Archivio per settembre, 2011

IL DIRIGENTE SCOLASTICO TUTORE DEL DIRITTO ALLO STUDIO

17 settembre 2011

 

Salerno, 17 Settembre 2011

Ambrogio IETTO

SCUOLA SOTTO TIRO

 

 

Chi ha avuto modo di vivere l’esperienza scolastica anche soltanto come diretto utente o come attento esercente la patria potestà ricorda che da oltre quarant’anni l’inizio dell’anno scolastico è contraddistinto da proteste, richieste, denunce di disfunzioni e di ritardi riguardanti nomine del personale o carenze delle strutture edilizie.

Si ha la percezione che la gente e la società tutta scoprano i problemi della scuola soltanto tra fine estate ed inizio d’autunno o quando capita che un proprio congiunto, alunno o docente oppure facente parte della variegata categoria degli operatori del settore vada incontro ad un’ingiustizia subita in fatto di valutazione del profitto o all’assegnazione di un compito non dovuto.

Queste tensioni periodiche per circa un trentennio hanno prodotto sempre dei frutti copiosi grazie ad interventi generosi dei governi di turno che, non preoccupati dell’entità del debito pubblico accumulato, sono stati ben disponibili ad imbarcare sul barcone dell’istruzione pubblica masse enormi di aspiranti al posto fisso.

Erano gli anni in cui non si ipotizzava una moneta unica per l’Europa ed ogni nazione, priva di controlli comunitari,  si regolava secondo i prevalenti interessi elettorali dei governi di turno.

Il Mezzogiorno d’Italia fu destinatario privilegiato delle assunzioni nell’amministrazione pubblica. La scuola costituì uno dei settori più avvantaggiati tanto da poter rifornire le istituzioni educative del Nord con decine di migliaia di docenti e di personale Ata ad ogni infornata. Per certi aspetti i nostri giovani aspiranti docenti contribuirono in misura notevole ad elevare la qualità dell’offerta formativa in Veneto, Lombardia e Piemonte.

I dati successivamente rilevati dall’Ocse confermano la bontà e la serietà delle risorse professionali esportate dal Sud verso il Settentrione. La crisi economico – finanziaria, purtroppo, ha reso appetitoso anche in quelle contrade un posto di docente o di assistente amministrativo.

Nel bando recentemente emanato di un concorso a posti di dirigente scolastico, la cui prova preselettiva si svolgerà il prossimo 12 ottobre, è fatto obbligo di permanenza nella regione scelta per sei anni da parte di coloro che risulteranno vincitori. E’ l’ulteriore conferma di una situazione generale che, segnata duramente dai provvedimenti restrittivi di tre anni fa del duo Tremonti – Gelmini, tende ulteriormente a peggiorare in futuro.

In tempi brevi, ad esempio, sindaci, giunte provinciali e regione dovranno trovare un’intesa per aggregare direzioni didattiche e scuole medie in istituti comprensivi con almeno mille scolari. La stessa pianificazione riguarderà gli istituti secondari le cui sedi territoriali non saranno eliminate ma entreranno a far parte di autonomie scolastiche dotate di un’utenza sempre almeno pari alle mille unità.

Ciò comporterà una sensibile diminuzione di posti di dirigente scolastico, di dirigente dei servizi amministrativi e di assistenti di segreteria.

Ancora recenti ricerche mettono sotto osservazione il problema degli oltre novantamila docenti di sostegno la cui attività, così come è stata organizzata e portata avanti finora, non ha dato i risultati sperati per gli oltre 200.000 allievi diversamente abili loro affidati.

Insomma la scuola, nel mentre è sotto tiro, vive al suo interno contraddizioni e limiti che richiederebbero, al contrario, orientamenti convergenti e sostegno diffuso. Si legge e si percepisce troppa conflittualità in giro. Protestano in troppi: precari, genitori, sindaci, addetti ai lavori. Una scelta politica scellerata trasformò solo per motivi demagogici le graduatorie permanenti in graduatorie ad esaurimento, generando legittime aspettative tra gli interessati. Frattanto da quasi dodici anni non vengono banditi concorsi per i giovani laureati e chi entra in ruolo dopo un quarto di secolo di attesa è stanco, stizzoso, demotivato, allergico alla formazione continua e alle innovazioni.

Così genitori che si scandalizzano per il versamento di un contributo volontario a sostegno di iniziative di integrazione e di arricchimento dell’offerta formativa. Non mancano sindaci che interrompono l’erogazione del servizio, sospendendo pregiudizialmente l’attività didattica in tutti i plessi mentre motivi straordinari giustificherebbero il provvedimento per eventuali problemi igienici soltanto nelle sedi ove non è possibile assicurare il servizio di pulizia degli ambienti per carenza di personale.

Va ricordato ai pubblici amministratori che la scuola dovette caricarsi anche del dono  ‘ offerto’ dai comuni di decine di migliaia di ausiliari assunti con sistemi padronali e transitati con lo Stato a svolgere una funzione delicata a contatto di bambini e di preadolescenti. Così è stato anche per migliaia di lavoratori definiti socialmente utili, recuperati da fallite attività produttive e collocati dall’oggi al domani a contatto di bambini di tre -quattro anni frequentanti scuole dell’infanzia.

Va detto con chiarezza che in non pochi di questi dipendenti si è consolidato il convincimento che con lo Stato sussistono quasi esclusivamente i propri diritti e in misura contenuta il proprio dovere verso il lavoro da svolgere.

Nel turbinio delle prese di posizione e dei protagonismi finanche alcuni consigli di istituto deliberano di non dare il via all’apertura e al funzionamento delle attività didattiche. Ci si dimentica che la legge attribuisce questa facoltà per motivi gravissimi esclusivamente a sindaci e a presidenti di Provincia per le scuole di diretta pertinenza.

Sembra, insomma, di trovarsi in una torre di babele con un’amministrazione scolastica centrale, regionale e provinciale ridotta al lumicino e depauperata nei suoi quadri anche dal punto di vista qualitativo. Restano sul campo, in prima linea, i poveri dirigenti scolastici letteralmente aggrediti da proteste e vituperi da dirottare verso altri interlocutori meritevoli e come del caos che si genera ogni anno.

I dirigenti delle singole scuole hanno il dovere primario di assicurare il diritto allo studio a bambini e a giovani. Pertanto nei limiti del possibile sono chiamati a trovare soluzioni che non depauperino ulteriormente un tempo scolastico già limitato e limitabile nel corso dell’anno scolastico per occupazioni e proteste varie.

Essi sanno bene di non dover cadere nei tranelli demagogici di chi ha interesse a buttare benzina sul fuoco. Ciò comporta anche il coraggio di prendere posizioni e di sostenere che la loro presenza all’interno dell’organo decisionale della scuola, quali membri di diritto, sta a significare eventualmente anche la mancata validazione di decisioni assunte illegittimamente dall’organo collegiale.

 

 

UNA SCUOLA SERIA PER I RAGAZZI DEL SUD

14 settembre 2011

 

Salerno, 14 Settembre 2011

 

Ambrogio IETTO

SCUOLA: SI RICOMINCIA …

 

Secondo il calendario regionale stamani la classica campanella suona per la quasi totalità degli allievi. Fanno eccezione in Campania alcune migliaia di scolari e di studenti le cui scuole, a seguito di discutibile delibera dei rispettivi consigli di istituto, hanno aperto i cancelli lunedì scorso. Così una non corretta interpretazione dell’autonomia organizzativa fa sì che nello stesso comune l’avvio delle attività didattiche nelle diverse scuole possa registrarsi in giorni differenti.

Il legislatore, invece, nell’intento di adeguare il calendario scolastico alle differenziate situazioni climatiche e ai possibili variegati flussi turistici, aveva reso le singole giunte regionali, di concerto con la direzione dell’ufficio scolastico regionale, diramazione territoriale del Ministero della Pubblica Istruzione, responsabili della stesura del calendario scolastico da rispettare in tutto il territorio regionale. Così di fatto non avviene, contribuendo a generare ulteriore confusione nella già complessa e discussa realtà scolastica.

Al centro delle discussioni di questi giorni permangono, infatti, le questioni, anche da noi affrontate in precedenti contributi, dei bidelli, del sostegno ai ragazzi diversamente abili e dei docenti precari.

L’ intervento odierno, invece, vuole offrire alcune semplici considerazioni che riguardano i principali protagonisti dell’esperienza pedagogico – didattica.

E’ giusto e doveroso cominciare dai soggetti primi destinatari del servizio: bambini, fanciulli, adolescenti e giovani che prendono comunemente il nome di alunni o di allievi. I canali mediatici e le tecnologie più avanzate offrono loro continui stimoli che, sovrapponendosi gli uni agli altri, nell’insieme costituiscono la conoscenza che oggi arriva, unitamente a tanta spazzatura informatica e televisiva, direttamente a casa del soggetto in apprendimento.

Lasciati molto spesso soli dinanzi al computer e/o al televisore i nostri ragazzi corrono il serio rischio di non essere in grado di discernere l’informazione giusta da quella errata, la nozione corretta da quella sbagliata, i comportamenti condivisi dalla comunità in cui si vive da quelli opinabili, illeciti, trasgressivi, licenziosi, offensivi, immorali, violenti.

La scuola, a cominciare da quella dell’infanzia che può accogliere con le innovazioni introdotte anche bambini di due anni e mezzo, è chiamata a farsi carico di questo che è uno dei problemi essenziali: avviare con la necessaria ed opportuna gradualità un’esperienza educativa e didattica che, tenendo conto di quanto avviene nel vasto mondo circostante, contribuisca, durante l’intero percorso formativo, ad affinare la capacità critica dell’allievo, la sua propensione ad osservare, riflettere, comparare, concettualizzare, valutare ed esprimersi.

E’ questa un’impresa per niente facile che richiede alta professionalità da parte di quanti sono coinvolti in questa opera di mediazione culturale ed educativa. Dal contesto ludico – operativo – manipolatorio della scuola dell’infanzia alla ricerca documentaria e all’impegno laboratoriale di un liceo o di un istituto professionale.

Dietro bambini ed adolescenti ci sono ovviamente i genitori portatori di legittime apprensioni ed attese, rese ancora più invasive dalla difficile situazione economico – sociale vissuta oggi dalla maggioranza delle nostre famiglie.

Pur nel rispetto che si deve a troppe situazioni conflittuali e frammentate non va nascosto che bambini, ragazzi ed adolescenti sono portatori, all’interno della comunità scolastica, di tutte le contraddizioni, le frustrazioni e le carenze che si manifestano tra le figure adulte di appartenenza. Di conseguenza la responsabilità educativa che la Costituzione  assegna tuttora, all’articolo 30, ai genitori sta diventando di fatto un compito anche, se non soprattutto, della scuola che, dovendo alimentare in ciascun allievo la motivazione all’apprendere, il piacere della scoperta, la gioia di vivere la straordinaria ed appagante avventura verso la conoscenza, ha bisogno di realizzare un ambiente disponibile alla comunicazione interattiva, al dialogo, al lavoro cooperativo, all’autonomia, alla responsabilità personale, al rispetto dell’altro e delle cose che lo circondano.

Ovviamente anche questo obiettivo presenta enormi ostacoli prima di essere raggiunto sia pure parzialmente. La norma prevede, ad inizio d’anno scolastico, la redazione e la sottoscrizione tra scuola e famiglia  del patto di corresponsabilità educativa. Purtroppo troppe volte il tutto si trasforma in un  fugace adempimento burocratico mentre dovrebbe, mediante coinvolgenti e sereni incontri, veder responsabilmente convergere le due componenti verso comuni, condivisi obiettivi educativi dopo aver fissato regole e reciproci comportamenti.

Dalla sia pur fugace e parziale disamina odierna non va esclusa, ovviamente, la posizione degli insegnanti che portano dietro anch’essi le stesse contraddizioni e conflittualità presenti nella cosiddetta società liquida del nostro tempo.

Bambini e ragazzi quando arrivano all’interno delle rispettive aule hanno bisogno di trovare, per l’intero tempo scolastico, persone possibilmente serene, disponibili al dialogo, pazienti a dare risposte puntuali ai ‘perché’ dei piccoli e ai quesiti dei grandi. Non è possibile soddisfare immediatamente curiosità ed interrogativi o dare soluzioni a tutti i problemi posti. Rivelarsi umili, non onniscienti significa far percepire alla scolaresca l’immensità del sapere e la comune disponibilità – necessità ad indagare, ricercare, ampliare l’orizzonte della conoscenza, accogliendo e ponendo delle ipotesi di soluzione da verificare insieme, insegnanti ed alunni.

L’autorevolezza culturale si conquista soprattutto mediante la costante testimonianza, da parte degli stessi docenti, del desiderio ad apprendere, della predisposizione a gioire e ad entusiasmarsi dinanzi ad una nuova conoscenza acquisita.

Di questa dimensione debbono appropriarsi in primo luogo anche i dirigenti scolastici, altri coprotagonisti dell’impresa educativa, i quali, anche se presi da enormi compiti gestionali da correlare soprattutto con le frequenti, gravi inadempienze degli enti locali, sono i primi responsabili della complessiva qualità del clima che si respira e si vive all’interno della comunità scolastica.

Lo stato di benessere e di interazione significativa tra le diverse componenti chiamate in gioco, tra le quali rientrano anche il direttore dei servizi amministrativi, gli assistenti di segreteria e i bidelli, dipende primariamente dal modo di essere e di agire del rappresentante legale dell’unità scolastica autonoma.

Il dirigere, però, più che significare il disporre, l’assegnare compiti, il distribuire incarichi presuppone paziente disponibilità all’ascolto, attenta, serena ed equilibrata analisi delle situazioni problematiche, una sensibilità particolare nel percepire i bisogni formativi del contesto in cui si opera, la capacità di cogliere i mutamenti in atto e di intuire le ipotesi innovative da proporre, consolidando nelle singole risorse umane di cui dispone l’istituzione affidata una condizione di permanente ricerca di ciò che può contribuire a migliorare la complessiva qualità del servizio erogato. 

A questo punto è bene farla finita se non formulando a tutti un sereno e fecondo anno scolastico.

AD UN ANNO DALL’EFFERATO DELITTO DEL PADRE ANGELO VASSALLO

5 settembre 2011

 

Salerno, 5 Settembre 2011

Ambrogio IETTO

L’ODIO DEL FIGLIO

 

L’intervista rilasciata l’altro giorno da Antonio Vassallo, figlio del compianto sindaco di Pollica, al Corriere del Mezzogiorno merita qualche riflessione, in particolare oggi 5 settembre, ad un anno esatto dall’efferato assassinio del povero papà.

Il giovane ventottenne non usa mezzi termini: riesce immediatamente a delineare una comparazione e, quindi, a stabilire addirittura una classificazione con le dinamiche emotivo – affettive maturate e tuttora presenti nell’animo della madre. Qui a prevalere, sovrastando decisamente sentimenti di avversione e di ripugnanza, è il dolore non inteso in senso fisico, ovviamente, ma come condizione di profonda tristezza, di angoscia, di disperazione.

Angelina è la sposa, la compagna con  la quale esplose in gioventù la vera storia d’amore che l’ accomunò ad Angelo nella delicata e decisiva scelta di metter su famiglia, di elaborare insieme un progetto di vita, di concepire dei figli, di discutere e di confrontarsi sui problemi della quotidianità, di accarezzare man mano il disegno di allargare l’area dei compiti e delle conseguenti responsabilità, mettendosi il coniuge al servizio della più ampia comunità municipale, e lei, accettando prima e, quindi, condividendo l’impresa di salvaguardare quell’angolo di paradiso dove era sbocciato il loro amore, rendendolo, contestualmente, strumento ecosostenibile di crescita civile ed economica per i compaesani e anche per i loro figlioli.

Ad Angelina manca il padre dei suoi figli, colui che garantiva stabilità emotiva all’intero nucleo familiare, la persona che, attraverso lo sguardo, la mimica, la postura, assicurava sicurezza, visione chiara dei problemi, soluzioni praticabili.

Il figliolo Antonio, invece, ha piena consapevolezza che le sue elaborazioni mentali, il suo modo di pensare, le sue azioni, i suoi comportamenti risultano alimentati da un altro sentimento, decisamente più forte e più impellente del dolore psichico, un sentimento che molto spesso l’essere umano evita di definire, di specificare perché per certi aspetti fa paura anche a chi l’avverte e ne percepisce l’irruente spinta.

Antonio dichiara di avvertire addirittura qualcosa di più dell’odio, sente tanta rabbia in corpo, ha senso di repulsione nei confronti di chi gli ha sottratto il padre con quei nove proiettili calibro nove.

E’ la dura, furiosa ma comprensibile avversione di chi si ritrova brutalmente privo del suo modello di vita, del proprio protettore, di un leader riconosciuto dagli altri ma amato in misura incomparabile da chi, come lui, quel sindaco pescatore lo ha conosciuto fin dalla prima infanzia come padre tenerissimo che lo vezzeggiava e lo avviava alla scoperta dei primi segreti del mare.

Antonio, probabilmente non solo nel suo subconscio, ha elaborato un suo identikit dell’assassino. Trattasi di un identikit indefinito ed indefinibile, senza i lineamenti di un volto ma coi tratti sicuri del sicario, del vigliacco, dello spietato e freddo esecutore.

Il suo sentimento di odio, inutile nasconderlo, è diretto un po’ verso tutti e contro tutti. A ben riflettere tra i destinatari c’è anche qualche paesano omertoso le cui dichiarazioni autentiche avrebbero potuto dare una svolta decisiva alle indagini.

Non se la prendano i referenti istituzionali che da un anno cercano il bandolo di questa ingarbugliata matassa del delitto. Antonio, che compie di frequente il pellegrinaggio verso i loro uffici deputati a dargli la notizia tanto attesa, avverte rabbia anche per questo incomprensibile ritardo.

Egli non accetta nemmeno le celebrazioni messe su da quel Partito Democratico a cui l’intera famiglia Vassallo attribuisce la grave colpa di non aver candidato il proprio congiunto alle elezioni politiche che, con esito positivo, avrebbero potuto garantirgli anche la sopravvivenza fisica. Gli alibi dei Veltroni, dei Bettini, dei Iannuzzi per Antonio Vassallo restano solo parole vuote.

Immaginiamo quelle di Nicola Landolfi e del segretario regionale del PD Enzo Amendola che già il povero papà Angelo non indugiava nel giudicare ‘ sempre arrabbiati’. A ben riflettere alle celebrazioni di questi giorni a Pollica avrebbero avuto  titolo a partecipare più Maroni e Calderoli, quali leader della Lega, che gli esponenti di un’aggregazione politica giudicata dallo stesso  Angelo Vassallo, qualche giorno prima della tragica sua fine, come partito ‘destinato a morire ‘.

UNA SCUOLA PRIVA DI FORZE, DEMOTIVATA, ANCORATA A VECCHI SCHEMI

1 settembre 2011

 

Salerno, 1 settembre 2011

Ambrogio IETTO

PAROLE FRANCHE SULLA SCUOLA

 

Oggi prende ufficiale avvio il nuovo anno scolastico. In tutte le scuole d’Italia, pur tenendo conto del differenziato inizio delle lezioni secondo quanto stabilito dai calendari regionali e, decisione  assurda e per certi aspetti illegittima, anche da singole istituzioni scolastiche statali autonome, si riuniscono i collegi dei docenti mentre i neo – nominati in ruolo e i trasferiti di sede formalizzano l’atto di assunzione in servizio. Almeno da un mese la stampa quotidiana evidenzia le conseguenze inevitabili che l’ulteriore restrizione degli organici produrrà sulla qualità del servizio. Al centro delle rimostranze, in particolare, il contenimento del numero dei collaboratori scolastici, nel linguaggio comune ancora chiamati col termine di bidello, tanto caro ad Edmondo de Amicis.

La crisi economico – finanziaria, ormai invasiva in tutto l’Occidente, impone in tutti i settori restrizioni radicali che incidono ed incideranno sempre di più sulla qualità e sulla quantità dei servizi erogati. Il dibattito tuttora in corso sull’ennesima manovra evidenzia i forti contrasti emergenti non solo all’interno delle stesse aggregazioni partitiche di maggioranza e di opposizione ma anche, e per certi aspetti, soprattutto tra le diverse categorie e corporazioni che, di volta in volta, vengono chiamate in causa.

La scuola, dunque, non è né può risultare esclusa dalla complessa operazione di contenimento della spesa pubblica. Vanno umanamente comprese le situazioni di oggettiva difficoltà in cui vengono a trovarsi decine di migliaia di docenti che hanno prestato servizio da supplenti temporanei e da incaricati a tempo determinato anche per venti anni di seguito come meritano rispetto e solidarietà sociale altrettanti operatori che hanno svolto pregressa attività nella qualità di collaboratori e di assistenti amministrativi.

La dichiarata, sofferta, autentica compartecipazione ai problemi seri, a volte insolubili, di questi lavoratori sprovvisti di un sia pur modesto reddito mensile, non può impedire la socializzazione di alcune espressioni franche che investono esclusivamente l’universo scolastico e, soprattutto, il suo assetto organizzativo.

Tre sembrano le questioni che assumono carattere di emergenza: personale ausiliario e carenza di bidelli, docenti di sostegno, riorganizzazione della rete scolastica e, quindi, mantenimento o aggregazione delle singole istituzioni scolastiche con conseguente contenimento dei posti di dirigente scolastico, di direttore dei servizi generali ed amministrativi, di assistente amministrativo.

La diminuzione del numero dei collaboratori scolastici incide, è fuor di dubbio, sull’organizzazione generale del servizio e, quindi, sulla possibile limitazione del tempo scolastico di cui fruisce una parte dell’utenza. In altre parole sono a rischio i piccoli plessi di scuola dell’infanzia e primaria, le esperienze di tempo pieno e di tempo prolungato nelle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado.

Su questa materia molto possono e debbono fare i consigli di circolo e di istituto nel pronunciarsi sulle priorità da garantire nell’erogazione del servizio al fine di renderne partecipi le amministrazioni comunali competenti per territorio.

Occorre adoperarsi, in particolare nelle realtà ove sopravvivono plessi con una molto contenuta popolazione scolastica, affinché si operino scelte funzionali al superamento delle pluriclassi e delle sezioni anemiche di scuola dell’infanzia. Un razionale servizio di scuolabus, di cui tutti i comuni sono già dotati, può favorire il consolidamento di più plessi distanti 4/5 chilometri l’uno dall’altro e determinare, dal punto di vista pedagogico – didattico, indiscutibili vantaggi sul più ampio processo di socializzazione degli alunni e sulla più variegata fruizione dei linguaggi espressivi.

Eventuali, brevi prolungamenti dell’orario di servizio dei docenti per l’attesa dell’arrivo dello scuolabus, prima dell’ inizio o dopo la conclusione delle attività didattico – educative, potranno essere assicurati a turno e compensati col sia pur modesto fondo di istituto. Ovviamente laddove il tempo prolungato costituisca priorità socio – culturale – educativa occorre distribuire le risorse umane disponibili all’interno dell’istituzione scolastica autonoma in modo da garantire la prosecuzione del servizio.

Resta essenziale, però, l’intensificazione da parte delle famiglie e della scuola di una condivisa, convergente azione educativa concentrata sul rafforzamento dell’identità personale dell’allievo. Il percorso verso l’assunzione di comportamenti responsabilmente autonomi, rispettosi degli altri e delle cose che appartengono all’istituzione scolastica e ai compagni, s’impone sempre più.

Visitare le scuole di altri Paesi significa in primo luogo percepire il livello di autonomia raggiunto fin dalla scuola dell’infanzia dai bambini che giocano senza prevaricare i compagni, rispettando suppellettili e materiale ludico.

La seconda questione indicata tocca il delicato settore degli allievi in difficoltà e, conseguentemente, degli insegnanti di sostegno. Un recente rapporto della Fondazione Treelle e della Caritas italiana offre un quadro oggettivo e sereno di una situazione diventata insostenibile dal punto di vista finanziario. Nell’anno scolastico 2009/2010 i posti riservati al sostegno sono stati 90.469 arrivati a circa 95.000 nel decorso anno. Noi siamo l’unico Paese d’Europa che raggiunge la percentuale del 98%  di regolare integrazione nelle classi normali degli allievi diversamente abili. E’ un punto d’onore ma che merita di essere moralizzato.

Non si vuole sostenere, per carità, la reintroduzione delle classi differenziali e speciali. Né  si vuole imitare la Germania che destina il 90% degli alunni in difficoltà nelle scuole speciali. Lungi dal volersi porre sul medesimo livello della stessa avanzata Finlandia che non va oltre il 70% di integrazione. Paesi Bassi e Giappone si fermano addirittura al 20%.

Il problema vero è dato dall’allargamento strisciante rispetto a quanto previsto dalla legge n. 104/92. La certificazione di disabilità è spesso riconosciuta ad alunni che, a rigore, disabili non sono, ma che presentano altre forme di svantaggi. Ma tutto ciò non basta. Da parte delle famiglie è frequente l’attivazione di contenzioso quando al proprio figliolo non è riconosciuto il rapporto privilegiato ed esclusivo con l’insegnante di sostegno.

E i giudici amministrativi, dal canto loro, non indugiano nel ritenere fondato il ricorso ed imporre all’amministrazione scolastica l’esecuzione della sentenza di accoglimento. Oltre un terzo dei 95.000 posti, infatti, sono in deroga. Eppure la legge n. 244/2007 (Finanziaria 2008 ) ha individuato il  parametro secondo il quale, a livello nazionale, un docente di sostegno non può superare il rapporto medio di due alunni con disabilità.

E’ possibile rilevare, dunque, che su questa materia le responsabilità sono molteplici e coinvolgono i componenti dei gruppi ASL deputati alla certificazione, non pochi docenti e le stesse famiglie. Gli allievi con svantaggi socio – culturali meritano un’organizzazione didattica che il gruppo docente interessato deve attivare con metodologie ed interventi adeguati senza sollecitare il diffuso e non corretto riconoscimento della presunta disabilità.

Infine la questione relativa alla ristrutturazione della rete scolastica. La prima manovra economica approvata di recente dal Parlamento ha stabilito il superamento organizzativo delle direzioni didattiche e delle scuole medie che dovranno ristrutturarsi in istituti comprensivi comprendenti scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado con almeno 1000 allievi.

E’ fuor di dubbio che questa  disposizione è giustificata dall’esigenza prioritaria del risparmio. Essa, però, presenta la positiva provocazione per poter dar corso, nell’intera fascia evolutiva dai 3 ai 13/14 anni, ad un curricolo unitario verticale, discusso, costruito e gestito in modo convergente dai docenti dei tre segmenti, determinando favorevoli condizioni di continuità pedagogica e didattica.

Lo stesso parametro numerico riguarda la popolazione scolastica degli istituti secondari di secondo grado. Questa operazione dovrà attivarsi da subito con il responsabile apporto dell’ente provincia e della regione.

Il dimensionamento delle istituzioni scolastiche  andava compiuto già più di 10 anni fa in esecuzione del DPR n. 233 del 18 giugno 1998. Gli amministratori pubblici della Campania hanno fatto finta di niente, assicurando a  centinaia di scuole, con un’utenza di non più di 200/300 allievi,  l’autonomia organizzativa, didattica, amministrativa, di ricerca e di sperimentazione.   E’ prevedibile che si scatenerà il putiferio tra i vari organismi amministrativi deputati alla revisione del servizio scolastico secondo i parametri dettati recentemente dal legislatore. Non ci sarà sindaco o consigliere provinciale o regionale che non invocherà il mantenimento dell’autonomia all’istituzione scolastica rientrante nel proprio bacino elettorale.

La pianificazione degli organici dei dirigenti scolastici, dei direttori dei servizi generali ed amministrativi e degli assistenti amministrativi a livello nazionale è già avvenuta. La stima avanzata dal periodico ‘Tuttoscuola ’, ripresa ieri dal ‘ Corriere della Sera‘, è errata e non ha fondamento. Infatti tutti i vincitori del concorso in atto a dirigente scolastico troveranno posto. In Campania, tanto per fare un esempio, sono stati collocati in pensione da oggi 124 dirigenti. Per alcuni di essi il Ministero ha dovuto provvedere al loro mantenimento in servizio ancora per un anno, non potendo coprire le tante sedi scolastiche rimaste prive di titolare. Eppure ben 34 dirigenti scolastici hanno ottenuto la mobilità da fuori regione, assumendo la titolarità di nostre istituzioni scolastiche. Tutt’al più coloro che risulteranno eventualmente in soprannumero in provincia troveranno posto in ambito regionale.

Non sarà così, invece, per i tanti docenti precari che continuano a rimanere nelle graduatorie ad esaurimento ancora per anni. Ma anche su questo punto la riflessione va fatta sgombra di ogni opportunismo demagogico. Il legislatore che operò la scelta di trasformare le graduatorie di aspiranti a nomina da permanente ad esaurimento fu in cattiva fede. Ora chi riceve la chiamata in ruolo mediamente ha 48/50 anni. Entra a pieno titolo nella scuola ma è già stanco e demotivato mentre sono oltre dieci anni, esattamente dal 1999, che non viene bandito un concorso per le centinaia di migliaia di giovani laureati in discipline funzionali alla docenza.

In conclusione; una scuola vecchia, demotivata, ancorata a schemi superati, poco disponibile ai cambiamenti in atto nella cosiddetta società liquida del nostro tempo.

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