Archivio per aprile, 2015

MOLTO DEBOLE IL CENTRODESTRA SIA A SALERNO CITTA’ SIA IN PROVINCIA

30 aprile 2015

Salerno, 30 Aprile 2015

Ambrogio IETTO

DOVE E’ MARA ?

Ancora poche ore disponibili per definire le liste dei candidati al consiglio regionale. Mentre il partito democratico e le aggregazioni fiancheggiatrici vanno riempendo le diverse caselle disponibili, rispettando doverosamente le determinazioni che, strada facendo, assume l’onorevole De Luca, discusso candidato alla presidenza della giunta regionale, nell’area moderata del centrodestra emergono oggettive difficoltà nella ricerca di candidature significative.
Sembra che l’ammirevole sforzo del senatore Fasano non stia producendo i risultati sperati mentre ha alimentato comprensibili perplessità la decisione dell’onorevole Mara Carfagna di cambiare lido, investendo lo storico esponente del centrodestra della responsabilità di condurre a termine un’operazione di per sé piuttosto problematica.
Ovviamente l’ex ministro del governo Berlusconi avrà avuto le sue buone ragioni per allontanarsi o per rispondere a chiamate più impellenti ed accattivanti.
Ella, però, in quanto fruitrice del consenso di un’area non trascurabile dell’elettorato salernitano, è venuta meno ad un preciso mandato fiduciario che risulta ancora più importante e delicato in considerazione della complessiva fragilità che contraddistingue anche sul nostro territorio l’intero centrodestra.
Se alcune zone della provincia presentano ancora delle figure carismatiche che riescono ad esprimere, nelle sedi istituzionali locali, idee e scelte proprie della cultura moderata, Salerno città, purtroppo, presenta un vuoto addirittura preoccupante se si dilata l’attenzione alle prossime consultazioni finalizzate al rinnovo del consiglio comunale cittadino.
Si sa che questa situazione per niente felice coinvolge l’intero centrodestra per le polemiche passate e recenti emerse tra le sue diverse componenti, per la mancanza di un progetto alternativo per la città e il suo hinterland, per l’individuazione, in passato, di candidature sbiadite, insulse, assolutamente infelici che non hanno indugiato un attimo prima di correre festanti tra le braccia accoglienti di De Luca.
Eppure ci sarebbero state argomentazioni importanti, non secondarie, per sostenere ora l’uscente Caldoro e per lanciare alla città, nel prossimo immediato futuro, una proposta politico – amministrativa meno appariscente di quella che contraddistinguerà il messaggio elettorale dei seguaci di De Luca.
Forse l’onorevole Carfagna è stata attratta da possibili avanzamenti della personale leadership nella gara in atto tra gli aspiranti alla successione del Cavaliere.
Anche un’aspirazione di questo tipo, però, non può spingere un politico navigato a lasciare incolto ed infecondo il terreno a lui molto prossimo.

SALERNITANA: DOPO IL COMPRENSIBILE ENTUSIASMO DELLA PROMOZIONE IN “B” NECESSITA SUBITO PREDISPORRE UNA COMPAGINE QUALIFICATA, IDONEA AD AFFRONTARE LE DIFFICOLTA’ PROPRIE DELLA SERIE ‘CADETTI’. I PRECEDENTI STORICI CONFERMANO CHE GLI ANNI SUCCESSIVI AD UNA PROMOZIONE SEGNANO L’INCONTENIBILE, PIU’ O MENO IMMEDIATO, RITORNO NELLA SERIE DI PROVENIENZA

27 aprile 2015

Ambrogio Ietto

Salerno, 26 Aprile 2015

DALLA SPERANZA ALL’ ENTUSIASMO

La psicologia definisce la speranza uno stato emotivo di fondamentale importanza dal punto di vista motivazionale in quanto può essere guida all’azione umana anche di fronte agli ostacoli più gravi e può dare una ragione all’insieme delle richieste, anche le più impossibili, della vita, all’infuori della possibilità evidente ed immediata del soddisfacimento di bisogni e desideri.
Ai tanti cittadini salernitani e non, tifosi della squadra del cuore ritornata, nel giorno della ‘ liberazione dalla Serie C ‘, finalmente al campionato cadetti, va riconosciuta la presenza stabile, nell’identità personale di ciascuno di loro, di questo stato emotivo consolidatosi, nell’inevitabile avvicendamento delle diverse generazioni, durante quasi cent’anni di storia del sodalizio granata.
E’ sufficiente sfogliare l’annuario, oggi anche informatico, delle diverse società sportive riconducibili al club calcistico cittadino d’eccellenza, per giudicare non solo giustificata ma anche terapeutica questa condizione dell’animo aperta alla sicura fiducia nella realizzazione di ciò che si desidera. Limitandoci soltanto a scorrere gli anni che vanno dal 1947 ad oggi ci si imbatte in un’alternanza di risultati ahimè poco incoraggianti che, anziché far scemare l’entità e la qualità del sentimento della speranza, alla fine contribuiscono a rafforzarla. Infatti la gioia della promozione in serie A, raggiunta nel campionato 1946/47, ebbe la durata breve di un campionato. L’anno dopo ci fu la retrocessione in B dalla quale si precipitò, dopo otto anni, in serie C.
Durò un decennio il purgatorio in questa serie per risalire al campionato superiore nel torneo cadetti nel 1965/66. Purtroppo l’anno dopo di nuovo in C; un’attesa di oltre 20 anni e, quindi, l’agognato ritorno in B nel campionato 1988/1989. Appena fino al 1990/91 e, inesorabile poi, la retrocessione in serie C. La speranza si potenzia ulteriormente e questa volta si registrano due salti in ascesa: campionato 1993/94 si ritorna in B, 4 anni di permanenza e, quindi, nel 1997/98 ci si riaffaccia nella serie A.
Appena il tempo di adattarsi piuttosto male e l’anno dopo si precipita di nuovo in B. Poi è tutto un succedersi di vicende anche mortificanti collegate a fallimenti e a dissesti finanziari che spingono la società nel burrone della serie D.
E’ il 2011 quando il sindaco De Luca, informato anche dell’amore nascente, poi miseramente fallito, tra l’onorevole Mara Carfagna e Marco Mezzaroma, individua in questi e in suo cognato Claudio Lotito il duo che potrà liberare dall’inferno calcistico la Salernitana.
Comprensibili interessi politici, quelli del sindaco De Luca da una parte e quelli di segno opposto del costituendo centrodestra della Carfagna, si mescolano in modo molto forte con le motivazioni meramente più venali di Lotito.
Si sigla, così, il patto che vedrà il neo patron Lotito manifestare sempre più l’esigenza di riempire l’Arechi di spettatori.
L’altro ieri finalmente l’arrivo anticipato della promozione in B e la contestuale esplosione dell’entusiasmo in tante persone che in troppi anni hanno accumulato frustrazioni ed amarezze di ogni tipo. In una fase storica in cui tutto sembra girare al contrario ( crisi economica, disoccupazione crescente nonostante le promesse di Berlusconi e di Renzi in campo nazionale e dello stesso De Luca in sede locale, perdita diffusa di fiducia nella politica quale strumento essenziale per la risoluzione dei problemi della comunità, crescita incontenibile delle dissociazioni familiari, senso ricorrente di solitudine nell’individuo e via di questo passo! ) la vittoria anticipata di un campionato importante e il ritorno tra le grandi del calcio nazionale generano e non riescono a contenere una gioia che, in pochi minuti, si trasforma in vero, esplosivo entusiasmo.
Così anche chi di calcio non capisce nulla, la casalinga, il vecchio pensionato, la stessa ragazza che per un intero campionato ha cantato “ perché, perché la domenica mi lasci sempre sola per andare a vedere la partita di pallone’, si sorprendono ad applaudire il pullman granata, stipato da giocatori e tifosi, che avanza lentamente lungo le strade cittadine, e sperano anche che questa promozione significhi finalmente anche un po’ di benessere per la città.

OGNUNO CELEBRA IL 25 APRILE COSI’ COME RITIENE DI FARE

26 aprile 2015

Ambrogio IETTO
Salerno, 25 aprile 2015

LE LIBERTA’ DI DE LUCA

L’odierna giornata del 25 aprile sollecita ciascuno di noi a riflettere sul valore insopprimibile della libertà che ha non poche sfaccettature e che, per quanti sono alimentati dal bisogno di essere compartecipi delle vicende della comunità in cui vivono ed operano, significa anche interrogarsi su come si vada consolidando in taluni il limite di identificare tout court questa condizione con la licenza d’arbitrio.
Questo è il caso dell’onorevole De Luca la cui libertà di movimento e di azione finisce inesorabilmente col condizionare in bene o in male la libertà di quanti, amministrati direttamente o indirettamente da lui, finiscono col risultare condizionati dalle sue scelte.
Ebbene l’onorevole De Luca, durante il suo impegno sindacale, è stato libero di presiedere o meno le riunioni di giunta, pur non risultando impedito da impegni irrinunciabili da soddisfare fuori sede o da vincolanti motivi di salute.
Egli, nel corso delle primarie funzionali alla scelta del leader del suo partito di appartenenza, è stato libero ora di corteggiare Bersani ora di fare l’occhiolino di triglia a Renzi.
Nell’accettare l’incarico governativo di sottosegretario di Stato ha tirato al massimo la cintura per ricoprire contestualmente l’una e l’altra carica. In questa vicenda ha manovrato come voleva un intero consiglio comunale ed ha rubato delle ore di impegno a dei magistrati ordinari che si sono dovuti occupare del suo problema.
Con ferma determinazione, pur sanzionato da una condanna, ha animato vivacemente ed ha vinto le primarie contro il collega di partito Cozzolino, conquistando la posizione di candidato alla presidenza della regione. Così è stato necessitato a lasciare le funzioni di sindaco di Salerno che sono state assegnate, sempre da lui, ad una persona di esclusiva sua fiducia, subordinando di fatto l’intera schiera dei suoi storici assessori ad un tenutario delle carte segrete chiamato, in una sola operazione, ad entrare a far parte dell’esecutivo del Comune e, quindi, ad assumere il ruolo di facente funzioni di sindaco.
Imperterrito e certo di riuscire a superare tutti i successivi ostacoli ha continuato con ammirevole attivismo la campagna elettorale per la presidenza della giunta regionale nonostante il vertice del suo partito dichiarasse di non avere intenzione di modificare la famigerata legge Severino.
Senza fermarsi per un attimo ad invocare l’ausilio della Madonna di Pompei si è prolungato, però, ai vicini scavi, non per salutare il suo segretario di partito e presidente del Consiglio reduce dalla Casa Bianca, ma per chiedergli manifestazioni esteriori di cordialità al fine di tranquillizzare tutti che egli è il preferito del partito democratico.
Nell’attuale gioco delle liste portatrici del suo nome a presidente della Campania egli è libero di accogliere tutti: dagli amici di Storace all’ex questore/prefetto Malvano diventato nel tempo anche senatore del partito di Berlusconi.
In questa composita galassia egli è reso arbitro assoluto di imbarcare Italia dei Valori, Scelta Civica, Socialisti, Verdi per davvero, Centro Democratico, Repubblicani democratici, Campania libera, Mai più terra dei fuochi, Rosalia Santoro e compagni. Insorgenza Civile e chi più ne ha ne metta.
In questa sua condizione di libertario ad usum Delphini ora si prende il gusto di prendere in giro la folta schiera dei creduloni, ridacchiando l’operato dei tre giudici della seconda sezione penale del Tribunale di Salerno e confermando il suo giudizio di aver commesso soltanto un reato linguistico.
I fatti sono noti soprattutto a quanti cercano di ’entrare dentro la notizia’. Secondo il collegio giudicante De Luca ha commesso abuso di ufficio non per una casuale distrazione. Egli, invece, si è presa la libertà di ricercare il modo da lui considerato migliore per elevare un suo funzionario di fiducia alla conduzione del procedimento amministrativo che avrebbe dovuto raggiungere l’obiettivo di dotare la città di un termovalorizzatore.
In dodici pagine i giudici, consapevoli che la condanna già pronunciata potrebbe impedire a De Luca, se eletto, di ricoprire il ruolo di presidente della regione, diventano addirittura didascalici in quanto, secondo la loro valutazione, la nomina a favore del funzionario Di Lorenzo è ritenuta ‘inutilmente duplicativa delle funzioni del responsabile unico del procedimento’ individuato nell’ingegnere Domenico Barletta.
Finora si leggeva e si sentiva dire che le sentenze non si giudicano né si commentano.
De Luca, invece, è libero, sia pure con mal celata rabbia, di ridicolizzare quanto scritto dai giudici. Per carità ne ha facoltà. Egli d’altro canto è anche libero di non entusiasmarsi della scelta, ammirevole per i più compiuta dal precedente premier Enrico Letta, suo collega di partito, di dimettersi dal Parlamento.
Questi ha compreso che è pedagogicamente infruttuoso, almeno per la negativa ricaduta sui figli, mantenersi e vivere di politica. Così ha accettato di andare a dirigere a Parigi l’école libre des sciences politiques e, quindi, di andare avanti col lavoro che alimenta ‘ sudore sgorgante dalla propria fonte’.
De Luca, ovviamente, è libero di non condividere questa decisione.
E con lui sono d’accordo anche decine e decine di potenziali candidati appartenenti alle diverse aggregazioni in gara, ovviamente liberi di pensare come credono ma tutti fermamente convinti che se vanno bene le elezioni ci si sistema per tutta la vita.

DOMENICA DI APRILE CON LE RIFLESSIONI DI DON GIULIO CIRIGNANO

25 aprile 2015

DON GIULIO CIRIGNANO SUL GIUBILEO DELLA MISERICORDIA
Nell’omelia di presentazione dell’anno giubilare(Sabato, 11.4 2015) il Papa ha formulato la domanda: “perché un anno giubilare sulla misericordia?” La domanda è importante. La misericordia è parola ricorrente nel linguaggio religioso e qualcuno non ha perso l’occasione di far notare. questa banalità.
E’ noto a tutti, infatti, che parola e concetto sono fondamentali nella esperienza religiosa cristiana.
Con questo? Niente di nuovo nella iniziativa di Papa Francesco?.
Non è proprio così.
Infatti della misericordia si possono avere due rappresentazioni profondamente diverse. Comprendere tale diversità consente di valutare la proposta dell’anno giubilare come di un vero e proprio colpo di genio. Vale la pena spiegare il perché.
La misericordia può essere, in primo luogo, solo un tema ed un percorso interessante ma che non produce un reale cambiamento. Riguarda la mente e può suggerire percorsi del cuore. Un tema su cui si può parlare ma che lascia, sostanzialmente, le cose come sono.
In questo senso si parla di misericordia senza reale partecipazione alle sofferenze del prossimo. Può essere invece anche un principio vitale che cambia profondamente la realtà.
Misericordia, dunque, come tema interessante ma astratto e misericordia come principio veramente creativo di rapporti nuovi tra gli uomini. Due accezioni profondamente diverse.
La prospettiva della misericordia, nel secondo significato, se vuole essere qualcosa di veramente vitale necessita, allora, di essere messa in stretto rapporto con almeno tre fattori di notevole importanza.. Essi si presentano come tre percorsi di vita ecclesiale che conducono finalmente e direttamente al cuore del vangelo e, nello stesso tempo, al cuore della proposta conciliare. Per questo si può parlare del prossimo anno santo di intuizione geniale e di vera iniziativa dello Spirito.
Il primo e più importante fattore con cui il valore della misericordia è chiamato a declinarsi è la Parola di Dio. E’ proprio nella Parola di Dio che la misericordia affonda le radici per trovare senso e forza. E’ in essa che può continuamente alimentarsi per superare il pericolo di sbiadire se non addirittura di svanire nella indifferenza o nella ostilità. E’ nella Parola che può continuamente nutrirsi e trovare ragioni di rinnovamento. Parlare di misericordia senza il costante e concreto riferimento alla Parola è come autocondannarsi alla insignificanza.
A questo punto, tuttavia dobbiamo affermare la estraneità di gran parte del popolo di Dio a quello che è il suo tesoro più prezioso. Quattro secoli di emarginazione della Parola dalla vita della comunità si mostra, ora, in tutta la sua drammaticità. Non si tratta solo di riconoscere la estraneità al lungo percorso critico che ha avuto lo scopo di ridimensionare ogni tentazione fondamentalista riguardo alla Bibbia ma, quel che è ancora più preoccupante, è la incapacità a godere della saporosa bellezza di quella emozione originaria che ancora vive in essa e che è destinata a sostenere la vita delle generazioni cristiane future.
Qui si rivela il primo carattere di genialità dell’anno santo della misericordia. Attraverso di esso. lo Spirito riporta la sua Chiesa all’interno di quel percorso che il Concilio aveva solennemente avviato attraverso la “Dei verbum”. L’aveva avviato, qualcosa ha provocato, ma ancora troppo poco. Ancora troppo poco è entrato nel cuore e nella mente dei cristiani adulti.
Dunque nessuno pensi all’anno santo solo come ad una pia pratica, ma come ad una splendida occasione per ricollegarsi con il Concilio per perfezionare la doverosa fuoriuscita della stagione post-tridentina.
Il secondo fattore che entra inevitabilmente in combinazione con l’anno Santo della misericordia è il farla vivere all’interno di una comunità in cui al primo posto non vi siano gli aspetti istituzionali ma il cuore caldo del Vangelo. Anche in questo siamo davanti ad un lascito della lunga stagione che ci ha preceduto. Troppo si è messa attenzione alla istituzione ecclesiale, troppo si è parlato di preti e Vescovi, poco di popolo e laici, troppo si è data importanza alla suntuosa pomposità delle celebrazioni, degli abiti, dei titoli e poco, troppo poco alla comunione ed alla povertà evangelica. . Ecco qui il secondo motivo di genialità. Parlare della misericordia ci obbligherà a parlare della comunità cristiana così come Gesù l’ha pensata.
Non inutile costellazione di poteri, non luogo delle ambizioni e della carriera, ma vero spazio profetico di fraternità. Questa è la comunità di cui il mondo ha bisogno.
Una Chiesa degerarchizzata non significa una Chiesa privata del sacramento dell’ordine. Tutt’altro. L’autorità della Chiesa è un dono, ma da vivere in sintonia con la divina verità del Maestro di Nazaret. Egli aveva fissato una gerarchia: “Chi vuole essere il primo sia come l’ultimo ed il servo di tutti”. Poiché sapeva che è molto facile addomesticare queste parole ha avuto modo di ribadire che il Figlio dell’uomo è venuto non per essere servito ma per servire. E come se questo non bastasse, proprio agli Apostoli, nella cena di addio, dopo aver lavato loro i piedi chiese se avevano capito quello che aveva fatto loro.
L’avevano capito? Loro, i primi, probabilmente si. Lo avevano capito e promossero la mentalità evangelica della fraternità. Poi, a poco a poco, quella comprensione è andata un po’ scemando. E così sono spuntati i principi, le eccellenze, le eminenze. Ma il Signore ha pazienza e, soprattutto misericordia. Ha anche uno spiccato senso dell’umorismo. Quindi aspetta.
Lasciarsi attrarre dall’anno santo della misericordia, allora, significa anche rientrare in quel magnifico percorso inaugurato dalla “Lumen Gentium”. Lì si parlava della pari dignità di tutti i battezzati, si parlava del ruolo dei laici, si chiamava a raccolta, come forza di vitalità ed evangelizzazione l’altra metà del cielo e così via. Insomma si ridisegnava una immagine di Chiesa, ad intra, in cui il vero unico Signore era ricollocato al posto che gli conveniva.
Come sappiamo, lo schema preparatorio di quel documento conciliare iniziava con le parole “Lumen gentium cum esset ecclesia”. Il documento conclusivo e promulgato invece recita “Lumen gentium cum esset Christus”.
Non è questione di parole ma di sostanza. Inguaribilmente ecclesiocentrici, i fedeli venivano, di conseguenza, educati a volgere lo sguardo al prestigio ed alla importanza della Chiesa, in atteggiamento permanente di difesa o di attacco di nemici, rocciosi difensori di valori cosiddetti non negoziabili, distribuendo a piene mani simpatie e sostegni non sempre a proposito.
Dunque, misericordia e Concilio sono in stretto rapporto. L’anno giubilare farà rivivere quella gioiosa speranza. L’una e l’altra realtà si arricchiscono reciprocamente attraverso il percorso della Parole e quello non meno entusiasmante di una comunità cristiana alternativa alla logica mondana.
Ma c’è un terzo elemento che viene chiamato in causa dall’anno Santo della misericordia. Viene chiamato in causa per essere beneficamente condizionato. E’ la impostazione della prospettiva etica. Da una morale del dovere, che pure ha la sua importanza, da una morale dei precetti che pure devono esserci occorre passare decisamente ad una morale del piacere di essere cittadini del Vangelo. La categoria della bellezza del dono di sé al primo posto, poi tutto il resto.
Quante pene abbiamo favorito con la vecchia impostazione morale! Il dovere, sempre ed unicamente il dovere e poi l’ ossessionante ricorso al tema del peccato e poi i precetti e la prospettiva della punizione divina, e poi la mortificazione e la necessità delle penitenze , poi l’esame di coscienza e ancora la prospettiva del castigo.
Parlare di misericordia non è accedere ad una esistenza più facile. Educare alla bellezza del dono di sé, nelle piccole come nelle grandi ore della vita è prospettiva stupenda. Non fu facile la vita di Gesù, totalmente dedita alla logica del dono. Fu un’esistenza resa felice dalla gioia di incontrare i più poveri per donare simpatia e amore, fu felice per la gioia di suscitare speranza dove nessuna osava più cercarla, fu felice per la sana bellezza del lavoro e dell’amicizia, del riposo e della fatica, della preghiera e della azione, del silenzio nei momenti di solitudine e della confusione della folla che lo cercava come gregge il pastore. Lo divertiva la innocenza dei bambini come la curiosità di vecchi rabbi in ricerca; lo disturbava la inutile supponenza dei “dotti ed intelligenti” e lo commoveva la spontaneità dei semplici, riteneva inutile la superbia di quanti si consideravano superiori e lo inteneriva la insignificante generosità dei poveri.
L’anno giubilare della misericordia, forse, rimetterà in circolo parole antiche ma pur sempre fresche di vita come perdono di Dio, stima e tenerezza che scendono dall’alto per ridare coraggio , comprensione prima del giudizio, autostima prima della svalutazione, letizia al posto di ostinato pessimismo.
Insomma la fede può farsi esistenza più vera e sana.

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