GIORNATA MONDIALE DELL’ANZIANO

 

1° OTTOBRE 2010

Ambrogio IETTO

ESSERE ANZIANI OGGI

 

Si compiono venti anni da quando nel 1990 l’ONU individuò nella data del primo ottobre la giornata da dedicare agli anziani. Nel nostro Paese, in particolare nel Mezzogiorno, non sono molte le iniziative che vengono organizzate per una riflessione collettiva sulla condizione della persona che ha superato la fase della maturità e si avvia, inesorabilmente, verso quella della vecchiaia.

Può darsi che la ricorrenza, celebrata in tutto il mondo, non abbia trovato particolare successo in Italia a causa della contiguità con la festa religiosa del successivo due ottobre quando la Chiesa celebra gli ‘ Angeli Custodi ‘ identificabili, sul versante laico, con i nonni. Non sono poche, infatti, le scuole dell’infanzia che in questo giorno organizzano semplici manifestazioni teatrali da dedicare al ‘ grand – pére ‘ e alla ‘ grandmother ‘, termini rispettivamente di lingua francese e di lingua  inglese indicanti i nostri ‘ nonno ‘ e ‘ nonna ‘ elevati, grazie al prefisso ‘ grande ‘, anteposto a ‘padre ‘ e a ‘madre ‘, ad una cultura del rispetto  da manifestare in una dimensione superiore a quella partecipata agli stessi  genitori.

In realtà un tempo in Italia, nel primo giorno di scuola, venivano festeggiati i ‘ remigini ‘, vale a dire i bambini di sei anni obbligati alla leva scolastica che aveva inizio col primo giorno di scuola, fissato in un’unica data  per l’intero territorio nazionale. Il termine venne coniato, fino a trovare normale collocazione  nei dizionari di lingua italiana, in omaggio a San Remigio che la chiesa cattolica celebra appunto il primo giorno del mese di ottobre ( Vocabolario Sabatino – Coletti, lemma ‘remigino ‘, pag. 2176; Dizionario Italiano de ‘l’Enciclopedia ‘ – 23° volume, pag. 2549 ). 

Dunque, oggi primo ottobre si celebra o dovrebbe celebrarsi in tutto il mondo l’anziano. Ma quando si è anziani e qual è la considerazione di cui essi godono nella società del nostro tempo ?

E’ difficile dare una risposta corretta a questi due interrogativi. Molti, infatti, sono gli stereotipi e non pochi i pregiudizi che contraddistinguono il rapporto tra la persona che ha superato la fase della cosiddetta maturità ed il contesto socio – culturale che la circonda. A cominciare dalla stessa famiglia di originaria appartenenza.

Se si ha la fortuna di vivere a contatto diretto o indiretto con essa non è raro ascoltare pseudoraccomandazioni del tipo: ‘ statti attento quando esci di casa ‘, ‘ancora guidi l’auto ? Non ti rendi conto che alla tua età i riflessi diventano sempre più lenti ?’, ‘ il tempo della gioventù è passato. La vuoi smettere di impegnarti tanto ?’.

Magari sono espressioni proferite in assoluta buona fede ma che non contribuiscono a rafforzare l’identità del congiunto che già non è positivamente condizionato, a livello soggettivo, da una fase dell’esistenza in cui si rincorrono domande ed eventuali riserve sulla vita trascorsa, sulle scelte compiute in passato, sulla presa di consapevolezza dell’avvicinarsi della vecchiaia, sulla certezza di una vita successiva, sul timore – paura nei riguardi della morte, sulle conseguenze prodotte dalla propria generatività.

Capita, al contrario, in non pochi casi, che l’anziano venga di fatto ‘sfruttato ‘ nelle sue residue risorse fisiche e psicologiche. Ancora autonomo e dotato di discreta salute, assume, a causa di obbiettive difficoltà del nucleo parentale giovane, le funzioni ora di baby – sytter ora di tutor dei compiti pomeridiani assegnati dalla scuola ai nipotini. Non mancano in questi casi adempimenti aggiuntivi riguardanti la preparazione del pranzo o la commissione in banca. Una vita da anziani vissuta in questo modo è, fuor di dubbio, già pienamente appagante, ti fa sentire vivo, utile, in certi casi addirittura indispensabile.

Le reali difficoltà subentrano quando l’anziano comincia ad avvertire una percezione non positiva della propria condizione fisica e psicologica che modifica anche il rapporto e la reazione dei familiari nei suoi riguardi, in pratica quando ci si rende conto che i propri congiunti cominciano a considerarlo un peso.

Allora dietro l’angolo è pronta la soluzione della badante o del badante. Sembra che in Italia svolgano questa attività regolarmente retribuita e notificata all’Inps non meno di 600.000 lavoratori stranieri. E’ una cifra enorme che spinge a pensare alla condizione triste di solitudine e di sostanziale emarginazione di tante persone incamminate inesorabilmente verso la fine della propria esistenza terrena. Indubbiamente, in non pochi casi, il ricorso a questa soluzione è necessitato da obbiettive difficoltà organizzative dei consanguinei giovani.

In tante situazioni, però, l’affidamento dell’anziano ad un estraneo è soltanto l’eloquente manifestazione dell’ egoismo di quanti da lui hanno assorbito il meglio nel corso della sua esistenza e non avvertono ora l’essenziale dovere della sussidiarietà.

Senza sottolineare  che ai bambini e agli adolescenti la mancata convivenza con l’anziano toglie la gioia e la preziosità del rapporto intergenerazionale, li priva di un messaggio pedagogico di alto valore, annulla il connettivo della narrazione che lega l’oggi al passato e che consente di immaginare e di ipotizzare il futuro.

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