L’ULTIMO ROMANZO DI BARBARA D’ALTO

 

 

Salerno, 4 luglio 2010

 

Ambrogio IETTO

 

“ LE NOTTI DEL CARRUBO LUNATO “

 

 

Possono un carrubo, l’albero sempreverde della famiglia delle leguminose, la luna ed una vecchia, arrugginita teleferica erigersi a protagonisti di una storia animata comunque da diversi personaggi del passato, di ieri e di oggi alcuni straordinariamente generosi, pienamente disponibili verso il prossimo, altri imprigionati dentro un vissuto sofferto, contraddittorio che di fatto impedisce loro di aprirsi, di comunicare, di partecipare stati d’animo delicati ma intensi, ed altri ancora che appaiono di tanto in tanto in retroscena ma che pure sono portatori di attese, di speranze, addirittura di progettualità ?

Eppure questo ‘ miracolo ‘ si verifica ne “ Le notti del carrubo lunato “ ( Plectica Editrice, 2009, euro 12 ) l’ultimo romanzo di Barbara D’Alto che, già dalla scelta del titolo, ha probabilmente inteso esprimere un’opzione a favore di alcuni elementi messi a disposizione da madre natura per farne testimoni discreti, silenziosi ma compartecipi delle variegate storie e delle molteplici vicende che contraddistinguono l’itinerario esistenziale di ognuno di noi.

La presenza del  carrubo dentro questa storia romanzata, da pianta originaria delle zone costiere del Mediterraneo sud – orientale ed importata da noi ad opera degli Arabi, aiuta a localizzare il contesto descritto nelle colline del nostro Vallo di Diano o del nostro Cilento. L’originalità dell’albero, però, non sta, come può dedursi, nel fatto che il suo tronco, di per sé corto e largo, possa richiamare la forma della luna. No, trattasi di un carrubo lunato perché le sue foglie paripennate in superficie di colore verde scuro e i suoi fiori rossi a grappolo giocano un brutto scherzo alla luna tanto da farla percepire, da chi osserva l’albero di notte, impigliata, trattenuta, quasi prigioniera.

Ed è quel carrubo lunato che fa da faro a chi, nella notte, cerca il luogo dove vive, anch’essa imbrigliata, tenuta a freno come la luna, Donna Almerina con gli ossessivi richiami del passato che non riescono, però, ad attutire la sua voglia di amare, il suo desiderio di cogliere e gustare gli attimi significativamente fuggenti della vita.

Ed è proprio quel carrubo lunato che diventa galeotto tanto da porre il sigillo ad una specifica, particolare notte d’amore vissuta prima ancora di un’attenta verifica dell’autenticità e dell’intensità dei sentimenti.

La luna, comunque, non è sola quella bloccata dal carrubo che, a sua volta, finisce col sentirsi costipato da questo abbraccio notturno  tanto da avvertire una sensazione liberatoria quando, nello ‘splendore terso del mattino ‘, riesce ad accendersi ‘ di sole come una fiaccola ardente‘. E’ anche la luna ‘ arroventata e gialla ‘, la luna che sbuca ‘ tra i rami intridendo le foglie di luce ‘, la luna ‘bionda e gobba ’che lava i tetti del paese, la luna ‘ rotonda e chiara ‘ che comincia ad alzarsi nella notte precoce, la luna che, riempiendo il cielo schiarisce  ‘ quella terra silenziosa e tormentata ‘, la ‘luna di rame ‘ che sosta ‘ ampia nel cielo ‘, la luna ‘ esile, trasparente, corrosa come un osso di seppia  sulla riva del mare ‘, la luna che rimbalza ‘ comparendo e scomparendo come un singulto ‘, la luna ‘ infuocata e stretta come la lama di una scimitarra ‘, la luna che fende ‘un cielo sbigottito e nero ‘, la luna ‘ impudica ‘ che sosta sul  ‘carrubo infiammando le foglie ‘, la luna ‘ infuocata ‘ che preannuncia la notte, la luna dalla ‘ bianchezza elettrica, immobile, sospesa in un niente di insensibilità e di lontananza ‘, la luna ‘ di pergamena ‘ che si annida tra i vigneti.

L’esistenza di Almerina per certi aspetti è segnata, se non proprio ossessionata dalla luna. Il papà don Isidoro, di origine spagnola, infatti, da attento e protettivo precettore, l’avvia alla lettura del suo conterraneo di Granada, il grande Garcia Lorca, e spesso le legge ‘ la luna gira nel cielo sopra le terre senz’acqua ‘.

Il ruolo di terzo protagonista, non meno importante del carrubo e della luna, è ricoperto  da una vecchia teleferica militare col suo vagoncino, un obsoleto impianto funicolare a sistema ‘ va e vieni‘, un tempo utilizzato dai carbonai ed ora rimesso in funzione dall’estro innovativo del primo e del secondo Lorenzo.

Ed è proprio sul punto più alto di quella ‘sospensione alta e minacciosa ‘, di ‘ quel vuoto incombente ed oscuro ‘ che si ripropone il rito di un ‘ amore portato alle estreme conseguenze ‘. E’ la stessa autrice a chiarire il senso della metafora: l’amore folle, quel sentimento disposto ad affrontare improponibili scommesse e rischiose situazioni non giustificabili all’occhio dei più, è paragonabile al traballante vagoncino della teleferica, sospeso sul vuoto, che – nel mettere in pericolo la stessa integrità fisica dei due innamorati – genera l’idea di quanto la stessa esistenza umana sia appesa ‘ sul tutto e sul niente ‘.

‘ Le notti del carrubo lunato ‘ confermano le straordinarie doti di narratrice di Barbara D’Alto, già vincitrice, con ‘Dal fronte psiche ‘ della prima edizione del Premio ‘ Torre Petrosa ‘ che si tiene ogni anno in agosto nello stupendo borgo marinaro di Villammare.

Ella, anche se portata a penetrare il profondo del vissuto dei suoi personaggi, a scandagliarne i fondali, rendendo partecipe il lettore di sommerse sofferenze, di ricordi teneri ma rabbuiati da un presente ossessivo e claustrale, alimentata da una narrazione fertile e, a volte, anche imprevedibile nello sviluppo della trama, non trascura i richiami di tradizioni e riti prossimi all’antropologia di cui è essa stessa testimone attenta ed espressione fedele.

Discorso a parte meriterebbe il glossario utilizzato: puntuale, tecnicamente preciso, ricercato anche nella descrizione di particolari minimi.

Barbara D’Alto,  intelligente dirigente scolastico, lascia nel prossimo mese di agosto il servizio attivo. Di certo non si annoierà. Nella parte terminale del romanzo, sicuramente ricca di emblematici richiami autobiografici, è richiamata dalla giovane Teresa, presunta narratrice della storia dei suoi antenati, la funzione arricchente e catartica della letteratura.

L’amica D’Alto è lettrice accanita e competente. Ne ha dato prova anche in ‘Interferenze‘, importante suo primo lavoro letterario. Il suo straordinario potenziale di creatività, ora che è libera dagli impegni ordinari di lavoro, produrrà altre avvincenti storie.

Senza nulla togliere alla dignità e alla serietà della nostra  Plectica Editrice già questo romanzo avrebbe meritato l’inserimento in un catalogo di rilevanza nazionale. Ma fa niente. Importante è scrivere, organizzare in una prosa limpida e scorrevole, come fa la D’Alto, quanto di forte e significativo erompe dalla mente e dal cuore di chi ama narrare sentimenti e storie dell’esistenza umana.

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