Archivio per marzo, 2011

UN’ACCUSA GRAVE CHE VA BEN OLTRE I RISPETTABILI FATTI PRIVATI

30 marzo 2011

 

 

Salerno, 30 Marzo 2011

Ambrogio IETTO

UNA MARA CARFAGNA ‘ SEMPRE TELECOMANDATA’ DA BOCCHINO

 

Più volte mi sono espresso in termini sentitamente lusinghieri nei riguardi della mia concittadina onorevole Mara Carfagna, ministro per le Pari Opportunità del governo in carica. Alcuni dei miei contributi, espressivi della mia solidarietà e del vivo, positivo apprezzamento per iniziative legislative e dichiarazioni pubbliche particolarmente significative, pubblicati sulla stampa quotidiana, sono stati poi ripresi ed inseriti in un mio volume ( ‘ Pensare e scrivere in libertà. Vicende e personaggi del nostro tempo ‘, Plectica, Salerno, 2009 ).

Su questo stesso blog è possibile leggere tre articoli ( 16 marzo, 23 e 27 novembre 2010 ) nei quali, unitamente al riconoscimento per alcune non secondarie, importanti  qualità  dalla giovane salernitana manifestate nello svolgimento delle sue funzioni istituzionali, evidenzio anche errori commessi da sola o in compagnia dell’altro leader locale del centrodestra Edmondo Cirielli, soffermandomi, poi, nell’ultimo ‘pezzo‘, sulle strane sue dimissioni da componente del governo annunciate e rientrate nel giro di qualche giorno.

Le recenti dichiarazioni di Italo Bocchino, rilasciate nel corso della nota trasmissione televisiva di Fabio Fazio, hanno offerto alla stampa quotidiana e periodica elementi di conoscenza anche per maliziose considerazioni che, fortunatamente per me, non alimentano curiosità né mi sollecitano a chiacchiericci gossipari.

Sono stato desideroso, invece, di andare sul blog personale del ministro per ascoltare una sua dichiarazione verbale in video, riportata anche in prosa virgolettata. Opportunamente ella ha liquidato come ‘ chiacchiere al vento’ quanto si è scritto a seguito di certe ammissioni fatte da Bocchino nel corso dell’intervista televisiva e riguardanti la qualità del loro rapporto ma non ha proferito ombra di smentita su di un passaggio dell’altra intervista, concessa dalla moglie del politico alla rivista Vanity Fair, ed avente come oggetto i comportamenti politici dell’onorevole Carfagna.

La signora Gabriella Buontempo ha testualmente detto: < in politica la Carfagna  è sempre stata  ‘telecomandata ‘ da mio marito: segue tutto quello che lui dice >. Una simile affermazione, non messa in discussione dal ministro e licenziata, quindi,  anch’essa come ‘ chiacchiera al vento’ ,  non può passare, invece,  inosservata per quanti s’interessano di politica o la seguono, come nel caso di chi scrive, perché  osservatori non superficiali degli eventi e dei fatti che, in particolare, coinvolgono – in modo diretto o indiretto – il territorio salernitano e campano.

Come si sa Mara Carfagna, tranne la molto breve parentesi delle elezioni per il rinnovo del consiglio provinciale, non ha mai manifestato simpatia nei riguardi del presidente della provincia di Salerno Edmondo Cirielli che è anche presidente della Commissione Difesa della Camera dei Deputati. I contrasti si sono riproposti in diverse occasioni quali la composizione della giunta provinciale, la gestione dei rifiuti con la realizzazione del termovalorizzatore e, soprattutto, la discussa gestione del Partito della Libertà affidata all’onorevole Nicola Cosentino di cui Cirielli è amico fedele e sostenitore convinto.

Per quest’ultima questione, nel novembre scorso, il ministro delle Pari Opportunità ha addirittura anticipato alla stampa e all’opinione pubblica la volontà più o meno immediata di dimettersi non solo da ministro ma anche da componente della Camera dei Deputati. Una lunga telefonata con Berlusconi all’aeroporto di Lisbona, arrivato addirittura con un’ora di  ritardo al vertice della Nato in programma nella capitale portoghese, e due ore di cordiale colloquio al rientro presso lo studio personale del Cavaliere, sono risultate sufficienti per convincere  la Mara a rientrare a miti consigli.

In una successiva dichiarazione di Cosentino tutto è apparso felicemente risolto. Sono stati dimenticati i severi giudizi espressi sulla discutibile conduzione del partito in Campania e sulla grave iniziativa giudiziaria avviata dalla magistratura campana nei confronti del coordinatore regionale del PDL che, dal canto suo, non ha mancato di assicurare il  pieno sostegno a Mara Carfagna nel caso in cui fosse stata designata quale candidata a sindaco di Napoli.

Si sa che i rapporti tra Bocchino e Cosentino non sono mai stati idilliaci tanto da spingere il primo, avallato dall’intera frangia vicina al presidente della Camera Gianfranco  Fini, a pretendere e ad ottenere il siluramento del secondo a candidato a presidente della giunta regionale della Campania. Al suo posto, infatti, fu indicato Caldoro mentre, fatto piuttosto insolito, la Carfagna  risultò designata al ruolo di capolista del Popolo della Libertà, conseguendo oltre 55.000 voti contro i poco più di 15.000 suffragi ricevuti dalla collega Alessandra Mussolini.

Di questa messe così doviziosa di consensi  il ministro delle Pari Opportunità ha menato più di una volta tanto vanto da affermare che non una sola delle espressioni di voto ricevute poteva essere attribuita ad amici del coordinatore Cosentino.

Ora la signora Buontempo, nella richiamata intervista, precisa che < se non era per Italo, mica li prendeva tutti quei voti in Campania >. Affermazioni del genere non smentite da Mara Carfagna alimentano considerazioni non riguardanti la vita privata, da salvaguardare comunque, ma che investono, invece, le vicende politiche non solo della persona del ministro ma, di riflesso, dell’intero centrodestra  campano e della stessa comunità  di Salerno ove la Carfagna ha finito col risultare esclusa o, comunque, estraniata dalla campagna elettorale per il prossimo rinnovo del consiglio comunale.

Mentre fino ad ora l’azione politica ed amministrativa del ministro  poteva dare adito soltanto ad illazioni per il mai nascosto rapporto di colleganza e di stima nei riguardi dell’onorevole Bocchino ora le dichiarazioni della moglie di quest’ultimo potrebbero trasformarsi in un macigno affidato al lancio dello stesso Cavaliere che già non ha avuto indugi nel designare a candidato a sindaco di Napoli l’industriale Lettieri, rimangiandosi anticipazioni del tempo passato molto favorevoli a Mara Carfagna.

 

 

PERCHE’ DE LUCA MANDA A QUEL PAESE BERSANI E D’ALEMA

24 marzo 2011

 

Salerno, 24 Marzo 2011

Ambrogio IETTO

LA SCOMPARSA A SALERNO DEL PARTITO DEMOCRATICO

 

Con la formale approvazione degli organi locali  e col tacito assenso da parte della segreteria nazionale, frammentata da sottogruppi l’un contro gli altri armati a conferma delle oggettive difficoltà presenti già nella fase di aggregazione di culture e di esperienze politiche diverse, il Partito Democratico scompare ancora una volta dalla prossima competizione di maggio finalizzata all’elezione del sindaco e del consiglio comunale di Salerno.

Vincenzo De Luca, il sindaco uscente che ha voluto sempre più identificare il suo impegno nella conduzione della vita amministrativa della città con la sua persona prescindendo da ogni schematizzazione di sorta riconducibile al partito di cui è stato anche rappresentante alla Camera dei Deputati, ancora una volta manda un segnale forte, a conferma del suo ben noto decisionismo, non tanto ai cittadini cui chiede la conferma del consenso quanto ai vari capitribù che a Roma continuano a disquisire sul sesso degli angeli.

Il messaggio inequivocabilmente esplicito l’ha affidato a Nicola Landolfi, giovane suo delfino, pazientemente formato ad una forma mentis e ad un metodo di lavoro, propri dell’identità culturale e politica deluchiana, ed opportunamente collocato alla segreteria di quello che ufficialmente viene chiamato a Salerno Partito Democratico.

Landolfi la settimana scorsa ha partecipato a Roma all’assemblea nazionale dei segretari provinciali del partito. In questa veste è intervenuto nella discussione generale, esprimendo considerazioni di particolare gravità non affidate all’estemporanea elaborazione ma ad un testo scritto sicuramente vergato a Salerno dopo aver ottenuto l’imprimatur dal suo padrino politico. Il contenuto dell’intervento successivamente è stato pubblicato sul sito del Circolo PD Uno di Salerno a conferma di un atteggiamento che, anche se non  nuovo, certamente rafforza la posizione autonoma di De Luca nei confronti di Bersani e compagni che già furono costretti a venir meno allo strumento delle primarie, in occasione delle ultime elezioni regionali in Campania, affidando allo stesso sindaco di Salerno la responsabilità di rappresentare il fallimento, in regione, della politica di Bassolino e del partito di cui questi era espressione.

Bene, cosa ha detto Landolfi all’enigmatico e deludente Bersani ? Egli ha sottolineato, in primo luogo, lo scollamento esistente tra le espressioni territoriali del partito e ‘ il cosiddetto partito istituzionale romano e giornalistico’, portavoce di ‘ correnti, capi-corrente, organi dirigenti che si fanno associazioni’. Quindi ha aggiunto che i segretari provinciali non sanno ancora bene se sono chiamati a lavorare ‘ per un partito di notabili e di correnti o per un partito che organizza idee per le giovani generazioni’. Nell’evidenziare il ruolo della provincia di Salerno, la quarta del sud dopo Napoli, Palermo e Bari, è stato anche rivendicato il diritto a vedere rappresentate in sede nazionale le istanze di un partito che rifiuta ‘ documenti lunghissimi tanto da sembrare libri di filosofia’, non accetta una ‘propaganda condizionata da una mole enorme di parole e di colori ’ tanto da non ‘ far capire niente’, e che non prende atto del fatto che oggi ‘ si vince sul terreno dell’autonomia ‘.

Pur nel rispetto dell’autonoma capacità elaborativa dell’intelligente Landolfi chi è attento al linguaggio deluchiano non fa fatica a riconoscere nel testo espressioni piuttosto colorite che sono proprie del personale vocabolario del sindaco uscente.

Ad avviso di chi scrive, dunque, la decisione di De Luca di rifiutare a suo sostegno una lista di appoggio siglata PD ha soprattutto il valore di ribadire a Roma la sua piena autonomia dal partito, di riaffermare una piena libertà di manovra proiettata anche sui futuri posizionamenti da assumere in un quadro politico nazionale particolarmente incerto.

Il recente suo viaggio a Milano per parlare di federalismo all’Università Bocconi, l’incontro – confronto svoltosi a Salerno con Tosi, sindaco leghista della città scaligera, sono gli ultimi segnali, in ordine di tempo, che confermano una  guadagnata e consolidata visibilità nazionale che gli consente di fare il bello e il cattivo gioco nei confronti della riconosciuta saccenteria di un D’Alema o dell’innaturale aggressività di una Rosy Bindi.

La debolezza, ormai consacrata in città, dei rappresentanti della componente ex Margherita li taglia fuori da ogni interlocuzione significativa col partito ufficiale. L’esperienza sofferta, vissuta in prima persona dal senatore Alfonso Andria nelle precedenti elezioni amministrative, ha contribuito ad attutire di molto l’entusiasmo suo, dei suoi sostenitori e di quanti hanno creduto di esprimere le istanze dell’antico cattolicesimo democratico all’interno del nascente partito democratico. Alla fine si preferisce la non belligeranza ad una partita considerata perduta in partenza.

A mescolare e a confondere ulteriormente le carte ci sono le correnti romane tra le quali cerca di agitarsi quella facente capo all’ex ministro dell’istruzione Fioroni che evidenzia – di fatto – la sofferenza della componente cattolica all’interno di un partito egemonizzato dai veterocomunisti. A rendere più complicato questo messaggio contribuiscono la Bindi, Letta, Franceschini e gli stessi Andria e Iannuzzi i quali, pur confermando l’adesione alle originarie posizioni di Don Sturzo, si collocano all’interno delle componenti vicine al duo D’Alema – Bersani.

In un simile guazzabuglio De Luca preferisce non identificarsi con un partito che, nella percezione del comune elettore salernitano, manca di una propria identità e di un credibile progetto politico. Il corpo elettorale della città sa bene che De Luca rappresenta se stesso e che ha consolidato così fortemente la sua autonomia da mandare tranquillamente a quel paese logo e denominazione del partito di ufficiale appartenenza del quale manifesta, quando vuole, la forza e la disponibilità a servirsi soltanto se gli conviene e se l’ipotetica, dichiarata collocazione risulta funzionale ad un disegno superiore e più gratificante per lui.

Pertanto, mentre risulta conveniente guadagnarsi il supporto del PSI e dei vendoliani della SEL, aggregazioni discese in campo coi simboli ufficiali, a De Luca, invece, produce senso di repulsione accettare l’appoggio di una lista targata PD.

Secondo la valutazione di chi scrive l’avvenuta esclusione  di questo potenziale, teorico aiuto non è  determinata da una strategia elettorale primariamente finalizzata a raccogliere anche i suffragi della componente moderata dell’elettorato salernitano che risulta, al contrario, sufficientemente alfabetizzato sull’originaria formazione marxista di De Luca, sulle sue pregresse esperienze di agitatore sindacale e politico ma che  ha avuto modo di apprezzarne le qualità di amministratore deciso e realisticamente impegnato  ad affrontare e, nei limiti del possibile, anche a risolvere i problemi della città.

Questa componente dell’elettorato accetta e sopporta di lui anche le lunghe, periodiche omelie, tollera il linguaggio  triviale che a volte utilizza, ingoia la sua scarsa disponibilità al sorriso e finisce anche con l’accostarlo, grazie al ruolo egemonico che esprime sui consiglieri e sugli assessori comunali e alla tecnica comunicativa che utilizza, allo stile e al carisma del non sempre disprezzato Cavaliere Berlusconi.

 

CARENTE IL SENSO DI APPARTENENZA ALL’IDENTITA’ NAZIONALE

17 marzo 2011

 

Salerno, 17 Marzo 2011 – Anniversario dell’Unità Nazionale

Ambrogio IETTO

 

A SALERNO POCHISSIME BANDIERE E NEANCHE UN MANIFESTO CELEBRATIVO

 

Fa riflettere il fatto che di bandiere tricolori se ne vedono davvero pochissime in città. Ieri sera ho percorso in bus il tratto da Mercatello al teatro Verdi per contarne non più di una quindicina senza calcolare, ovviamente, quelle esposte, per atto dovuto, agli edifici pubblici. Se non ci fossero stati i bambini delle scuole dell’infanzia e delle primarie le cartolerie non avrebbero venduto un solo foglio di carta crespata colorata in verde, rosso e bianco, necessaria per confezionare, con le proprie mani, tanti piccoli tricolori.

E che dire delle vetrine piene, come sempre, di merce in esposizione ma collocata lì, anonima, senza anima. Qualche raro segnale negli esercizi pubblici. Tra i negozi fa eccezione soltanto qualche storica vetrina del centro ancorata ancora ad antica, consolidata tradizione.

La scuola dei piccoli, come sempre, ha funzionato, illudendosi ancora una volta di alimentare nelle giovanissime coscienze quel senso di identità nazionale che manca alla stragrande maggioranza dei loro genitori.

La scuola dei grandi, invece, ha preferito costruire curricoli antinazionali, recuperando pagine di storiografia partigiana che fa di Garibaldi un bandito usurpatore e dei Borbone dei sovrani illuminati. Eppure Ferdinando II non amava di certo la cultura. Utilizzando il pronome ‘ tu ‘ con tutti, si beava di definire pennaruli gli intellettuali e, ad un ballo di corte, nel presentare agli ospiti la bella ed illuminata sua consorte, la regina Maria Cristina di Savoia, che indossava un abito nuovo, non indugiò molto nel profferire: “Guardatela: sembra una frittata col prezzemolo “.

Era il sovrano di un regno, quello delle Due Sicilie, che, ancora nel 1908, a distanza di mezzo secolo dalla fine della dinastia borbonica,  sollecitava un grande meridionalista come Gaetano Salvemini a descrivere Napoli, l’ex capitale, ancora con espressioni di questo tipo: “ Napoli, vasto centro di consumi e di attività improduttive, in cui una metà della popolazione campa borseggiando e truffando l’altra metà, sembra fatta apposta per incoraggiare alla poltroneria e per educare all’immoralità. Tutto è chiasso, tutto è dolce far niente, quando non è imbroglio e abilità “ ( ‘ Scritti sulla questione meridionale “, Einaudi, pagg. 265-266 ). Eppure a Napoli, mentre a Torino, Venezia, Bologna i negozianti hanno esaurito le scorte di bandiere tricolori, ancora oggi, festa dell’Unità d’Italia’, nelle vendite vincono i vessilli borbonici esposti e listati a lutto.

A Salerno le cose non vanno meglio. Un liceo artistico del centro cittadino ha preferito anticipare il ponte festaiolo, ospitando Luxuria, presentata non solo come brava scrittrice ma anche come valida pedagogista. Pure lei ha fatto riferimento al 1861, mettendo sotto processo i Pontefici e una politica che non riesce a difendere sufficientemente i diritti dei transessuali, dei gay e delle lesbiche. Anche questi sono segni dei tempi.

L’Amministrazione Comunale, non si riesce a comprenderne i motivi, non ha vergato nemmeno un manifesto celebrativo né ha invitato i cittadini e i commercianti ad adornare finestre e vetrine del simbolo nazionale.

Eppure De Luca ha ospitato qualche giorno fa, a Palazzo di Città, il sindaco di Verona Tosi, si è recato all’Università Bocconi di Milano per parlare anche lì di federalismo e delle prospettive che si intravedono per l’economia meridionale come conseguenza della riforma federalista.

Egli, che pur ha impegnato una parte consistente delle risorse disponibili per le luci natalizie d’artista, al fine di solennizzare la ricorrenza celebrativa, non è andato oltre alcuni  cartelloni sistemati nelle piazze cittadine illustranti, con schematizzazioni raffigurative discutibili e, a volte, anche umoristiche, personaggi significativi del Risorgimento.

L’Ente Provincia ha fatto qualcosa, aprendo le celebrazioni con una manifestazione prevalentemente canora ospitata alla pinacoteca provinciale di Via Mercanti. Si è ascoltata della buona musica, animata dall’ottimo maestro Cataldo, con motivi collegabili coi momenti più significativi del percorso unitario.

Ma né il presentatore né il presidente della Provincia hanno avuto l’intuizione di collegare, sicuramente per mancata conoscenza di pagine significative della storia locale, l’ambiente che ospitava la manifestazione con eventi verificatisi in passato e particolarmente importanti per la città e per la provincia.

In quelle ampie stanze, infatti, Giovanni Cuomo, salernitano doc, nominato ministro dell’Educazione Nazionale nel secondo governo Badoglio, insediò il nascente magistero pareggiato, voluto da lui con un decreto legislativo del marzo 1944, e dal quale è gemmata poi la grande università funzionante oggi nel magnifico Campus di Fisciano.

In quegli stessi ambienti per decenni ha funzionato la biblioteca provinciale, la più antica biblioteca provinciale d’Italia che, nel periodo post – bellico, ha consentito a migliaia di studenti, appartenenti a famiglie poco abbienti, di elevarsi culturalmente. Ma si sa la memoria passata e la cultura non entusiasmano molto i politici.

Così personaggi illustri, da Riccardo Muti al presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali Andrea Carandini, all’editorialista Ernesto Galli Della Loggia s’inginocchiano ai piedi del ministro dell’Economia ed implorano: ‘ Tremonti, ci ripensi! “.

Ma la politica si giustifica, evidenziando la mancanza di risorse. Essa, però, non risparmia per niente sui costi che lei stessa produce. Così capita di verificare, nei comportamenti di buona parte delle persone chiamate a gestire anche le nostre pubbliche istituzioni, supponenza, arroganza, presunzione, saccenteria. Celebrare i 150 anni dell’unificazione nazionale dovrebbe significare anche disporsi a ridimensionare quegli aspetti dell’identità umana che contribuiscono non poco a far allontanare i cittadini dalle istituzioni e, ancor più, dalla politica.

 

SALERNO ‘ CAPITALE ‘ DELLA CULTURA

14 marzo 2011

 

 

Salerno, 14 Marzo 2011

Ambrogio IETTO

DA CORONA A LUXURIA COL GIUDIZIO SEVERO DI MICHELE SANTORO

 

A Vincenzo De Luca, sindaco di Salerno, che disegna e spesso enfatizza una città a dimensione europea, aperta sul Mediterraneo, quasi pronta a diventare sede permanente delle migliori espressioni dell’architettura contemporanea grazie al piano regolatore redatto da Oriol Bohigas e alle opere in cantiere progettate da Zaha Hadid, Ricardo Bofil, Santiago Calatrava, David Chipperfield, Maria Aubock, avrà fatto di certo piacere sapere dei successi acquisiti, nella città da lui amministrata, da due personaggi continuamente ripresi sui più noti periodici specializzati in gossip e nei cosiddetti raffinati salotti televisivi: trattasi di Fabrizio Corona e Vladimir Luxuria, già all’anagrafe col nome di Vladimiro Guadagno, un tempo gay ed oggi, grazie alla modificazione delle proprie caratteristiche anatomiche e fisiologiche, approdato al sesso opposto a quello cui apparteneva per nascita e, quindi, esaltata come transgender più famosa d’Italia. Dunque Corona, grazie ad un insistente invito del prof. Rino Sica, fu elevato a marzo dell’anno scorso al rango di docente universitario e salutato ufficialmente al Campus di Fisciano dal rettore dell’ateneo Raimondo Pasquino, oggi felicemente candidato a sindaco del capoluogo campano. Aldo Grasso, docente di storia della radio e della televisione all’Università Cattolica di Milano, nella veste di critico televisivo del ‘Corriere della Sera’ salutò l’evento con questa parole: “ Corona che diventa prof ? Un fatto che segnala non la miseria di Corona stesso ma dell’Università italiana che ormai, per sentirsi viva e per avere qualche richiamo mediatico, non esita a proporre agli studenti occasioni come questa “.

In quei giorni il Corona era reduce da Potenza ove aveva partecipato ad una delle sedute del processo ‘Vallettopoli ‘ di cui era uno dei protagonisti più celebri. Recentemente, come si sa, è ritornato in una località contigua alla Basilicata, esattamente in quel di Avetrana, ove, secondo quanto dichiarato da Walter Biscotti, avvocato della famiglia Scazzi, avrebbe offerto una somma cospicua per la realizzazione di un ampio servizio fotografico sulla povera quindicenne Sara, assassinata e buttata in un pozzo di proprietà di suoi congiunti.

A distanza di un anno Salerno realizza un’altra performance che, con molta probabilità, consentirà al sindaco De Luca di proporla in sede Unesco, sia pure limitatamente ad un anno, quale prossima capitale europea della cultura.

La prestazione di Vladimir Luxuria, infatti, invitata dagli organismi dirigenti del liceo artistico ‘ Filiberto Menna ‘ per presentare un suo libro di successo dal titolo ‘ Le favole non dette ‘, ha raccolto entusiastici apprezzamenti da parte della folta schiera degli studenti, letteralmente presi dal carisma della narratrice che non ha mancato di partecipare, con linguaggio fiorito e piccante, considerazioni ed apprezzamenti particolarmente graditi dagli allievi il cui potenziale di creatività, sicuramente posseduto in relazione all’indirizzo di studi scelto, ha avuto modo di esprimersi al massimo grazie ad esplosive elaborazioni immaginativo – fantastiche.

Nel corso dell’unidirezionale suo intervento, primariamente mirato ad offrire il senso della sua produzione letteraria e, quindi, ad enfatizzare la terra promessa ove ‘ non si imprigionano gli animali per la loro bellezza e non si imprigionano creature umane per la loro stranezza ‘, l’ex parlamentare di Rifondazione Comunista ha ritenuto opportuno, forse per inviare un significativo messaggio al neo – arcivescovo di Salerno mons. Luigi Moretti, rivendicare la laicità dello Stato e la fine, col 1861 ( in realtà ha dimenticato che l’entrata a Roma delle truppe italiane si verificò il 20 settembre 1870 ),  del potere temporale del Papato .

Così sono stati sciorinati i temi cari dei diritti dei gay, delle lesbiche e dei transessuali, del testamento biologico e delle varie questioni cosiddette sensibili.

Luxuria, forse ricordandosi del lauto assegno ricevuto a seguito della sua vittoria all’Isola dei Famosi  e giudicato all’epoca equivalente alla retribuzione complessiva di 300 anni di lavoro di un operaio, ha ritenuto opportuno offrire gratuitamente la sua prestazione agli studenti.

Che la transgender, giudicata da una testata on line della città campana, portatrice di ‘ atto pedagogico’ e del ‘ valore dell’arte come visione positiva e trasformativa ‘ ( ! ), abbia sostenuto con comprensibile convincimento le sue molto discutibili idee, rientra nel cliché che si è dato e che l’ha condotta al Parlamento italiano facendola anche arricchire.

Ma che l’opportunità di elevarla al magistero educativo le sia stata offerta da un’istituzione scolastica statale è semplicemente disarmante e comprova, purtroppo, con quanta superficialità e pressappochismo pedagogico – didattico si offrono ad adolescenti e giovani, nella sede ufficialmente deputata alla scoperta dei saperi e all’intelligente mediazione culturale, modelli di quel mondo dell’effimero e della trasgressività che tanto danno sta facendo alle nuove generazioni.

Chiamare in causa l’autonomia della didattica e della sperimentazione significa soltanto tentare di rifugiarsi  dietro comodi e strumentali paraventi di natura costituzionale e normativa. Che un collegio dei docenti, sicuramente chiamato a pronunciarsi sulla fattibilità dell’iniziativa, si sia espresso a favore della stessa, rivela anche di quanto sia elevato il tasso di deresponsabilizzazione collettiva raggiunto dalla scuola statale. Va compresa, così, anche la decisione dell’illustre concittadino Michele Santoro che, pur sostenendo a parole la scuola di Stato, ha  scelto da tempo per la sua figliola la scuola francese Chateaubriand di Roma. Egli, che non può non ricordarsi di quando, collocato sulle scale di accesso al liceo ‘ Tasso ‘ di Salerno, si sistemava dietro l’ottimo preside Vasile ed ostentava a mo’ di trofeo un sarago congelato, sa bene che l’odierna scuola statale è capace di offrire cose peggiori di quella di fine anni sessanta da lui frequentata.

Che poi il conduttore di ‘ ‘Annozero ‘ decida di mandare a quel paese i volontari della protezione civile di Camerota, sorpresi a scrutarlo all’interno della sua villa di Amalfi, è altro discorso.

Mica  è comprensivo come il Cavaliere che apre i cancelli di villa Certosa e della residenza di Arcore a quanti vogliono partecipare all’ingenuo gioco del bunga bunga.

 

 

 

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