DON GIULIO CIRIGNANO = SANTA PASQUA: OCCASIONE PREZIOSA PER RIFLETTERE

COMPRENDERE L’ATTUALE MOMENTO ECCLESIALE
NELLA SUA ESSENZIALE VERITA’

Il momento ecclesiale che stiamo vivendo ha bisogno di essere compreso nella sua essenziale verità. Da sempre il Signore accompagna il suo popolo, fa sentire la sua presenza. Lo stimola con le sue provocazioni. Da sempre però il suo popolo fa molta fatica a mettersi in sintonia con le sorprese del suo Signore. Preferisce vivere di abitudini, la novità lo spaventa. Se il Card. Martini aveva parlato di un ritardo di almeno due secoli per la Chiesa che tanto ha amato e servito con le grandi risorse della sua intelligenza, un motivo l’avrà avuto.Sarà opportuno allora riflettere su quella provocazione per cercare di dare un volto alle stagioni di Dio che stiamo vivendo. Impegno di primaria importanza al punto che i credenti, di qui in avanti, si potranno dividere tra coloro che intendono inserirsi nei percorsi che lo Spirito predispone per la sua Chiesa e coloro che, invece, pensano di poter starne, più o meno tranquillamente al di fuori.
E’ di fondamentale importanza vedere con chiarezza il fluire dei tempi di Dio, la loro peculiare qualità, i loro limiti e le loro risorse, gli appelli che contengono insieme ai doni dello Spirito che manifestano. Dunque prendiamo sul serio la presenza operativa di Dio fra di noi cercando di cogliere i segnidel futuro e dare un nome alle varie fasi ecclesiali che in modi diversi abbiamo incontrato e che hanno avuto incidenza nel nostro modo di pensare .
L’avvio col Concilio di Trento

Possiamo iniziare, in primo luogo, dalla grande, lunga stagione che ha preso avvio con il Concilio di Trento. In questa, infatti, siamo stati educati, in questa siamo cresciuti. E’ stata senz’altro straordinaria. Basta pensare al fenomeno della santità che l’ha attraversata, così ricca di figure commoventi che tutti ben conosciamo e che ancora esercitano un fascino intenso. Fondatori di ordini religiosi, mistici, creatori di spiritualità, fantasiosi interpreti della logica evangelica nel campo della carità , educatori, intraprendenti missionari.
Al volgere della conclusione di questo lungo percorso, nel diciannovesimo secolo, è da registrare anche un coraggioso tentativo di riflessione sul piano teologico-biblico, ecumenico, liturgico. La reazione al modernismo fece tuttavia chiudere porte e finestre annoverando vittime illustri di un sogno che allora non fu possibile portare ad attuazione. Il bisogno di revisione che costantemente accompagna il cammino cristiano non può sorprendere: sconfinato è lo spessore della verità di Dio e del Vangelo, pertanto sempre suscettibile di inedite accentuazioni. Non solo. Il cambiamento fa parte intrinseca della vita e produce nuovi linguaggi, nuovi bisogni, nuove sintesi.
Il Concilio di Trento, nondimeno, era stato un grande evento di Chiesa che aveva messo ordine non solo nel piano delle verità e della teologia ma anche in quello della pratica pastorale. E’ fin troppo facile richiamarne gli aspetti positivi. Ma per non rimanere prigionieri di una memoria nostalgica è doveroso anche riconoscere le inevitabili incompiutezze. Mentre si celebra la grandezza di Dio e del suo amore non possiamo dimenticare non tanto e non solo la debolezza dell’uomo, ma anche la sua naturale, doverosa disponibilità a continui cambiamenti.
Adesso che quella stagione, in gran parte, ci sta alle spalle possiamo vederne con una certa chiarezza gli aspetti più fragili. E’ come tracciare una radiografia di noi stessi poiché quegli aspetti di fragilità ci hanno fortemente segnato. Può essere utile farne rapida rassegna, essenzialmente a titolo esemplificativo, giusto per suggerire la faticadi dare personalmente completezza al discorso.
Al primo posto si può collocare la dimensione individuale della spiritualità e della formazione cristiana. Grande limite: dimensione individuale, non personale. Tutti ne abbiamo fatta concreta esperienza. Tale accentuazione del vivere cristiano è stata, talvolta, fortemente esposta al pericolo di un eccessivo intimismo e sentimentalismo. Siamo stati troppo poco abituati a percepirci come popolo.
Accanto a questo primo aspetto può essere collocato un marcato fondamentalismo biblico conseguenza di quella emarginazione della bibbia dalla teologia e dalla spiritualità che può essere annoverata come il frutto più amaro della polemica con i fratelli riformati. La estraneità alla Parola è stata abissale.
Non può essere dimenticata, poi, la priorità data all’istituzione rispetto al cuore della proposta evangelica. Tale priorità è all’origine del marcato ecclesiocentrismo che ha accompagnato la nostra autocoscienza di Chiesa e, nello stesso tempo, ha favorito l’insistente accentuazione dei ruoli fin quasi a giungere, nel pensare e parlare comune, alla identificazione della Chiesa con la gerarchia e più in generale con il clero.
Anche l’enfasi degli aspetti dogmatici da conoscere e dei precetti da osservare è caratteristica della stagione post-tridentina. L’opportuno richiamo ai doveri non è stato a sufficienza controbilanciato dalla altrettanto doverosa messa in risalto degli aspetti della bellezza e del piacere di essere cittadini del Vangelo.
In questa rapida e troppo sbrigativa rassegna non può mancare anche il riferimento all’ eccessiva importanza data al carisma della verginità e del celibato fino al punto da far coincidere il profilo del vero discepolo con tale carisma, con la conseguenza di un certo discredito del laicato e della esperienza matrimoniale.
Dobbiamo riconoscere che neppure il Concilio Vaticano Primo portò un significativo contributo al superamento di questi limiti. Potremmo continuare la rassegna degli aspetti deboli di questo lungo periodo che è rimasto sostanzialmente fisso nella sua impostazione di fondo mentre, sullo sfondo, si sono succeduti radicali cambiamenti in tutti i settori del vivere.
Questo è l’aspetto più sconcertante.
E’ a questo punto che si è fatta largo, sorprendentemente, la inesauribile energia dello Spirito. Il Concilio Vaticano secondo ha rappresentato, in un certo senso, la chiusura ufficiale della cultura post-tridentina. Quanto non era riuscito al Vaticano Primo è stato ampiamente realizzato nel secondo. Coloro che vissero quella esperienza con passione ne conservano una memoria luminosa. Avvertirono la bellezza di aprire il cuore al futuro.
La crosta molto consistente che racchiudeva linguaggi, pensieri, pratiche, venne con coraggio superata. Ma proprio qui è da rintracciare la ragione di fondo della difficoltà a rendere mentalità diffusa quello che era stato, per lo più, il cammino di una “strepitosa” minoranza del popolo di Dio. La maggioranza doveva, allora, essere con costanza ed amore guidata alla comprensione di quanto il Signore aveva donato alla sua Chiesa. Invece, nonostante tante benefiche iniziative, gran parte del popolo di DIO non ha avuto la possibilità di comprendere a fondo la novità apportata dal Concilio.
Qualcosa certamente è stato recepito, a livello della liturgia, della Parola di Dio, della spiritualità e della teologia. Qualcosa, ma ancora troppo poco.E’ diventato un luogo comune la maniera di sintetizzare questo “troppo poco”: si parla di percorsi appena iniziati ma poi interrotti. Quante incertezze in vari ambienti del popolo di Dio!

Alcuni essenziali interrogativi

In questi cinquanta anni quanto è cresciuta la consapevolezza di essere popolo di Dio? Quanto ha preso campo la convinzione della pari dignità tra tutti i membri della Chiesa? Quanto è diventato familiare e promotore di vita cristiana intensa quell’immenso tesoro che è la Parola? Quanto ci siamo liberati da inutili sottili fondamentalismi? Quanto l’anima della riforma liturgica è diventata patrimonio comune? Le domande potrebbero continuare ma già queste fanno comprendere la qualità di questi decenni post-conciliari. Molti hanno atteso che spuntasse l’alba.
E infatti, finalmente, la comparsa di Papa Francesco, con il suo modo di parlare e pensare, ha dato il via ad una nuova stagione per il popolo di Dio. Ma anche a questo proposito avvertiamo la necessità di mettere in atto una intensa azione educativa. Gran parte della comunità cristiana ha colto nella figura di papa Francesco la risposta a molte attese. Di sicuro questo è un dato consolante, soprattutto per lui. Ma nonostante questa entusiastica consapevolezza restano nella Chiesa, soprattutto in quella italiana, sacche di conservatorismo che non dobbiamo temere di denunziare. Ma non è questa l’azione più importante da compiere. Da sempre, infatti, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. L’atteggiamento più prezioso da attivare è quello di una fattiva educazione, più larga possibile per far intuire la bellezza del tempo che ci sta davanti, da riempire con la realizzazione di quei percorsi che il Concilio ha fissato.
Non stiamo a ricordarli. E’ sufficiente pensare che lo Spirito li ha suggeriti alla sua Chiesa per farla uscire verso un difficile esodo. Quello della vita secondo la logica del Regno e del Vangelo, in coerenza con le esigenze del tempo presente. A questo proposito tutti nella Chiesa abbiamo precise responsabilità. Nessuno si consideri inadatto a far sentire la propria voce. Papa Francesco ha dato l’allarme. A noi raccoglierlo con gioia e dedizione.
Nella esortazione “ Evangelii Gaudium “, forse, è già scritto quanto basta. Assumiamola come la guida quotidiana e condivisa, senza lasciarci distrarre da quanti non sanno mettersi in sintonia con i doni di Dio. C’è ancora tanto vecchiume nel popolo di Dio, tanta chiusura verso le stupende sollecitazioni del Vangelo. Nessuna paura. Anche se Papa Francesco ha dovuto costatare in molti la difficoltà a cambiare non si lasci disturbare. La parte più sana ha visto in lui molto di più di quanto sarebbe stato lecito aspettare.
Pertanto, non possiamo più compiere gesti e dire parole come se niente fosse capitato. Può essere utile fare un esempio. La “via crucis” di questi giorni di quaresima che abbiamo vissuto con devozione può insegnarci qualcosa. E’, in se stessa, salutare esercizio di preghiera e meditazione. Ma se non c’è un suo intenzionale, esplicito radicamento nel periodo nuovo che stiamo vivendo, se non è, dai sacerdoti che l’hanno guidata,messa in collegamento con gli appelli che giungono dalla felice novità del presente,rischia di restare solo una positiva devozione, capace di provocare qualche buon sentimento ma nulla più. La consueta, buona pratica della “ via crucis “ deve avere il sapore della gioiosa prospettiva che ci sta davanti. Le devozioni, da sole, ci seppelliranno, solo la PROFEZIA ci salverà.
Alcuni giorni fa in un quotidiano di larga diffusione è apparsa l’intervista ad un porporato sul prossimo anno giubilare incentrato sulla misericordia. Si faceva notare dal porporato che da sempre nella Chiesa si è parlato di misericordia. Osservazione vera se pur modesta e, tuttavia, con una sua preziosità. Senza volerlo ha fatto comprendere la differenza tra la misericordia come tema di cui parlare e misericordia come forza creativa di rapporti nuovi. Grande differenza.
In passato si è parlato certo di misericordia, ma spesso in un contesto di scarsa comprensione per i dolori e le sofferenze degli altri. Si parlava di misericordia ma si emarginava, con una certa durezza, chi non condivideva le posizioni della autorità. Tanto per fare qualche nome recente: Mazzolari, Milani, Turoldo.

Si parlava di misericordia ma senza rendersi nemmeno conto della sofferenza presente nell’ abbandono del sacerdozio da parte di oltre sessanta mila sacerdoti. Si fosse trattato di qualche caso sporadico si poteva riferire l’abbandono alla responsabilità individuale.Ma se questi diventano mille o diecimila o cinquantamila, forse, qualche problemino, oltre la responsabilità individuale andava intravisto. O no? Si parlava di misericordia ma senza neppure lontanamente riflettere sul mare di sofferenze e disagi presenti in tanti fallimenti della esperienza matrimoniale.
Ma quale idea di Dio della misericordia abbiamo dato? Si parlava di misericordia ma spesso non ci siamo resi conto della fatica di vivere provata da tanti poveri, sia poveri di risorse economiche che di spiritualità e cultura religiosa. Gli esempi anche a questo riguardo potrebbero continuare.
A questo punto del discorso nessuno pensi che il riferimento alla misericordia favorisca un certo lassismo o una incontrollata libertà. Una specie di “liberi tutti!. No , niente di tutto ciò. La misericordia si coniuga magnificamente con l’invito alla santità.
Una santità ricca di gioia, finalmente, e libera dai molti orpelli dell’inutile ecclesiastichese.

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