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Una parola franca sulla scuola.

13 settembre 2009

Riflettendo

Le manifestazioni di protesta di questi giorni, da parte del personale della scuola definibile come precario, costituiscono ormai una prassi consolidata che si ripropone agli inizi di ogni anno scolastico. Quelle di quest’anno assumono, però, una particolare gravità per l’entità considerevole dei tagli definita dal documento economico del governo, approvato a suo tempo dal Parlamento, e per le modifiche degli ordinamenti scolastici varati sempre dal legislatore.

Le proteste espresse nell’autunno del 2008 da docenti e studenti rispondevano di fatto alle determinazioni assunte in quel periodo dal governo e dal Parlamento. In concreto, quindi, non ci sono eventi nuovi che possano alimentare ulteriori insofferenze tra quanti sono in lista di attesa per un incarico a tempo determinato. La novità sta nel fatto che soltanto ora si prende piena consapevolezza della personale, drammatica situazione in cui ci si viene a trovare.

Dopo anni di precario impegno lavorativo migliaia di unità di docenti e di personale tecnico – amministrativo ed ausiliario si trovano dinanzi allo spettro della disoccupazione con storie personali, familiari e professionali degne di doverosa attenzione e di piena solidarietà. Onestà intellettuale impone, però, alcune considerazioni essenziali che alimentano di certo ulteriore sofferenza nei diretti interessati ma che vanno partecipate con la dovuta chiarezza.

I parametri numerici fissati dal legislatore per la costituzione delle classi e per la definizione dei posti di insegnante tendono ad adeguarsi a quelli vigenti negli altri Paesi dell’Unità Europea. I dati Ocse confermano che per ogni cento allievi, in Italia occupiamo tre insegnanti in più. Nonostante questa situazione di vantaggio i risultati dei nostri ragazzi quindicenni in educazione scientifica, in matematica e in lettura sono decisamente inferiori alla media.

Nel Mezzogiorno ci collochiamo addirittura al di sotto del Messico e della Turchia. Per far fronte a queste deficienze la Comunità Europea, anche per l’anno scolastico appena conclusosi, ha erogato per la Campania, la Puglia, la Sicilia e la Campania 251.578.513 euro di contributi per i PON (Programmi Operativi Nazionali). Alla Campania sono andati 80.527.495 di euro di cui 14.778.055 alla sola provincia di Salerno.

Gli stessi operatori del settore possono testimoniare, con l’onestà che li contraddistingue, come vengono spese queste risorse sia per quanto riguarda la tipologia delle attività programmate e svolte sia per i cosiddetti esperti coinvolti. Frattanto il prossimo rapporto Ocse confermerà l’ulteriore peggioramento delle performance dei nostri ragazzi.

C’è, quindi, da chiedersi: può la scuola svolgere una funzione di ammortizzatore sociale? Dell’esercito dei 730.556 docenti in servizio ben 53.527 sono quelli inquadrati nel ruolo del sostegno. E’ questo un settore che nobilita l’Italia in rapporto agli ordinamenti degli altri Paesi della Comunità ove il problema dei ragazzi diversamente abili è risolto in modo diverso e, di certo, non eccellente dal punto di vista ortopedagogico.

Ma è possibile che nel Sud d’Italia ci siano docenti di sostegno in dimensione doppia in rapporto al Nord ? Possibile che da noi nascono tanti bambini portatori di handicap? Può il semplice disagio socio – economico giustificare il sostegno ? Siamo certi che l’organizzazione didattica risulti sempre funzionale al responsabile coinvolgimento di tutti i docenti impegnati nel gruppo classe per il superamento di forme di disagio e di disadattamento scolastico? Questi e mille altri interrogativi vanno severamente posti a quanti sono impegnati nel settore.

Nei prossimi mesi occorrerà procedere al definitivo varo del piano di razionalizzazione della rete scolastica. Sono dieci anni che non si provvede a questo adempimento imposto dalla legge. Ebbene, soltanto in provincia di Salerno ci sono almeno cento istituzioni scolastiche autonome che sono abbondantemente al di sotto dei previsti 500 allievi. Il che comporterà la diminuzione di almeno 40/50 posti di dirigente scolastico e di direttore dei servizi generali ed amministrativi.

Le proteste saranno ancora più dure perché ad alimentare l’insurrezione saranno sindaci, consiglieri provinciali e regionali, espressione dei singoli territori, e non mancheranno i parlamentari che prenderanno in giro gli interessati, formalizzando interrogazioni e retoriche prese di posizione.

Fare riflessioni di questo tipo significa andare controcorrente e guadagnarsi l’indignazione umanamente comprensibile di quanti hanno sperato che, andando avanti di nomina in nomina, potesse essere raggiunto l’ambito traguardo della stabilizzazione del rapporto. Gli ultimi 50 anni della nostra storia della scuola davano loro fondata speranza: sindacati e politici hanno sempre trovato l’intesa, in particolare alla vigilia delle scadenze elettorali, per l’immissione nei ruoli mediante speciali provvedimenti legislativi. Ora ci sono l’Europa e diversi altri organismi internazionali che tengono sotto monitor la nostra scuola e ci sollecitano a cambiare registro.

Non solo contenendo le risorse finanziarie ed umane, superiori agli altri Paesi, ma intervenendo severamente sul merito, sui sistemi di formazione iniziale e continua, sui meccanismi di reclutamento del personale dirigente, docente ed amministrativo di questo comparto così decisivo per lo sviluppo culturale, sociale ed economico del Paese.

Ambrogio Ietto

( Pubblicato su ‘Il Nuovo Salernitano ‘ di Giovedì 3 Settembre 2009 )

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