Ambrogio IETTO

Salerno, 17 Febbraio 2010

 

UNA RIFORMA ACCETTABILE MA CHE NON BASTA

 

Sono trascorsi oltre ottantacinque anni da quando Giovanni Gentile, esponente autorevole della filosofia dell’attualismo, assunta la responsabilità di ministro dell’istruzione, portò a termine la riforma della scuola secondaria di secondo grado già concordata con Benedetto Croce.

Quella riforma, nella sostanza, è arrivata fino ai nostri giorni. Nel corso dei sessanta anni di vita repubblicana non pochi sono stati i tentativi, da parte delle diverse componenti politiche presenti in Parlamento, di dar vita ad un’organica rivisitazione del segmento terminale del nostro sistema scolastico.

Tentarono la complessa, difficile operazione  i ministri Malfatti, Falcucci, Bodrato ma l’impresa non andò mai a termine. Vi stava riuscendo, nella qualità di diligente e paziente relatore di maggioranza, il compianto parlamentare salernitano Michele Scozia. Il suo disegno di legge, infatti, fu approvato alla Camera dei Deputati ma lo scioglimento anticipato del Parlamento non ne consentì il definitivo varo a Palazzo Madama.

Il traguardo fu raggiunto più recentemente da Letizia Malfatti, ministro dell’istruzione nel governo Berlusconi, la quale, dopo aver ottenuto l’approvazione della legge delega n. 53 del 28 marzo 2003, riuscì a portare a compimento tutti i relativi decreti legislativi, compreso quello del 17 ottobre 2005  riguardante il secondo ciclo di istruzione e formazione ( così venne definito il quinquennio delle secondarie di secondo grado ).

Le successive elezioni diedero vita al governo Prodi e, quindi, alla gestione del dicastero dell’istruzione da parte del ministro Fioroni il quale ritenne opportuno sospendere l’entrata in vigore dei decreti Moratti.

Finalmente ora, nel contesto del processo riformistico avviato dal ministro Gelmini, sta per essere pubblicato il Regolamento che dà un assetto più organico e funzionale alla scuola superiore. Il cammino del provvedimento legislativo è stato piuttosto lungo tra ascolto del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, della Conferenza Stato – Regione, del Consiglio di Stato, delle Commissioni Istruzione e Cultura della Camera dei Deputati e del Senato.

Il rinvio dei termini di scadenza per l’ iscrizione dei quasi 600.000 allievi che completeranno  a giugno il primo ciclo di istruzione è dovuto alla ferma intenzione del governo di dare attuazione al nuovo ciclo di studi fin da settembre prossimo, ovviamente per le sole prime classi.

Le novità più salienti della riforma sono riportate a parte. E’ possibile, però, recuperare alcune note distintive. Si riscontra il tentativo ben riuscito di porre ordine nella giungla di circa 500 indirizzi sperimentali, progetti assistiti e dubbi itinerari sperimentali messi su grazie ad uno dei decreti delegati maturati nel maggio del 1974 all’epoca del ministro Malfatti.

Cancellata la frammentazione di una miriade di settori e di indirizzi si consente, così, a famiglie e studenti di operare la scelta del corso di studi da intraprendere all’insegna della chiarezza.

Si coglie  un potenziamento della lingua straniera e, soprattutto, del curricolo di matematica e delle discipline scientifiche. In questo modo si cerca di porre rimedio ai disastrosi risultati emersi dalle rilevazioni sistematicamente condotte dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse).

Mentre ai licei si assicurano maggiore sistematicità, rigore, razionalizzazione dei piani di studio per i tecnici si ampliano gli spazi di autonomia progettuale e di flessibilità.

Il ministro Gelmini ha abbandonato la scelta, a suo tempo operata dalla collega di partito Letizia Moratti, del liceo tecnologico e del liceo economico  e ha seguito le indicazioni offerte dalla Confindustria e condivise dal suo stesso predecessore Fioroni. Il mondo imprenditoriale, infatti, lamenta tuttora, nonostante la grave crisi occupazionale, la mancata copertura di oltre 50.000 posti da affidare a figure professionali intermedie con profili di indirizzo ben definiti.

La riforma si muove in questo senso. La medesima logica traspare per gli istituti professionali con l’attenzione particolare offerta alle attività di laboratorio, agli stage, ad esperienze di scuola – lavoro, alla prevalenza, negli anni terminali del quinquennio, delle ore da destinare all’area di indirizzo su quella di istruzione generale.

Ora il problema serio da affrontare riguarda i protagonisti della mediazione didattica ed educativa, vale a dire i docenti. Per fine mese è annunciato un altro decreto riguardante il sistema di formazione iniziale degli insegnanti. Ovviamente riguarda i futuri docenti.

Per quelli attualmente in attività si impongono iniziative incisive e qualificate di formazione in servizio anche perché si va, secondo gli orientamenti condivisi dai paesi europei coi migliori esiti in campo scolastico, ad una riduzione del tempo scuola e ad una migliore qualità dell’insegnamento. Insomma non sono tanto le conoscenze da acquisire e consolidare in mente quanto le coordinate logiche che alimentano l’attività di ricerca e di studio.

Il continuo miglioramento del profilo professionale del docente si accompagna alla necessità di definire criteri di comparazione della dinamica insegnamento – apprendimento in modo da premiare quanti riescono ad offrire una migliore prestazione.

Sono questioni delicate ma determinanti per produrre una reale svolta nel nostro sistema di istruzione e di formazione.

 

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