L’ATTESA RIFLESSIONE DEL TEOLOGO DON GIULIO CIRIGNANO: METTERCI IN CAMMINO DIETRO LE TRACCE DI PAPA FRANCESCO

IN CAMMINO

Può essere di un certo interesse riflettere sulla differenza tra l’antico vizio cattolico della papalatria ed il grande entusiasmo da parte della gente comune per papa Bergoglio. Apparentemente sembrano la stessa cosa. Ma non è così. La consolidata abitudine cattolica di applaudire il Papa, infatti, è essenzialmente celebrativa. Per essere più precisi è autocelebrativa. Si esalta la figura del pontefice per affermare la propria forza. Si esalta per esaltarci. Nel caso dell’entusiasmo per papa Francesco, invece si celebra la imprevedibile azione dello Spirito e la premura del Signore per la sua Chiesa con la conseguenza che non l’autocelebrazione ma la presa d’atto di un impegno si fa largo nella coscienza. E’ proclamazione di responsabilità. Per questa ragione è un entusiasmo “pericoloso” perché impegna a farsi adulti e seri testimoni del vangelo e del Concilio.
In questi discorso, come è ovvio, non è in questione la figura del Papa ma solo il modo con cui il fedele si mette in sintonia con il successore di Pietro. Può farlo per sentirsi autocompiaciuto o, invece, per risvegliare in sé l’appello a sentirsi responsabile. Celebrazione o responsabilità: ecco i due termini contrapposti e in conflitto fra loro. Sull’onda di questi pensieri, allora, può essere utile mettersi sulle tracce di Papa Francesco per comprendere dove stiamo andando, cosa ci è chiesto, verso quale sponda camminiamo, a quale impegno siamo chiamati.
Lo stile di vita, le scelte semplici come quelle più importanti, i gesti, la parole, tutto in lui ha il sapore chiaro del movimento.
Il Papa è in cammino. Guarda in avanti e cammina avanti a noi. Ciò non può non avere influenza sui nostri pensieri. Dove siamo diretti? Il momento che stiamo vivendo è assai complesso come tutte le stagioni di transizione. Può aiutarci a comprendere un interessante, recente confronto tra il direttore di “La Repubblica” Ezio Mauro ed il sociologo tedesco Baumann . Il direttore del quotidiano ha utilizzato una formula assai efficace, “non più e non ancora” che rievoca l’espressione teologica del “già e non ancora” per sintetizzare ed esprimere il carattere del momento attuale. E’ una espressione laica e non ha niente di teologico. Vuole solo fotografare l’esistente.
“Non più e non ancora”: cioè “il non più” si riferisce sostanzialmente alla modernità che ha concluso il suo corso. Non siamo più dentro quella fase storica. Difficile è dire quando essa è iniziata. Per comodità possiamo riferirci alla scoperta dell’America con tutto ciò che è succeduto sul piano culturale, politico e scientifico. Le grandi scoperte e i movimenti ideologici che hanno caratterizzato il cammino soprattutto della vecchia Europa. La rivoluzione francese e l’illuminismo, la ideologia comunista e la cultura capitalista, il pensiero, la letteratura, l’arte di questi ultimi cinque secoli. Non possiamo dimenticare I grandi mezzi di comunicazione di massa che hanno reso il mondo molto più piccolo e i popoli più vicini. Poi le due grandi guerre del secolo scorso con ciò che esse hanno comportato di distruzione e dolore. Si, è proprio difficile fare una descrizione adeguata. Forse la definizione dell’uomo come” uomo planetario” è la sintesi più efficace della nuova condizione antropologica. E’ qualcosa di indefinibile. Porta in sé il passato che lo ha generato ed è affacciato su un futuro che gli è ignoto.
Conclusa la modernità siamo nella postmodernità. Ma riguardo ad essa ben poco sappiamo. I grandi movimenti migratori, segno insopprimibile dei tempi nuovi, per ora, generano solo apprensione. Quale sarà il nostro futuro? La politica e l’economia mondiale sapranno individuare prospettive di sviluppo e di pace? Riusciremo ad elaborare una nuova maniera di pensare il rapporto con noi stessi, con gli esseri, con la terra, con le cose? Ecco il “non ancora”.
Anche da un punto di vista ecclesiale è assai difficile descrivere quanto ci attende. Al massimo possiamo indicare quanto è opportuno lasciare cadere dei vecchi pesi ereditati dalla passata stagione senza nulla perdere degli aspetti positivi.
In generale, per quanto riguarda il negativo, possiamo pensare ad una impostazione eccessivamente rigida e compiaciuta della riflessione teologica, della prassi pastorale, della proposta morale. Pensavamo di aver elaborato qualcosa di definitivo e invece vediamo progressivamente sciogliersi e perdere significato convinzioni, abitudini, comportamenti. Non siamo noi a dover abbandonare vecchi schemi interpretativi, sono loro che hanno abbandonato noi, lasciandoci come nudi ed alla ricerca di nuove sintesi, nuove pratiche, nuove parole.
Come ricostruire la nostra identità credente? Su quali elementi portanti vogliamo appendere il nuovo profilo? Riusciremo a dar vita ad una prospettiva religiosa all’altezza delle nuove esigenze? Saremo capaci di elaborare un nuovo linguaggio in grado di ridar vita alla perenne freschezza delle parole evangeliche? Su queste domande conviene forse far scendere la parola di Papa Francesco soprattutto per toglierla da una pericolosissima quanto incomprensibile situazione: quella della non adeguata valutazione del suo peso.
In particolare c’è un numero del capitolo secondo della “ Evangelii Gentium “ che merita di essere citato:
“ Nel suo costante discernimento, la Chiesa può anche giungere a riconoscere consuetudini proprie non direttamente legate al nucleo del Vangelo, alcune molto radicate nel corso della storia, che oggi non sono più interpretate allo stesso modo e il cui messaggio non è di solito percepito adeguatamente. Possono essere belle, però ora non rendono lo stesso servizio in ordine alla trasmissione del Vangelo. Non abbiamo paura di rivederle. Allo steso modo ci sono norme o precetti ecclesiali che possono essere stati molto efficaci in altre epoche, ma che non hanno più la stessa forza educativa come canali di vita. San Tommaso d’Aquino sottolineava che i precetti dati da Cristo e dagli Apostoli al popolo di Dio “sono pochissimi”. Citando sant’Agostino, notava che i precetti aggiunti dalla Chiesa posteriormente si devono esigere con moderazione “per non appesantire la vita dei fedeli” e trasformare la nostra religione in una schiavitù, quando “la misericordia di Dio ha voluto che fosse libera”.
Questo avvertimento, fatto diversi secoli fa, ha una tremenda attualità. Dovrebbe essere uno dei criteri da considerare al momento di pensare una riforma della Chiesa e della sua predicazione che permetta realmente di giungere a tutti” (n.43).
Parole di straordinaria importanza. Le avranno lette laici, fedeli, preti, religiosi, vescovi?
Ma perché non si è dato vita nella Chiesa italiana ad un progetto di riflessione e formazione a partire da queste parole? Perché continuare con i vecchi stanchi, trionfalistici convegni di medio termine? Ora basta! E’ finito il tempo della debole attenzione alla “Dei Verbum” alla “Lumen Gentium” alla “Gaudium et spes”. Territori di bellezza si aprono davanti a noi.
Vogliamo citare qualche altra espressione dell’”Evangelii Gaudium” a nostra edificazione?
Ma non solo a nostra edificazione. Piuttosto per renderci accorti della qualità del documento che supera di molto il livello dei consueti documenti del magistero. E’ talmente particolare che provoca, spontaneamente, due reazioni opposte. Quella del suo oscuramento nella nebbia della indifferenza oppure quella di una coraggiosa compromissione. Per ora nella Chiesa italiana sembra prevalere il primo. Pertanto è doveroso dare l’allarme con forza. Gridare allo scandalo. Questo tentativo oscurantista non può passare. Ciò che non dobbiamo ignorare è il fatto che questo deprecabile atteggiamento non è ascrivibile a cattiva intenzione quanto piuttosto a ignorante estraneità ai mutamenti delle stagioni di Dio. Dunque, qualche altro passo tra i molti che potremmo chiamare a raccolta. Avevamo mai letto cose di questo tipo?:
“Dal momento che sono chiamato a vivere quanto chiedo agli altri, devo anche pensare ad una conversione del papato. A me spetta come Vescovo di Roma, rimanere aperto ai suggerimenti orientati ad un esercizio del mio ministero che lo renda più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali dell’evangelizzazione” Dopo aver ricordato l’impegno di Giovanni Paolo secondo a questo proposito , conclude” Siamo avanzati poco in questo senso. Anche il papato e le strutture centrali della Chiesa hanno bisogno di ascoltare l’appello ad una conversione pastorale” (n.32). Consigliamo vivamente di andare a leggersi personalmente l’intero numero. Leggerlo e meditarlo. Subito dopo, iniziando il numero successivo afferma:
” La pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio pastorale del ‘si è sempre fatto così’. Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità….Esorto tutti ad applicare con generosità e coraggio gli orientamenti di questo documento, senza divieti né paure”(n.33). Generosità e coraggio: quanto si è fatto finora? Il numero quarantasette, poi, mi riporta ad un simpatico episodio di qualche mese fa.
Celebravo la festa patronale in un ridente paesino della montagna pistoiese. Conclusi l’omelia leggendo questa parte del documento. Con mia sorpresa, dalla chiesa gremita partì un fragoroso applauso. Non era per me naturalmente. Ma io ne fui felice. Lo ripropongo ora come esempio della singolare qualità del documento, nella sua parte finale:
“Queste convinzioni hanno anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia. Di frequente ci comportiamo come controllori della Grazia e non come facilitatori. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa”.
Parole che ricevono vita e brillantezza se messe a confronto con la foto pubblicata dai giornali dell’affettuoso incontro tra Papa Francesco e la esponente radicale Emma Bonino. L’incontro mi ha riempito l’animo di tenerezza e speranza. Si, Dio è davvero più grande delle nostre sicurezze ed ossessioni. Come credenti abbiamo idee molto diverse dalla Signora Bonino ma abbiamo in comune la fragilità della nostra condizione umana, il bisogno di amare e di essere amati, la passione per la giustizia e per i diritti dei più poveri. La parte del documento che non può essere assolutamente dimenticata in questa breve antologia che mi piace chiamare di “significatività” è quella dove il Papa parla della mondanità spirituale(nn.93-97).
Vale la pena ripetere la domanda:
questi numeri li avranno letti e meditati con attenzione laici, preti, religiosi, vescovi? Se li hanno letti come hanno promosso iniziative di vera conversione? Se li hanno letti quali pensieri hanno suscitato in loro? Quale coscienza di novità hanno alimentato in loro? Di questa parte possiamo riportare solo un breve frammento, breve ma sufficiente per provocare una sana agitazione nell’animo: “ Questa oscura mondanità si manifesta in molti atteggiamenti apparentemente opposti ma con la stessa pretesa di “dominare lo spazio della Chiesa”. In alcuni si nota una cura ostentata della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, ma senza che li preoccupi il reale inserimento del Vangelo nel Popolo di Dio e nei bisogni concreti della storia.
In tal modo la Chiesa si trasforma in un pezzo da museo o in un possesso di pochi” (n.95). Si legga e si mediti con passione tutta la parte. Se non l’abbiamo fatto finora con sufficiente serietà non possiamo evitare di chiederci: cosa deve suggerire lo Spirito per svegliare il nostro animo dal sonno della abitudine e dei luoghi comuni?
Possiamo chiudere questa rassegna della “significatività” richiamando l’attenzione ad un numero fantastico del documento. E’ quello nel quale, con grande acume, il Papa descrive il suo modo di intendere la attuazione del sacramento dell’ordine. Con acume e coraggio, nel quadro del discorso sul ruolo della donna nella Chiesa. E’ utile leggere per intero il numero 104. Ai fini del nostro scopo è sufficiente la parte centrale:
” Il sacerdozio ministeriale è uno dei mezzi che Gesù utilizza al servizio del suo popolo, ma la grande dignità viene dal battesimo, che è accessibile a tutti. La configurazione del sacerdote con Cristo Capo- vale a dire come fonte principale della Grazia- non implica un’esaltazione che lo collochi in cima a tutto il resto. Nella Chiesa le funzioni ‘non danno luogo alla superiorità degli uni sugli altri’. Se il sacramento dell’ordine ha dato vita ad una casta che genera a sua volta una casta siamo fuori strada. L’affermazione sulla superiorità non è nuova ed il Papa la riprende da una dichiarazione della Congregazione per la dottrina della fede e fatta propria da Giovanni Paolo Secondo. Evidentemente cambiare e convertirsi è difficile per tutti.
Il numero continua così:” Di fatto una donna, Maria, è più importante dei vescovi. Anche quando la funzione del sacerdozio ministeriale si considera “gerarchica”, occorre tenere ben presente che ‘è ordinata totalmente alla santità delle membra di Cristo’. Sua chiave e suo fulcro non sono il potere inteso come dominio, ma la potestà di amministrare il sacramento dell’eucarestia; da qui deriva la sua autorità, che è sempre un servizio al popolo”.
In conclusione: con l’”Evangelii Gaudium” siamo davanti ad un documento speciale. Lo possiamo definire un vigoroso inno alla libertà. Libertà evangelica che non svaluta niente di ciò che lo Spirito ha suggerito alla Chiesa nella sua lunga tradizione, ma che non resta impigliata nel passato. Libertà come coraggio di guardare avanti, mano nella mano, con il Signore risorto, amante della vita.

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