” LA LINEA DI FONDO “, IL ROMANZO DEL SALERNITANO CLAUDIO GRATTACASO, VOTATO AL SECONDO POSTO DALLA GIURIA POPOLARE DEL PREMIO LETTERARIO DI NARRATIVA ‘ TORRE PETROSA’ DI VILLAMMARE (SA )

Domenica scorsa 25 agosto 2014 si è conclusa felicemente a Villammare di Vibonati ( Salerno ) l’ottava edizione del ‘Premio di narrativa Torre Petrosa 2014’. La giuria popolare ha espresso la propria preferenza per il libro di Donatella Di Pietrantonio “ BELLA MIA “ ( Elliot ). Secondo graduato il testo di

Claudio GRATTACASO

“ LA LINEA DI FONDO “ ( Edizioni Nutrimenti )

Barbara D’Alto, autorevole componente della Commissione tecnica del “Premio”, preposta alla selezione dei tre libri finalisti, ha redatto le seguenti considerazioni critiche sul libro di Grattacaso che, con piacere, pubblichiamo:

 

“ Nell’anticopertina, più che nell’exergo, è contenuto, in estrema sintesi, come sangue che esce dalla strizzatura dell’anima, tutto il senso del libro: “Io sono Giona. Sto nel ventre della balena e sono passati tanti giorni”.

Come Giona nel ventre della balena il protagonista è chiuso nel buio disperante di una vita irrisolta, fatta di sogni spezzati, di rabbia e stanchezze in attesa di essere sputato fuori, di vedere la luce.

Dall’anticopertina alla copertina.

Il titolo sembra parafrasare Conrad:”La linea di fondo” come “La linea d’ombra”, entrambe a segnare un confine oltre il quale c’è l’assenza di luce e talvolta il niente.

Il libro di Claudio Grattacaso non è solo la storia di un fallimento professionale e umano dove il calcio si fa metafora della complessa vicenda umana, ma è anche un percorso algebrico, pieno di incognite, che batte le tortuose vie dell’anima arrivando all’essenza stessa del dolore. E’ una storia dove all’utopia si contrappone la distopia: il capovolgimento di ogni attesa, di ogni speranza.

Lo svolgersi del narrato segue una doppia via cronologica e mescola presente e passato in una dimensione atemporale , perché atemporale è la coscienza umana. E’ cosi, l’adesso e l’allora si trovano a convivere come il sole e la luna che, quando non è più giorno ma non è ancora notte, per una strana magia astronomica, condividono lo stesso spazio nel cielo.

Un romanzo che solo ad una lettura sbrigativa può chiudersi nel cerchio dell’autobiografia trasposta. In realtà Josè Pagliara è un eteronimo –per dirla con Pessoa – una delle tante personalità che vivono, talvolta a nostra insaputa, negli scantinati dell’anima e da quel fondo emergono, lacerati e feriti, per piangere il loro dolore.

Considerazioni a margine dell’esistenza, ecco cosa sono le affermazioni del protagonista mentre descrive la voragine del nulla che sembra spalancarsi sotto i suoi piedi.

Uno scritto, quello di Claudio Grattacaso, che non lascia indifferenti, che in qualche passaggio annichilisce perché ti chiama in causa, ti interroga, ti toglie il velo, ti guarda negli occhi. E pensi che anche tu ti sei sentito inadeguato, anche tu come ogni essere umano hai una grande incompetenza nei confronti della vita. “Una volta ero un cucchiaio – dice Pessoa – prendevo e ingoiavo; ora sono un bisturi, incido e non sempre ricucio”. Ecco: un bisturi. Questo è lo strumento che usa Claudio Grattacaso.

Un libro dell’inquietudine espresso con un tessuto linguistico prosciugato, essenziale, dove la forza chirurgica della parola delinea e scolpisce nella dura pietra anima e sentimenti, volti e sguardi, parole e silenzi.

 

 

 

 

I commenti sono chiusi.

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fonire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o clicchi su "Accetta" permetti al loro utilizzo.

Chiudi