO DI EMERGERE NELLA COMUNITA’ DETERMINA L’ABBASSAMENTO DELLA FRATERNITA’

23 dicembre 2014

Santo Natale 2014
Don Giulio Cirignano – biblista
L’AUTORITA’ NON VA GESTITA PER FARE DA PADRONI SUL GREGGE MA PER SERVIRE LA GIOIA
I mezzi di comunicazione seria ne hanno dato, con grande evidenza, notizia. Mi riferisco alla storica decisione relativa ai rapporti tra Stati Uniti e Cuba. I due presidenti non hanno fatto mistero del ruolo positivo di Papa Francesco. Notizia bellissima in sé e che ci riempie di gioia per il ruolo positivo avuto sia da Papa Francesco che dai suoi predecessori. Quest’anno il Natale avrà anche il sapore di questo fatto di pace. Ma non è di questo che voglio parlare. Neppure voglio commentare la decisione, molto meno importante anche se non priva di un qualche significato, di destinare parte della residenza estiva di Castelgandolfo a museo per chi desidera conoscere la storia del papato attraverso una ampia galleria di ritratti. Papa Francesco non si smentisce.
E’ opportuno, piuttosto, puntare l’attenzione su qualcosa di ancora più decisivo . Riguarda l’ideale evangelico a cui la comunità cristiana è chiamata a conformarsi. L “Evangeliigaudium” ha già detto molto circa il cammino futuro della Chiesa. Chi non se ne fosse accorto può andare a rileggersi, tra l’altro, i paragrafi dedicati alla mondanità spirituale. Non sono gli unici a mettere in mostra grande coraggio ma, certamente, colpiscono aspetti che non possiamo più far finta di non vedere. Ma è in particolare al n.104 che intendo fare riferimento dove si parla del sacerdozio che “può diventare motivo di particolare conflitto se si identifica troppo la potestà sacramentale con il potere . . . La configurazione del sacerdote con Cristo Capo non implica una esaltazione che lo collochi in cima a tutto il resto. Nella Chiesa le funzioni non danno luogo alla superiorità degli uni sugli altri ”.
Tra pochi giorni sarà Natale: è mai possibile celebrare il dramma di Dio che si fa carne, si fa bambino, profezia e premessa del suo farsi servo dell’uomo fino alla morte di croce e nello stesso tempo continuare proprio l’esercizio del sacerdozio ministeriale in un contesto di titoli, segni privilegi tipici del potere mondano? Questo è argomento delicato e, in un certo senso, spinoso. Il sacerdozio ministeriale da sempre ha un ruolo preminente nella storia della Chiesa. Ma ora è venuto il momento di rendersi conto del fatto che, soprattutto nel suo gradino più alto, l’episcopato, appare in stridente contraddizione con il cuore del Vangelo.
L’affermazione è grave e va ben spiegata. Qui non sono in questione le qualità personali dei singoli. Il giudizio sulle persone appartiene a Dio e a lui solo. Conosciamo persone degnissime, da molti punti di vista. Ma non è questo il punto. E’ in gioco,purtroppo, il profilarsi di una casta. Una casta di “arrivati”. Circolava qualche tempo fa una felice battuta circa la scarsità delle vocazioni sacerdotali in contrasto con una visibile effervescenza di vocazioni episcopali. Era una battuta ma colpiva nel segno. Definire che cosa sia una casta non è facile. Non ci sono elementi concreti che possano favorire la definizione. E’ un modo di percepirsi, un modo di considerarsi rispetto a tutti gli altri. Certo ci sono elementI oggettivi connessi con tutto ciò: segni, titoli, privilegi più o meno materiali, azioni. Ma non è questo l’aspetto più importante in relazione alla casta di cui stiamo parlando. E’ il percepirsi, singolarmente o in gruppo, portatori e depositari di speciali capacità e conoscenze. In tutti o quasi i settori del sapere teologico, morale e pastorale! Ma, come diceva don Milani, lo Spirito Santo illumina i vescovi, non li informa!
Su questa questione il Nuovo Testamento è chiarissimo: ogni tentativo di emergere nella comunità determina l’abbassamento della fraternità. Di conseguenza, costituirsi in casta significa rischiare fortemente di restare fuori dell’orizzonte del vangelo. A questo punto una domanda : come gestire l’autorità nella Chiesa, che è un dono prezioso, senza che essa diventi un ostacolo alla fraternità ed alla comunione? Anche su ciò l’insegnamento di Gesù è stato chiarissimo. L’autorità non deve servire per fare da padroni sul gregge ma per servire la gioia. Deve essere esercitata “en kurìo”, essere sua trasparenza. Essendo il gradino più alto del sacerdozio ministeriale, più alto deve essere il grado di assimilazione al ”servo”. Non può essere ambita come una promozione, come una specie di cavalierato da agognare. Come si può agognare la croce?
Accanto all’esercizio del sacerdozio ministeriale si è poi aggiunta l’istituzione del cardinalato che è andata ad aumentare il tasso di estraneità rispetto alla logica evangelica. Sia chiaro: i cardinali sono una istituzione totalmente diversa dal ministero sacerdotale. Di fatto però, alcuni soggetti del sacramento dell’ordine sono anche cardinali. Per cardinalato si potrebbe parlare di abolizione, per la mentalità castale, invece, occorre ricorrere alla parola conversione. Questa mentalità castale è vissuta in gradi diversi delle persone, tuttavia come polvere velenosa si posa con facilità. E’ come una gabbia che imprigiona.
Una seconda domanda allora appare inevitabile: come mai nessun appartenete alla casta denunzia la ridicolezza di questa appartenenza, che celebra i suoi trionfi nelle vesti più o meno variopinte,nella incomprensibile riverenza a prescindere, nella pervicace continuazione della logica clericale e maschilista che la caratterizza? La risposta non è difficile: nel cuore umano alberga, camuffandosi con pretesti fantasiosi, la insopprimibile voglia di emergere, di essere riconosciuti, lodati e applauditi. Appartenere ad una casta prevede molti privilegi ai quali è difficile rinunciare.
Può essere utile tornare a leggere quanto Papa Celestino scriveva ai vescovi delle province Viennese e Narbonese(26 luglio 428): “ Noi dobbiamo distinguerci dal popolo e da tutti gli altri per la dottrina non per la veste, per la condotta non per la foggia del vestire, per la purezza della mente non per il modo esteriore di vivere” (Papa Celestino, Epistolario, Collana testi patristici, Città Nuova Editrice, Roma 1996, pg.61). La conoscenza con il pastore valdese Paolo Ricca mi ha fatto vedere come sia possibile coniugare insieme responsabilità ecclesiale con stile evangelico.Gli sono grato non solo per le cose che ha detto, peraltro non diverse da quelle che si possono sentire da molti dei nostri pastori e confratelli, ma per il modo con cui le ha dette, soprattutto per lo stile con cui è stato tra noi. Come un essere normale, camicia e cravatta, profonda passione e semplicità, senza quel ridicolo corredo di moda ecclesiastica che taluni portano con ostinata compiacenza.
Per questo vorremmo che Papa Francesco desse attuazione a quel sogno che ha avuto il coraggio di esprimere. Perché non lo fa? Ogni minuto di ritardo può essere esiziale. In questo non può essere lasciato solo. La preghiera di tutto il popolo di Dio deve accompagnarlo. Ma non solo la preghiera. Ogni battezzato può essere la goccia di un’onda gigantesca di Vangelo, in grado di portarlo in alto. Senza questo difficile passaggio di morte e resurrezione dell’episcopato appare problematica una vera ripartenza della comunità cristiana. Morte in relazione al modo di incarnarsi secondo un lascito storico che viene da lontano, resurrezione nella la logica del Vangelo e nella forza dello Spirito.

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