DOMENICA DI APRILE CON LE RIFLESSIONI DI DON GIULIO CIRIGNANO

DON GIULIO CIRIGNANO SUL GIUBILEO DELLA MISERICORDIA
Nell’omelia di presentazione dell’anno giubilare(Sabato, 11.4 2015) il Papa ha formulato la domanda: “perché un anno giubilare sulla misericordia?” La domanda è importante. La misericordia è parola ricorrente nel linguaggio religioso e qualcuno non ha perso l’occasione di far notare. questa banalità.
E’ noto a tutti, infatti, che parola e concetto sono fondamentali nella esperienza religiosa cristiana.
Con questo? Niente di nuovo nella iniziativa di Papa Francesco?.
Non è proprio così.
Infatti della misericordia si possono avere due rappresentazioni profondamente diverse. Comprendere tale diversità consente di valutare la proposta dell’anno giubilare come di un vero e proprio colpo di genio. Vale la pena spiegare il perché.
La misericordia può essere, in primo luogo, solo un tema ed un percorso interessante ma che non produce un reale cambiamento. Riguarda la mente e può suggerire percorsi del cuore. Un tema su cui si può parlare ma che lascia, sostanzialmente, le cose come sono.
In questo senso si parla di misericordia senza reale partecipazione alle sofferenze del prossimo. Può essere invece anche un principio vitale che cambia profondamente la realtà.
Misericordia, dunque, come tema interessante ma astratto e misericordia come principio veramente creativo di rapporti nuovi tra gli uomini. Due accezioni profondamente diverse.
La prospettiva della misericordia, nel secondo significato, se vuole essere qualcosa di veramente vitale necessita, allora, di essere messa in stretto rapporto con almeno tre fattori di notevole importanza.. Essi si presentano come tre percorsi di vita ecclesiale che conducono finalmente e direttamente al cuore del vangelo e, nello stesso tempo, al cuore della proposta conciliare. Per questo si può parlare del prossimo anno santo di intuizione geniale e di vera iniziativa dello Spirito.
Il primo e più importante fattore con cui il valore della misericordia è chiamato a declinarsi è la Parola di Dio. E’ proprio nella Parola di Dio che la misericordia affonda le radici per trovare senso e forza. E’ in essa che può continuamente alimentarsi per superare il pericolo di sbiadire se non addirittura di svanire nella indifferenza o nella ostilità. E’ nella Parola che può continuamente nutrirsi e trovare ragioni di rinnovamento. Parlare di misericordia senza il costante e concreto riferimento alla Parola è come autocondannarsi alla insignificanza.
A questo punto, tuttavia dobbiamo affermare la estraneità di gran parte del popolo di Dio a quello che è il suo tesoro più prezioso. Quattro secoli di emarginazione della Parola dalla vita della comunità si mostra, ora, in tutta la sua drammaticità. Non si tratta solo di riconoscere la estraneità al lungo percorso critico che ha avuto lo scopo di ridimensionare ogni tentazione fondamentalista riguardo alla Bibbia ma, quel che è ancora più preoccupante, è la incapacità a godere della saporosa bellezza di quella emozione originaria che ancora vive in essa e che è destinata a sostenere la vita delle generazioni cristiane future.
Qui si rivela il primo carattere di genialità dell’anno santo della misericordia. Attraverso di esso. lo Spirito riporta la sua Chiesa all’interno di quel percorso che il Concilio aveva solennemente avviato attraverso la “Dei verbum”. L’aveva avviato, qualcosa ha provocato, ma ancora troppo poco. Ancora troppo poco è entrato nel cuore e nella mente dei cristiani adulti.
Dunque nessuno pensi all’anno santo solo come ad una pia pratica, ma come ad una splendida occasione per ricollegarsi con il Concilio per perfezionare la doverosa fuoriuscita della stagione post-tridentina.
Il secondo fattore che entra inevitabilmente in combinazione con l’anno Santo della misericordia è il farla vivere all’interno di una comunità in cui al primo posto non vi siano gli aspetti istituzionali ma il cuore caldo del Vangelo. Anche in questo siamo davanti ad un lascito della lunga stagione che ci ha preceduto. Troppo si è messa attenzione alla istituzione ecclesiale, troppo si è parlato di preti e Vescovi, poco di popolo e laici, troppo si è data importanza alla suntuosa pomposità delle celebrazioni, degli abiti, dei titoli e poco, troppo poco alla comunione ed alla povertà evangelica. . Ecco qui il secondo motivo di genialità. Parlare della misericordia ci obbligherà a parlare della comunità cristiana così come Gesù l’ha pensata.
Non inutile costellazione di poteri, non luogo delle ambizioni e della carriera, ma vero spazio profetico di fraternità. Questa è la comunità di cui il mondo ha bisogno.
Una Chiesa degerarchizzata non significa una Chiesa privata del sacramento dell’ordine. Tutt’altro. L’autorità della Chiesa è un dono, ma da vivere in sintonia con la divina verità del Maestro di Nazaret. Egli aveva fissato una gerarchia: “Chi vuole essere il primo sia come l’ultimo ed il servo di tutti”. Poiché sapeva che è molto facile addomesticare queste parole ha avuto modo di ribadire che il Figlio dell’uomo è venuto non per essere servito ma per servire. E come se questo non bastasse, proprio agli Apostoli, nella cena di addio, dopo aver lavato loro i piedi chiese se avevano capito quello che aveva fatto loro.
L’avevano capito? Loro, i primi, probabilmente si. Lo avevano capito e promossero la mentalità evangelica della fraternità. Poi, a poco a poco, quella comprensione è andata un po’ scemando. E così sono spuntati i principi, le eccellenze, le eminenze. Ma il Signore ha pazienza e, soprattutto misericordia. Ha anche uno spiccato senso dell’umorismo. Quindi aspetta.
Lasciarsi attrarre dall’anno santo della misericordia, allora, significa anche rientrare in quel magnifico percorso inaugurato dalla “Lumen Gentium”. Lì si parlava della pari dignità di tutti i battezzati, si parlava del ruolo dei laici, si chiamava a raccolta, come forza di vitalità ed evangelizzazione l’altra metà del cielo e così via. Insomma si ridisegnava una immagine di Chiesa, ad intra, in cui il vero unico Signore era ricollocato al posto che gli conveniva.
Come sappiamo, lo schema preparatorio di quel documento conciliare iniziava con le parole “Lumen gentium cum esset ecclesia”. Il documento conclusivo e promulgato invece recita “Lumen gentium cum esset Christus”.
Non è questione di parole ma di sostanza. Inguaribilmente ecclesiocentrici, i fedeli venivano, di conseguenza, educati a volgere lo sguardo al prestigio ed alla importanza della Chiesa, in atteggiamento permanente di difesa o di attacco di nemici, rocciosi difensori di valori cosiddetti non negoziabili, distribuendo a piene mani simpatie e sostegni non sempre a proposito.
Dunque, misericordia e Concilio sono in stretto rapporto. L’anno giubilare farà rivivere quella gioiosa speranza. L’una e l’altra realtà si arricchiscono reciprocamente attraverso il percorso della Parole e quello non meno entusiasmante di una comunità cristiana alternativa alla logica mondana.
Ma c’è un terzo elemento che viene chiamato in causa dall’anno Santo della misericordia. Viene chiamato in causa per essere beneficamente condizionato. E’ la impostazione della prospettiva etica. Da una morale del dovere, che pure ha la sua importanza, da una morale dei precetti che pure devono esserci occorre passare decisamente ad una morale del piacere di essere cittadini del Vangelo. La categoria della bellezza del dono di sé al primo posto, poi tutto il resto.
Quante pene abbiamo favorito con la vecchia impostazione morale! Il dovere, sempre ed unicamente il dovere e poi l’ ossessionante ricorso al tema del peccato e poi i precetti e la prospettiva della punizione divina, e poi la mortificazione e la necessità delle penitenze , poi l’esame di coscienza e ancora la prospettiva del castigo.
Parlare di misericordia non è accedere ad una esistenza più facile. Educare alla bellezza del dono di sé, nelle piccole come nelle grandi ore della vita è prospettiva stupenda. Non fu facile la vita di Gesù, totalmente dedita alla logica del dono. Fu un’esistenza resa felice dalla gioia di incontrare i più poveri per donare simpatia e amore, fu felice per la gioia di suscitare speranza dove nessuna osava più cercarla, fu felice per la sana bellezza del lavoro e dell’amicizia, del riposo e della fatica, della preghiera e della azione, del silenzio nei momenti di solitudine e della confusione della folla che lo cercava come gregge il pastore. Lo divertiva la innocenza dei bambini come la curiosità di vecchi rabbi in ricerca; lo disturbava la inutile supponenza dei “dotti ed intelligenti” e lo commoveva la spontaneità dei semplici, riteneva inutile la superbia di quanti si consideravano superiori e lo inteneriva la insignificante generosità dei poveri.
L’anno giubilare della misericordia, forse, rimetterà in circolo parole antiche ma pur sempre fresche di vita come perdono di Dio, stima e tenerezza che scendono dall’alto per ridare coraggio , comprensione prima del giudizio, autostima prima della svalutazione, letizia al posto di ostinato pessimismo.
Insomma la fede può farsi esistenza più vera e sana.

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