PERICOLOSA LA CONCESSIONE DELLA DELEGA AL GOVERNO ( art. 21 del DISEGNO DI LEGGE RENZI ). 40 ANNI FA IL PROBLEMA FU RISOLTO DANDO VITA AD UNA ” COMMISSIONE DEI 36, COORDINATA DA MARIA BADALONI E COMPOSTA DAI RAPPRESENTANTI SINDACALI DI CATEGORIA E DAI COMPONENTI DELLE COMMISSIONI ISTRUZIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E DEL SENATO )

Salerno, 14 Maggio 2015

Ambrogio IETTO

MA DOVE VA LA SCUOLA ?

In questi giorni un’attenzione particolare è rivolta alla scuola. Il governo ha deciso di presentare un disegno di legge che, al momento, non raccoglie molti entusiasmi soprattutto tra i docenti e il personale tecnico – amministrativo. I genitori, dal canto loro, la settimana scorsa hanno sollecitato i loro bambini frequentanti le classi seconda e quinta delle elementari a non presentarsi a scuola per evitare di affrontare le prove Invalsi.
Avant’ieri la decisione di non recarsi a scuola è stata assunta, sicuramente col piacere anche di padri e di madri, dagli adolescenti iscritti e frequentanti le classi seconde dei licei, degli istituti tecnici e dei professionali. L’ordine, anche per questi giovani, era quello di boicottare queste prove che tendono molto semplicemente a compiere un’essenziale opera di monitoraggio, una rilevazione del come procede l’ itinerario di apprendimento degli allievi nelle due più delicate aree del sapere: la lingua italiana e la matematica.
La verifica, affidata a queste prove, compie molto correttamente la stessa funzione del termometro, cioè dello strumento usato per misurare, in unità convenzionali, chiamate gradi, la temperatura di un ambiente o di un corpo. L’effetto termico della dilatazione o meno del mercurio consente di partecipare al congiunto o al medico lo stato febbrile e, quindi, l’eventuale necessità di intervenire dopo aver acquisito la causa del malessere. Le prove dell’ Invalsi, infatti, offrono ai rilevatori elementi di conoscenza dello ‘ stato di salute ‘ dell’allievo e della sua classe.
Così questi dati, una volta decodificati, vengono partecipati alla scuola di competenza con la chiara indicazione dei punti deboli e/o dei punti forti della classe. In questo modo i rispettivi consigli di classe provvedono o dovrebbero provvedere ad elaborare interventi condivisi, orientati, grazie a specifiche tecniche didattiche o a strategie metodologiche innovative, a migliorare la qualità dell’offerta formativa.
Il boicottaggio di queste prove si accompagna col diffuso stato di malessere degli operatori del settore che, innanzitutto, non condividono il disegno governativo di potenziare e rafforzare ulteriormente gli spazi e i campi di intervento del dirigente scolastico.
La protesta dei docenti e del personale di segreteria non è del tutto infondata su questo punto. A seguito dell’introduzione del principio costituzionale dell’autonomia e della personalità giuridica, riconosciute al dirigente scolastico quale rappresentante legale della scuola di cui è a capo, i dirigenti, al momento, godono già di ambiti di manovra sufficienti per affrontare e risolvere i problemi della quotidianità. Certamente non sono in grado di provvedere alle carenze strutturali degli edifici che ospitano le scuole che vedono competenti i comuni per le scuole dell’infanzia, la primaria e il primo ciclo di istruzione e le province per le istituzioni secondarie di secondo grado ( licei, istituti tecnici e professionali ).
Coloro, però, che programmano ed attivano con la speciale Commissione Europea l’istituzione di speciali Pon ( Programmi Operativi Nazionali ), riferiti agli ambienti di apprendimento, vengono a trovarsi nelle condizioni di dover provvedere a bandire personalmente speciali gare di appalto nel rispetto di rigide procedure finalizzate a gestire anche milioni di euro. Al momento i dirigenti scolastici fruiscono di una dose abbondante di autonomia anche in questo campo.
Il problema vero è dato dal fatto che l’impegno per il più puntuale rispetto di queste procedure e di complessi adempimenti di natura contabile-amministrativa allontana i titolari delle istituzioni scolastiche da doverosi approfondimenti in campo pedagogico – didattico – metodologico di cui la scuola ha tanto bisogno per far fronte ad un’esigenza di continuo miglioramento della qualità dei risultati.
La possibilità di scegliersi una certa aliquota di insegnanti, così come prevede il disegno di legge, li metterebbe dinanzi a continui contenziosi amministrativi che finirebbero col logorare ulteriormente il loro sistema nervoso.
La proposta legislativa presenta, invece, due punti forti da tempo attesi dai quadri migliori del nostro sistema scolastico e dall’utenza seria: il riconoscimento del merito e l’obbligatorietà della formazione continua per i docenti e le altre figure professionali impegnate nel sistema educativo.
Occorre, ovviamente, inserire nel testo di legge strumenti e figure professionali che affianchino il dirigente nella molteplicità e nella delicatezza delle funzioni da svolgere.
Renzi deve ascoltare in itinere sindacati ed associazioni professionali, evitando lo strumento pericoloso del voto di fiducia e cercando di raccogliere anche suggerimenti saggi che possono provenire dall’opposizione. In primo luogo è importante che la sua proposta esprima esplicitamente quale idea di scuola l’ anima e l’ accompagna.
Chi legge l’articolo 1 delle finalità va incontro solo a parole vuote quali “ flessibilità, diversificazione, efficienza ed efficacia “, usate sempre in ogni legge promulgata sulla scuola da oltre un quarto di secolo a questa parte.
Manca, invece, quella che i pedagogisti chiamano la paideia.
Il disegno di legge, infatti, evita di precisare qual è l’orizzonte generale di senso che ispira questo provvedimento. E questo non è poco.

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