Archivio per agosto, 2012

TRA TFA E CONCORSO PER DIRIGENTE SCOLASTICO IN LOMBARDIA : UN’AMMINISTRAZIONE SCOLASTICA NON SEMPRE ALL’ALTEZZA DEL COMPITO

31 agosto 2012

 

Salerno, 31 agosto 2012

Ambrogio Ietto

Povera scuola

 

Particolarmente felice anche se triste il titolo del ‘pezzo’ scritto da Isabella Bossi Fedrigotti  sul ‘ Corriere della Sera’ del 30 agosto: ‘ Non è il modo di trattare la scuola’. Il contenuto fa riferimento all’ennesima meschina figura fatta dall’amministrazione scolastica centrale a proposito dei test somministrati dal 6 al 31 luglio a circa 150 mila aspiranti al conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento secondo quanto previsto dal comma 5. dell’articolo 33 della Carta Costituzionale e alla conseguente iniziativa della stessa amministrazione di pubblicare i nominativi dei 145 ‘esperti’,  designati dal direttore generale Luciano Chiappetta nel decreto del 5 agosto 2011, col compito di formulare i test. Tutto questo “ al fine di rendere trasparente l’intera procedura di predisposizione e di verifica dei test delle prove nazionali di preselezione ai corsi del TFA “ (comunicato MIUR del 29 agosto 2012 ).

“ Peccato – sostiene l’autorevole collaboratrice del ‘ Corriere’ – che il ministro, dopo essersi, sì, scusato, ha però scaricato la responsabilità su chi lo ha proceduto nel dicastero; e, ora, in nome della ‘trasparenza’, ha deciso di rendere pubblico, con nomi e cognomi, l’elenco dei commissari ministeriali autori delle domande con strafalcioni”. Va subito precisato che dopo poche ore lo stesso Ministero dell’Istruzione ha oscurato il richiamato decreto dell’agosto 2011, non consentendo più ai curiosi di prendere visione dei 145 ‘ imputati’ ad ulteriore conferma dell’inetta tecnica del tentennamento, del malcostume dello scaricabarile e della fuga dalle responsabilità caratterizzanti in misura non episodica il funzionamento dell’intero apparato dell’amministrazione scolastica a livello centrale e regionale.

Infatti non è la prima volta che si ricorre a questo gretto espediente per tentare di salvare la personale reputazione dei singoli funzionari. Pochi mesi fa, in occasione della prova preselettiva riservata agli aspiranti a posti di dirigente scolastico, furono alcune centinaia i test sbagliati ed inesatti nella formulazione. Lo stesso menzionato direttore generale non indugiò molto nel mettere alla gogna gli 89 componenti della ‘commissione esterna di esperti’ che avevano predisposto la batteria di quesiti. In quel caso i nominativi furono sadicamente elencati per ciascuna delle otto aree disciplinari.

Così il caso volle che ad aprire la lista, sia perché facente parte dell’Area 1 sia perché portatore di un cognome con la lettera iniziale ‘A’, fosse Antonio Augenti, uno dei migliori direttori generali del Miur di tutti i tempi, forse secondo soltanto a Giuseppe Lombardo Radice che questo stesso compito svolse, come si sa, nel settore della scuola elementare quando a svolgere le funzioni di ministro dell’educazione nazionale era stato  chiamato Giovanni Gentile.

Come è noto la Commissione nominata dal ministro dell’istruzione Profumo per la verifica degli stessi test, resa necessaria dopo aver preso atto della “ presenza di errori e di ambigue formulazioni degli item” al fine di “ ristabilire l’interesse pubblico ad una giusta selezione”, ha riscontrato nelle 37 prove un minimo di 4 e un massimo di 25 domande ricorrette e considerate scientificamente sbagliate.

La dottoressa Lucrezia Stellacci, Capo Dipartimento per l’istruzione, ha indicato alla stampa i possibili motivi che sono all’origine del pasticciaccio dei testi per l’accesso al TFA: i componenti del gruppo di esperti “probabilmente sono stati precettati di urgenza l’estate scorsa” (2011 ), “hanno lavorato da soli” ed “ è mancato il confronto “ tra loro.

E’ piuttosto evidente che anche il Capo Dipartimento tenta di salvare la propria posizione così come infelicemente aveva fatto Profumo nell’attribuire al ministro Gelmini la responsabilità dell’infelice operazione. Solo successivamente, infatti, è stato precisato che il decreto di nomina delle Commissioni è di competenza direttoriale e non del ministro. C’è da chiedersi, così, perché il Capo Dipartimento, cui è subordinata anche la direzione per il personale scolastico, dopo l’infelice esperienza del concorso a dirigente scolastico e grazie anche al  ritardato avvio delle prove preselettive per il TFA, non ha suggerito a chi di dovere di riunire i redattori delle diverse batterie di test e favorire il confronto ?

Precisare che gli stessi non appartengono al mondo accademico ma ai quadri ispettivi del Miur significa strumentalizzare il comodo alibi del distinguo tra la competenza tecnica e quella amministrativa, sottacendo le primarie responsabilità assegnate ai singoli direttori generali e allo stesso Capo Dipartimento e buttando altro fango sull’intero sistema scolastico italiano sostenuto, secondo quanto tristemente emerso e dichiarato, da personale tecnico – scientifico non sufficientemente qualificato.

L’altra amara vicenda, quella dell’annullamento del concorso a dirigente scolastico in Lombardia, conferma l’inadeguatezza di alcuni quadri dell’amministrazione scolastica di vertice. La recente ordinanza del Consiglio di Stato ( ricorso numero di registro generale 5836/2012 ) evidenzia, infatti, che “ in relazione al merito della controversia, il rispetto del principio dell’anonimato degli elaborati nelle prove concorsuali costituisce garanzia ineludibile della serietà della selezione e dello stesso funzionamento del meccanismo meritocratico, insito nella scelta del concorso quale modalità ordinaria di accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni ( art. 97), ( tra gli altri, Cons. Stato, Sez. VI, 6 aprile 2012, n. 1928)”.

Essa aggiunge “ che, nella specie, tale principio non è stato rispettato” e che “ le buste contenenti  i nominativi dei candidati hanno natura tale da rendere astrattamente leggibili i nominativi stessi”. Tra l’altro “ tale circostanza risulta dalla verifica diretta delle buste prodotte agli atti del giudizio”.

Ora, per carità, il direttore generale dell’ufficio regionale scolastico per la Lombardia non avrà una responsabilità diretta nella vicenda. Nel probabile atto di delega,  formalizzato ad un suo collaboratore  e contenente i dettagli da seguire per il corretto svolgimento delle prove scritte del concorso,  di certo avrà indicato anche la procedura relativa alla verifica della rispondenza del materiale di cancelleria, buste comprese, al principio richiamato dell’anonimato.

Da qualificato autore del consistente volume su ‘ Le norme dell’istruzione’, opportunamente pubblicizzato dall’editore De Agostini come ‘ guida indispensabile per superare il prossimo concorso per dirigenti scolastici’, il direttore generale dell’ufficio scolastico della Lombardia avrà sicuramente ribadito questa raccomandazione.

Nell’intenzione di chi scrive non si tratta di volere andare per forza a caccia alle streghe. Il già citato articolo 97 della Carta Costituzionale, dedicato alla ‘ Pubblica Amministrazione’,  al comma secondo ricorda che “nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari “.

L’intera lettura del testo della sentenza consente di quantificare in oltre 300 unità i candidati, tra i non ammessi alla prova orale e i collocati nella definitiva graduatoria di merito, comunque interessati alla questione e, quindi, al giudizio di merito che sarà pronunciato nell’udienza pubblica del 20 novembre 2012. Trattasi di docenti di ruolo nelle scuole statali di ogni ordine e grado della Repubblica e tutti turbati dal mancato riconoscimento di un concorso superato o dal dubbio persistente di essere vittime di un sistema non sempre garante il corretto funzionamento delle procedure concorsuali pubbliche.

Ci sarà qualcuno della pubblica amministrazione chiamato a rispondere dei danni procurati agli uni e agli altri oppure occorrerà convenire, anche in questo caso, con Ernesto Galli Della Loggia ( Corriere della Sera del 13 luglio 2012 ) il quale,  nel richiamare Schopenhauer, bilioso autore di un severo giudizio su noi italiani,  presunti  portatori di ‘ una perfetta impudenza’, identifica l’Italia come il Paese del ‘Tutti innocenti’?

I SEI ANNI DI PERMANENZA IN ITALIA DEL PIU’ SIGNIFICATIVO ESPONENTE DELLA POESIA VENEZUELANA

30 agosto 2012

 

Salerno, 30 agosto 2012

Ambrogio IETTO

L’ITALIANITA’  DI VICENTE GERBASI

 

Domenica scorsa, all’interno del vecchio monastero di San Francesco di Paola in Vibonati, organizzato da Emanuele Lione, presidente della locale Accademia delle Arti, si è tenuto un interessante convegno su ‘ Il contributo del vibonatese Vicente Gerbasi alla cultura venezuelana’.

Dopo il saluto di Massimo Marcheggiani, sindaco di Vibonati, si sono confrontati i docenti Giuseppe D’Angelo dell’Università degli Studi di Salerno, Marco Ottaiano dell’ateneo ‘L’orientale’ di Napoli e il redattore di questa nota. L’incontro – dibattito ha preso in esame, in particolare, l’elegia ‘ Mio padre l’emigrante’, uno dei capolavori di Vicente Gerbasi considerato da autorevoli esperti della letteratura sudamericana il maggior poeta venezuelano contemporaneo.

Egli nacque nel 1913 nella regione agreste dello Stato di Carabobo in Venezuela da Giovanni Battista Gerbasi e da Anna Maria Federico Pifano, entrambi emigrati pochi anni prima da Vibonati, i quali decisero di fargli completare il ciclo della scuola primaria nel centro collinare del golfo di Policastro per poi iscriverlo presso il collegio liceo – ginnasio ‘ Cavour’ di Firenze. Il rientro nel luogo di nascita s’impose nel 1929 a causa della precoce morte del padre.

Nel 1946 il poeta entrò nel Corpo diplomatico come addetto culturale in Colombia e, quindi, come console generale a Ginevra. All’avvento del dittatore Marcos Peres Jimenez rassegnò le dimissioni, partecipando molto attivamente alla lotta clandestina. Nel 1958 decise di rientrare nel servizio diplomatico, assumendo la funzione di ambasciatore ad Haiti ( 1959), in Israele ( 1960/64 ), in Danimarca e Norvegia ( 1964/68 ) e in Polonia ( 1969/71 ). Animatore del gruppo letterario del ‘ Venerdì’, un autentico laboratorio di poesia, Gerbasi si affermò sempre più come esponente significativo di una poesia che, scaturendo dal mondo dell’inconscio e dell’onirico, contribuì sensibilmente a sprovincializzare, negli anni che vanno dal 1937 al 1944, la cultura venezolana.

‘ Mio padre l’emigrante’, al centro della riflessione del convegno di Vibonati, rappresenta una delle testimonianze significative di un nuovo linguaggio che rifiuta il conformismo linguistico e contenutistico per  intraprendere e produrre  la ricerca della metafisica del verso. Dentro questa elegia, al componimento VII, è richiamato il ‘ villaggio sulla collina tondeggiante odorosa di grano, di fronte al mare con pescatori all’aurora’. Qui, cioè a Vibonati, ‘scendevano per il prato i mandorli della primavera, il contadino qual giovane profeta e la pastorella col viso incorniciato dal fazzoletto. E dal mare saliva la donna con la cesta di alici fresche’.

Il luogo natio dei genitori, che ospita il poeta – fanciullo, è descritto sempre più con delicata tenerezza  ‘solitario come nella luce d’una favola, coi suoi ponti, gli zingari, i falò nelle notti di silenti nevicate’.

Ad avviso di alcuni studiosi della letteratura sudamericana poco o niente emergerebbe nella produzione poetica di Gerbasi degli anni trascorsi in Italia e della provata italianità dei genitori. Di diverso avviso è il parere di altri affermati critici qual è, ad esempio, Ugo Piscopo, già validissimo ispettore del Ministero dell’Istruzione per gli studi classici, il quale qualche  anno fa sottolineava sul ‘Corriere del Mezzogiorno’ che ‘ in Italia Gerbasi  conosce un altro mondo, che subito lo seduce e presto diventerà parallelo all’altro, quello americano. Da questo momento la vita di Gerbasi sarà duplice in tutto, con due infanzie, due giovinezze, due cuori’.

Sempre secondo Piscopo   Gerbasi, a Firenze,  ‘scopre la sua vocazione alla poesia che lo impegnerà per sempre e avrà due fondamentali referenti, Montale e Quasimodo’. Ovviamente, insieme alle suggestioni degli autorevoli due rappresentanti della poesia  contemporanea italiana, aggiunge Piscopo, ‘ interagiranno vertiginosamente i richiami dell’America con i suoi simboli, le sue icone, il suo patrimonio di valori, la sua cultura cosmopolita’.

L’anno venturo ricorrerà il centenario della nascita di Vicente Gerbasi. Il comune gli ha già intitolato il museo civico. Il sindaco Massimo Marchiggiani ha assicurato l’impegno dell’Amministrazione da lui presieduta a dare particolare solennità all’evento con l’auspicio che, per l’occasione, possano essere presenti anche i tre figli del poeta Beatrice, Fernando e Gonzalo residenti tutti e tre in Venezuela.

L’ULTIMO, INTERESSANTE LIBRO DI ANGELO GUZZO

29 agosto 2012

 

Salerno, 29 agosto 2012

Ambrogio IETTO

SCARIO, PAESE DELL’ALBA

 

Sere fa, col delicato patrocinio del quarto di luna che in questa fase terminale del mese di agosto lascia un’accattivante scia argentata sulle placide acque delle nostre coste, all’altezza della chiesa dell’Immacolata che si affaccia sulla suggestiva piazza di Scario, è stato presentato il libro di Angelo Guzzo, collega giornalista e scariota doc dal titolo ‘ Scario paese dell’alba’.

Anche per me, cortesemente coinvolto nella riflessione pubblica che si è tenuta insieme ad altri interlocutori,  sui tratti distintivi della consistente e preziosa opera ( 172 le pagine ), è stata questa l’occasione preziosa per chiedere all’autore gli elementi distintivi che rendono Scario, il borgo marinaro incastonato nel golfo di Policastro, il ‘ paese dell’alba’.

Non è questo il primo lavoro che Guzzo dedica alla stupenda frazione di San Giovanni a Piro di cui è stato fedele, innamorato cantore fin dagli anni della gioventù, quando risultava meno facile gestire le dinamiche emotive proprie dell’età dell’innamoramento.

In questo testo l’autore supera se stesso, avendo elaborato una riflessione organica di particolare interesse su uno del borghi marinari più famosi dell’intera costa tirrenica; trattasi, infatti, di una pubblicazione particolarmente utile anche ai fini pedagogico – didattici per allievi del primo e del secondo ciclo di istruzione sempre che la mediazione culturale risulti affidata a docenti motivati e sensibili al migliore recupero della storia, del paesaggio e delle tradizioni locali.

Di Scario sono delineate nel testo  le origini risalenti all’uomo di Neanderthal con il puntuale riferimento alla mandibola attribuita ad un bambino di 3-4 anni, rinvenuta nel 1984 e felicemente restaurata dagli esperti del Museo preistorico ed etnografico ‘Pigorini ‘ di Roma.

Dall’Era Quaternaria la rassegna di Guzzo, sempre attenta alla documentazione e ai riferimenti, spazia ai popoli di origine sabellica guidati da Licio Opida, all’approdo dei naufraghi di Clistene, ai coloni romani che si insediarono nell’area della vicina Pixous, l’odierna Policastro Bussentino, battezzando il sito col toponimo di Buxentum, alle incursioni spietate dei vandali e al fuoco dei Saraceni.

I richiami alimentano la curiosità anche dei non addetti ai lavori. Sullo stesso toponimo di Scario, ad esempio, Guzzo si sofferma quasi in modo didascalico, offrendo al lettore le quattro – cinque tesi più accreditate nel merito.

Il suggestivo centro balneare è scandagliato nei suoi tratti più suggestivi ed anche meno conosciuti: le diverse torri, le cappelle, il porto con la naturale area d’ancoraggio comunemente chiamata ‘ orecchio del porco’, il faro, le opere del pittore casertano Pasquale Iannotta all’interno della chiesa dell’Immacolata, la brutta avventura del naviglio ‘ Maria Concetta’ e la conseguente tradizione della ‘madonnina venuta dal mare’.

La parte del libro che presenta carattere di particolare originalità riguarda i richiami di specifico valore antropologico. I paragrafi riferiti alle imbarcazioni realizzate ed utilizzate un tempo per la primaria attività della pesca, alla descrizione delle tonnare, al profilo del calafato, l’operaio specializzato nella copertura delle fessure prodottesi nello scafo, alle macine recuperate un tempo presso  la grotta della ‘Molara’, al ‘catuozzo’, cioè la  carbonaia di  un tempo, alle calcare, vale a dire le tipiche fornaci costruite in pietra a secco, ai libbani, ovvero le corde ricavate dallo sparto, una pianta erbacea perenne, al commercio della mortella costituiscono fonti preziose non solo di informazioni più o meno inedite ma anche di sentimenti, di tradizioni, di storie umane dolorose come la tragedia verificatasi nel giugno 1867 nella cala di Marcellino con la morte di 12 donne e di due uomini.

Un lavoro importante quello redatto da Angelo Guzzo. Non una comune anche se completa guida, ma, soprattutto, un testo prezioso per recuperare il senso della memoria, condizione indispensabile per riflettere sul presente e delineare un’ipotesi di futuro soddisfacente per le giovani generazioni.

ANCORA OSTACOLI SULLA TRASFORMAZIONE DEL ‘ RUGGI D’ARAGONA’ IN AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA ‘ SCUOLA MADICA SALERNITANA’

24 agosto 2012

 

Salerno, 24 agosto 2012

Ambrogio IETTO

L’IPOCRISIA DI CALDORO

 

Le dichiarazioni rilasciate ieri dal presidente della giunta regionale della Campania Stefano  Caldoro, a proposito della trasformazione dell’ospedale ‘ Ruggi d’Aragona’ in Azienda Ospedaliera Universitaria ‘Scuola Medica Salernitana’, costituiscono un capolavoro di ipocrisia, espressione caratteriale propria di un personaggio politico privo di carisma, asettico, abituato al dire e al non dire, pronto, però, a cadere nella retorica, esaltando sia l’azienda ospedaliera del San Leonardo per le ‘ tante eccellenze’ sia l’ateneo salernitano in quanto ‘ una delle università più grandi ed importanti del Mezzogiorno ‘.

Ora informa l’opinione pubblica sul nuovo itinerario procedurale coniato ed avviato ed assicura che si è partiti ‘ col piede giusto’. Insomma egli partecipa solennemente che, per dirla con un’espressione che fu cara al grande Gino Bartali, l’intera pratica, finalizzata a dar vita ad una struttura ospedaliera in cui risulti pienamente integrata l’Università degli Studi di Salerno, è  tutta da rifare.

E con tono ipocritamente rassicurante precisa che ora si è sulla buona strada.

Caldoro non rientra nel grande, storico filone dei socialisti utopisti. Egli, con una rappresentanza numericamente e culturalmente esigua di appartenenti al vecchio garofano craxiano, può vantare a suo favore una dote di certo preziosa in un’epoca in cui la politica langue in un pantano melmoso: è persona scaltra, dotata di spiccate capacità intuitive, pronta a collocarsi in posizioni che risulteranno di lì a poco favorevoli per ulteriori passi in avanti.

Sulla questione richiamata egli si è mostrato maestro di ambiguità. Se i vertici della burocrazia regionale, i collaboratori più diretti del suo predecessore Bassolino, il precedente direttore generale del ‘ Ruggi’ Bianchi, il rettore dell’ateneo salernitano Raimondo Pasquino e i loro dirigenti amministrativi navigano tutti nell’area cognitiva della mediocrità occorre concludere che la nostra pubblica amministrazione è davvero messa male.

Ma vanno messe in discussione anche le stesse capacità politiche ed amministrative di Caldoro che, ad oltre due anni dal suo insediamento e dall’assunzione dell’incarico specifico di manovratore generale della sanità campana, soltanto ora si pronuncia sulla questione e sostiene la necessità – opportunità di mettere a punto un nuovo protocollo d’intesa, slegato dall’atto aziendale, al fine di attendere le nuove linee guida ministeriali per poi redigere un atto aziendale idoneo ad ottenere l’imprimatur dei ministeri interessati e dello stesso presidente del Consiglio dei ministri.

Perché Caldoro non ha evidenziato da subito incongruenze e difficoltà burocratiche ? Perché ha evitato di entrare nel merito, magari cogliendo l’occasione della cerimonia svoltasi al Campus in occasione del conseguimento della laurea in medicina e chirurgia da parte dei primi sedici studenti ?

In quella sede, a rappresentarlo in una posizione quasi defilata, c’era l’assessore suo all’università Guido Trombetti che non ha preso la parola al contrario del precedente presidente di giunta Bassolino che, reduce da un recente, importante episodio di salute, ha svolto un intervento di assoluta dignità istituzionale e di indiscutibile onestà politica.

Stranamente Caldoro, che era sottosegretario di Stato all’epoca in cui fu firmato dal ministro Moratti il decreto istitutivo della Facoltà di medicina a Salerno, non fu presente alla cerimonia ufficiale che si tenne a Roma nell’edificio di viale Trastevere. Eppure in quella sede Letizia Moratti volle farsi accompagnare da tutta la deputazione parlamentare del centrodestra al fine di dimostrare che quel provvedimento era stato voluto anche dalla sua parte politica e non solo dagli organismi accademici e dai rappresentanti dei tre enti territoriali ( regione Campania, provincia di Salerno e comune capoluogo ) tutte istituzioni gestite da esponenti  del centrosinistra. Caldoro non si è presentato allora né è stato presente al Campus di Fisciano in occasione della cerimonia del conseguimento della laurea in medicina dei primi studenti arrivati a conclusione del corso.

Un modo di comportarsi piuttosto discutibile e che autorizza a pensare ad operazioni di rallentamento raccomandate dall’oligarchia medico – scientifica napoletana a lui vicina.

Questa non sarebbe una novità. Si verificò la stessa cosa nell’aprile 1944 quando il rettore dell’ Università di Napoli Adolfo Omodeo, nominato ministro dell’istruzione in sostituzione del salernitano Giovanni Cuomo, che aveva istituito il magistero universitario pareggiato, pensò bene di proporre l’abrogazione di quel provvedimento perché, a suo dire, Salerno non presentava credenziali scientifiche e strutturali idonee.

Per fortuna dopo di lui subentrò nel dicastero dell’istruzione il grande filosofo De Ruggiero che si mostrò vero uomo di cultura, non dando ascolto al fazioso collega partenopeo.

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